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Opzione guerra preventiva in Iran

Creato il 13 gennaio 2012 da Yleniacitino @yleniacitino

Opzione guerra preventiva in Iran

da www.ragionpolitica.it

L’amministrazione Obama si era distinta, almeno ai suoi albori, per una marcata volontà di cambiamento nel dialogo con Teheran, tant’è che un’appena insediata Casa Bianca aveva mandato un messaggio privato alla suprema autorità religiosa, l’Ayatollah Khomeini, per spingere i rispettivi paesi a impegnarsi proficuamente su importanti questioni di interesse reciproco. Tra queste, in prima linea c’era quella del nucleare. Non importa se per usi pacifici o militari, l’avanzamento tecnologico sulla fissione del nucleo di uranio ha da sempre fomentato un odio biunivoco che oggi, dopo una serie di episodi escalatori, sta facendo vagliare, alla luce dei fermenti elettorali statunitensi, l’opportunità di una guerra preventiva contro l’Iran (c’è chi è d’accordo e chi no). La dottrina politica di Obama, infatti, è diventata molto più vicina di quanto si possa immaginare a quella del tanto contestato predecessore, George W. Bush. Si è passati nel giro di pochi anni dalla teoria del «mutuo interesse per un mutuo rispetto» a quella del «tutte le opzioni sono sul tavolo». E i più estremisti arrivano a sostenere che è meglio un Iran indebolito dalle macerie di una guerra artificiosamente scatenata che un nemico reso ancora più potente dal possesso dell’arma nucleare.

Inizialmente le forze di sicurezza statunitensi si erano accontentate di misure più blande. Come quando si sguinzagliò Stuxnet, un worm informatico che era riuscito a entrare nei database di molte industrie iraniane sospettate di studiare tecnologie nucleari e aveva rubato e trasmesso agli americani il contenuto di molti pc. Ma Teheran ci teneva seriamente ad entrare nel club del nucleare e così non si è data per vinta, correggendo i sistemi sabotati e rendendoli inaccessibili agli attacchi cibernetici. Del resto, l’Iran, a differenza dei paesi limitrofi, è un paese di antiche tradizioni ed alta civilizzazione. Il suo Pil è il diciassettesimo nella graduatoria mondiale e la sua capacità tecnologica è sostenuta da una determinata e ferrea volontà politica. Dopo le pressioni dell’Aiea, il Presidente Ahmedinejad ha finalmente confermato l’esistenza di un laboratorio sotterraneo fino ad ora segreto, nel quale si starebbe per concludere il processo di sviluppo dell’arricchimento dell’uranio. Oggi, dunque, la pressione cresce a ritmi folli e proprio quando si ha la sensazione che il tempo stia per scadere, i politici americani sono in seria difficoltà su quale strada intraprendere e non resta loro che tergiversare, poiché la scelta dipende dalla migliore lettura che i candidati presidenti riusciranno a fare dell’opinione del loro corpo elettorale.

Nel frattempo, le scaramucce fra i due paesi non si interrompono. Prima il tentato assassinio dell’ambasciatore saudita in territorio americano, architettato da Marssar Arbabsier, che pare sia legato al Mois (i servizi di spionaggio iraniani). Poi l’arresto e la successiva condanna a morte dell’ex marine statunitense Amir Mirzaei Hekmati, presunta spia della Cia, da parte dell’autorità giudiziaria iraniana. Per contro, gli Stati Uniti hanno provveduto a vendere 29.4 mld di dollari di armi all’Arabia Saudita, storico rivale dell’Iran, e pianificano altri 11 mld di commissioni per Baghdad, in caso dovesse proteggersi dalle minacce persiane. Questo gesto di forza ha portato il rivale ad annunciare la rappresaglia della chiusura dello Stretto di Hermuz, «facile come bere un bicchier d’acqua», come ha commentato l’ammiraglio della marina iraniana Habibollah Sayyari. Certo, i capi di stato iraniani hanno spesso utilizzato l’argomento della chiusura dello stretto come efficace deterrente (uno «stretto» largo ben 30 miglia), ma solo una volta lo avevano fatto davvero. Cioè, almeno un quarto di secolo fa, quando l’allora presidente Ronald Reagan rispose con l’operazione Mantide Religiosa, affermando con vigore la supremazia schiacciante della flotta statunitense e portando alla marina iraniana la peggiore sconfitta della sua storia. Teheran, dunque, ha ben pochi margini di discussione, anche se potrebbe benissimo colpire molti interessi americani nel golfo, come gli impianti di raffinazione del petrolio e le rotte delle navi-cisterna. Oppure, cosa ben peggiore, potrebbe stimolare spinte anarchiche che aizzino Hamas, Hezbollah e gli insorgenti afghani contro l’Occidente e il nemico imperialista.

Obama, perciò, si sta adoperando per una soluzione para-diplomatica della questione, attraverso un’opera di convincimento dell’Europa sulla bontà della sua proposta di boicottaggio del petrolio iraniano, assieme ad altre pesanti sanzioni economiche che si sommerebbero a quelle già esistenti. Dalle nostre parti, tuttavia, se ne parla poco, se non ai massimi livelli. Eppure il problema ci interessa molto da vicino, se non altro perché l’Iran sta testando dei missili balistici di media gittata che potrebbero facilmente raggiungere il nostro territorio. Chiudo con una domanda: perché Teheran continua a sviluppare vettori di lunga percorrenza? Per trasportare missili convenzionali, che avrebbero effetto in un raggio di cento metri e potenza distruttiva limitata, o piuttosto, per missili di altro tipo, i cui elevati costi di implementazione sarebbero controbilanciati da un’efficacia distruttiva elevatissima?


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