A Modane c’è l’aria di montagna che fa sventolare le lenzuola a pois dalle finestre del comune. C’è il sole ma si sta bene con la felpa. L’unica che ho messo in valigia. Dicono che i francesi siano bravi a fare le brioches ma io non ne ho trovata una da quando sono qui. La signora della Boulangerie si scandalizza perché gli chiediamo in due lingue diverse che cosa ci sia nella torta ma lei parla solo francese e ci guarda con occhi spalancati. Niente torta. E nessun contatto con i corridori, a quanto sembrerebbe, visto che l’area di partenza è completamente transennata. Persino quella riservata ai bus. Non credevo esistessero così tante transenne. E va bene che siamo al Tour ma la trovo una cosa sgradevole lo stesso, anche con tutte le giustificazioni del caso. Ma dall’altra parte del recinto c’è uno striscione per Vincenzo, quattro o cinque CanNibali che vengono da Crema. Allora noi cominciamo a urlare “Ni-ba-li! Ni-ba-li! Ni-ba-li!” e loro rispondono alla stessa maniera. Alziamo le mani come allo stadio, mentre la gendarmerie passa silenziosa. Cori da una transenna all’altra, l’Italia che chiama e che risponde.
E meno male che c’è Franco, un caro amico che incontro per caso e ci da i braccialetti per entrare. Son contenta anche se per metà. Lo so, forse è giusto così ma io non riesco a vedere la gente che resta fuori. Fa male un po’ anche a me. Specialmente quando vedo le signore con la maglietta di Vincenzo Nibali appostate alla transenna davanti al pullman dell’Astana. Vorrebbero toccarlo, vorrebbero abbracciarlo. Perché i fans sono così.
I ciclisti vanno verso il foglio firma, la gente li saluta, grida i nomi e loro sorridono, salutano, danno la mano ai bambini che si sporgono dalla transenna. Un ragazzino chiede selfie a tutti, si ferma anche Kristoff. Gli dedica del tempo. Questa è una cosa che fa grande il ciclismo.


Siamo affamati di vita. E ancora, e ancora.
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