Il malcontento è il primo passo verso il progresso.
O. Wilde
Zingaropoli in tutti i quartieri, droga libera, centri sociali al potere, abolizione della proprietà privata e intercettazioni a tappeto su tutti i telefoni, compresi quelli giocattolo per i bambini.
I risultati delle elezioni hanno chiaramente mostrato come gli italiani non apprezzino il miglior presidente del consiglio della loro storia e la politica moderata della sua maggioranza. Nonostante il centrodestra abbia caratterizzato le ultime settimane di campagna elettorale per i suoi toni pacati, la demonizzazione dell'avversario politico trasformato in nemico, gli insulti e le pernacchie, il verdetto delle urne è chiaro. Ora ci tocca il comunismo, come Libero (quale fine ironia nella scelta del nome) ha sapientemente riassunto non appena si è capito che la partita era terminata.
Ce ne faremo una ragione. Mentre ci prepariamo alla rivoluzione d'ottobre, ormai inevitabile, sarebbe utile riflettere sul vero significato politico delle elezioni amministrative appena concluse. Si è parlato di vento di cambiamento. Di sicuro si è assistito a uno scrollone del paese, stanco di anni di addomesticamento. Se sarà sufficiente a disarcionare il cavaliere, lo sapremo nei prossimi giorni. L'unica possibilità di vedere il governo terminare il mandato in anticipo è legata al malumore della Lega, tutt'altro che celato nonostante le dichiarazioni di ieri pomeriggio. Il governo, in ogni caso, ha i giorni contati. Difficilmente si arriverà alla fine della legislatura, e in ogni caso non sarà una piacevole passeggiata sulle macerie dell'Italia, come Berlusconi e i suoi galoppini immaginavano qualche mese fa. Non sussistono condizioni politiche tali da permettere al ducetto di Arcore di terminare il lavoro di disgregazione del tessuto istituzionale italiano, a suo vantaggio. Ovviamente ci proverà, forse in maniera ancora più testarda, ma è destinato a fallire. Per far passare qualsiasi provvedimento, il PdL ha bisogno dei voto del partito di Bossi e dei Responsabili. I leghisti non possono più permettersi di perdere consensi, vista l'emorragia di voti subita nelle roccaforti storiche e il forte malcontento della base, delusa dal passaggio in poco tempo dal celodurismo al ruolo di scudiero. La prezzolata pattuglia al seguito di Scilipoti si ritrova nella scomoda posizione del topo sulla nave che affonda. Scartata l'ipotesi di organizzarsi realmente in una forza politica da presentare alle prossime elezioni, a meno di non puntare ottimisticamente allo 0,3% delle preferenze (con i dovuti scongiuri, ovviamente), le nuove colonne portanti del pericolante berlusconismo non hanno altra scelta se non quella di approvare ogni provvedimento del loro padrone, dopo averlo fatto sudare con un'opportuna trattativa sul prezzo. In realtà, il tutto non sarà che un diversivo nell'attesa di trovare in silenzio una nuova collocazione in uno qualsiasi degli schieramenti che possono garantire un posto nel nuovo Parlamento. Se non fossero l'incarnazione del marcio che Shakespeare raccontava in Danimarca, verrebbe da augurare loro in bocca al lupo.
Si attendono ora le mosse del centro-sinistra, in particolare del Partito Democratico. Ieri si è giustamente festeggiato, ma il grosso del lavoro inizia oggi. L'obiettivo primario è quello di non gettare alle ortiche quanto ottenuto finora. Non bisogna dimenticare che Pisapia, De Magistris e Zedda non fanno parte del PD, che anzi in un primo tempo li aveva osteggiati. L'impegno profuso per sostenerli dopo le primarie fa onore al partito, ma se il PD vuole essere il fulcro della coalizione non può limitarsi a recuperare gli errori. Una forza politica che si propone come guida deve essere portatrice di valori e nuove proposte, e non può accontentarsi di rimanere al traino del suo elettorato, da troppo tempo più attivo di coloro che aspirano a rappresentarlo. Lo spauracchio dell'estremismo agitato da Berlusconi in campagna elettorale ha miseramente fallito. Al contrario, il messaggio delle urne è chiaro: gli elettori di centro-sinistra, molto banalmente, si sentono rappresentati e hanno fiducia nel centro-sinistra. Quella che può sembrare un'ovvietà non lo è affatto se si pensa alle tendenze terzopoliste del PD. Tempo fa era stata avanzata da molte voci, anche di sinistra, l'idea di una legislatura ponte con una maggioranza formata da tutte le forze all'opposizione rispetto a PdL e Lega, con l'obiettivo di de-berlusconizzare il paese, cancellare le leggi-vergogna e riscrivere una nuova legge elettorale. L'idea non era peregrina, ma nel frattempo sono successe alcune cose. Oltre alle elezioni amministrative, il mondo euro-mediterraneo ha mostrato segni di risveglio delle coscienze. La primavera araba e i movimenti di protesta spagnoli e greci sono segni di un fervore politico che andrebbe quantomeno ascoltato anche in Italia. Nel nostro paese non si è assistito a mobilitazioni continue di questa portata ma le manifestazioni studentesche e delle donne hanno fatto capire che sotto la cenere italiana cova un calore che per il momento ha trovato sfogo in altri modi, prime fra tutte le elezioni e, si spera, i referendum di giugno. Qualcuno ha visto il Movimento Cinque Stelle di Grillo come il contenitore degli "indignados" italiani. Credo sia vero solo in parte. Il rifiuto dei partiti tradizionali accomuna i grillini con i giovani che riempiono le piazze in Spagna e in Grecia, ma il linguaggio e i modi di Grillo frenano le intenzioni di voto di molte persone che, piuttosto, cercano una svolta nella politica dei partiti esistenti sulla piazza. L'Italia ha una differenza rispetto agli altri paesi attualmente interessati dall'indignazione popolare. In Italia esiste un'anomalia da quasi vent'anni, di nome Silvio Berlusconi, che da una parte ha alterato e impedito il normale processo democratico e dall'altra fornisce ai partiti antagonisti la possibilità di presentarsi come una vera alternativa al sistema. Questa cosa, paradossalmente, il centro-sinistra italiano non è riuscito a farla se non creando cartelli elettorali eterogenei, come l'Unione, la cui ingovernabilità li ha destinati al fallimento. Per la prima volta, nel quasi ininterrotto decennio berlusconiano, si apre uno spiraglio per una vera alternativa di centro-sinistra, composta da forze politiche non troppo numerose o distanti tra loro, che godono della fiducia popolare e dell'oggettivo bonus di consensi derivante dal rifiuto nei confronti di un sistema di potere che non riesce più a nascondere la sua corruzione, in tutti i sensi. Per di più, presentare uno schieramento esteso da Vendola a Casini come una vera proposta programmatica piuttosto che come uno strumento temporaneo per liberare l'Italia dall'anomalia berlusconiana potrebbe mettere un tappo allo sfogo politico del vento di cambiamento tanto acclamato.
in fondo, la scelta di fronte al PD è semplice. Si possono assecondare le intuizioni geniali dei vari D'Alema, Veltroni, Letta, convinti che milioni di persone siano meno astute e politicamente accorte degli Azzeccagarbugli che hanno lasciato il paese alla mercé di Berlusconi. Oppure si può fiutare il vento, per una volta in maniera non opportunistica, e fabbricare una vela in grado di raccoglierlo.