Con la Rivoluzione Francese, l’Opera, fino ad allora rimasta tutto sommato avulsa dalla realtà politica e sociale, iniziò ad essere permeata dalle istanze di libertà e giustizia sociale generate dagli epocali sommovimenti transalpini. Con qualche ritardo, anche in Italia questi impulsi vennero recepiti e parole come libertà, patria, oppressore si fecero sempre più frequenti nei libretti delle opere di Rossini, Donizetti, Bellini e Mercadante. Ancor prima che la temperie risorgimentale attecchisse in Italia, in opere come La donna del lago, Guglielmo Tell, Norma e Puritani, in particolare nelle parti corali, si trovavano dei brani che, seppur non essendo ispirati direttamente alla questione unitaria italiana, furono facilmente fatti propri dai patrioti e dal popolo come colonna sonora dei rivolgimenti indipendentisti. Capitò così che anche un’Opera in puro stile gotico-romantico come la Gemma di Vergy, scritta da Donizetti su libretto di Bidera nel 1834, finisse per infiammare gli animi dei siciliani nell’insurrezione del 1848, dopo una rappresentazione palermitana. La cabaletta Suoni la tromba dai Puritani di Bellini, dopo la prima parigina del 1835, colpì a tal punto i sentimenti della nobildonna, patriota ed esule Cristina di Belgioioso, che commissionò ad alcuni dei più importanti musicisti dell’epoca, tra i quali Chopin e Liszt, delle variazioni sul tema.
Se non si poteva ancora parlare di una vera e propria coscienza patriottica dell’Opera italiana, tutto ciò fu sufficiente a Giuseppe Mazzini per arrivare all’intuizione del melodramma come veicolo dei valori del Risorgimento, come documentato dal pamphlet La filosofia della musica, pubblicato nel 1836. Oltre a numerosi brani d’Opera facilmente rileggibili in chiave indipendentista e unitaria, Mazzini aveva colto nella capillare diffusione dei teatri in Italia, che si stava sviluppando in quei decenni, la rete ideale per diffondere gli ideali risorgimentali, anche per la loro trasversalità sociale, essendo pensati per ospitare, opportunamente separati, tutti i ceti. In quegli anni era in atto in Italia una vera e propria corsa al teatro cittadino, alimentata dal tradizionale campanilismo italico, cosicché anche in piccole città venivano costruiti teatri di tutto rispetto, con un rapporto tra i posti e gli abitanti anche inferiore all’uno a dieci. Altro elemento fondamentale, la capacità del melodramma, grazie all’ausilio espressivo della musica, di andare oltre agli innumerevoli problemi dovuti all’alto grado di analfabetismo e ai particolarismi linguistici che ostacolavano la circolazione della lingua e della cultura unitaria. Mazzini trovò nelle opere di Rossini, Donizetti e Bellini le scintille che avrebbero potuto far divampare l’ardore patriottico nel popolo, ma il vero campione dei sentimenti nazionalisti stava per affacciarsi alla ribalta.
L’identificazione di Giuseppe Verdi con la lotta per l’indipendenza e l’unità d’Italia, com’è noto, avvenne già dalla sua terza Opera, il Nabucco, in particolare per il coro Va’ pensiero. Per quanto non insensibile alla causa nazionale, quando si accinse a musicare il libretto di Solera, Verdi era animato più che altro dall’intento di risollevarsi nel morale e nella carriera, dopo la catena di lutti che l’aveva colpito e il tonfo di Un giorno di regno alla Scala. Ma davanti al successo popolare che la rilettura in chiave risorgimentale dell’oppressione degli Ebrei aveva suscitato, il bussetano non rimase indifferente e con la successiva I Lombardi alla prima Crociata replicò con successo lo schema, aggiungendo una maggiore connotazione identitaria. Anche nelle opere successive, come Ernani, Giovanna d’Arco e Attila, indipendentemente dalla mancanza di analogie con la situazione italiana, ogni accenno ai valori della patria e della libertà venne accolto dal popolo come un incitamento alla sollevazione indipendentista. Nel fatidico 1848, Verdi, dopo aver composto l’inno Suona la tromba, espressamente richiestogli da Mazzini, scrisse la sua Opera più espressamente risorgimentale, La Battaglia di Legnano, rappresentata trionfalmente nel 1849 al Teatro Argentina di Roma, nel pieno della breve stagione della Repubblica Romana. Per I Vespri Siciliani, debuttante a Parigi nel 1855, nella versione in francese di Eugene Scribe, si può pensare a una volontà di internazionalizzare la Questione italiana. Ormai considerato il cantore indiscusso del sentimento indipendentista nazionale, alla vigilia della II Guerra d’Indipendenza il nome di Verdi divenne l’acronimo per Vittorio Emanuele Re d’Italia.