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Orbán: un’anomalia europea

Creato il 23 settembre 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Il primo ministro ungherese Orbán è recentemente salito alla ribalta per le proprie posizioni riguardo l’emergenza migratoria. Eppure non è la prima volta che adotta provvedimenti fortemente criticati.

Non vogliamo una società multiculturale” disse a febbraio il primo ministro ungherese Viktor Orbán, nel corso di un’intervista al quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung.

Tre mesi più tardi, durante una seduta plenaria del Parlamento Europeo, Orbán spiegò che non gli sarebbe dispiaciuto “se l’Europa fosse continuata ad appartenere agli Europei”.

A più di sei mesi di distanza, non si può dire che il capo del governo ungherese stia cercando di smentirsi.

Dinnanzi ad uno dei più importanti fenomeni migratori degli ultimi anni, l’Ungheria ha assunto una posizione netta: il rilascio di permessi di soggiorno è stato sospeso, la polizia è stata autorizzata ad utilizzare la forza durante il controllo dei confini – quello con la Serbia è stato completamente chiuso – e ogni proposta di ripartizione dei migranti tra i vari Stati europei è stata bocciata.

Il volto pubblico di questo atteggiamento intransigente è proprio Viktor Orbán, che nelle ultime settimane ha apertamente sostenuto come il problema dei migranti sia un problema principalmente tedesco –  non europeo – e che nei primi giorni di settembre ha ribadito alla TV di stato austriaca la necessità di chiudere le frontiere europee.

Un politico navigato.

Orbán non è un outsider nel panorama politico ungherese; considerato il primo leader est europeo totalmente estraneo ai circoli del potere sovietico, diviene leader del partito Fidesz (conservatore e d’ispirazione cristiana) nel 1993 e, vinte le elezioni cinque anni dopo, nel 2002 termina la propria esperienza di governo a seguito della vittoria del Partito Socialista Ungherese; ripresentatosi alle urne nel 2010, ottiene un clamoroso successo, guadagnando il 52% dei voti e assicurandosi una solidissima maggioranza in parlamento. Quatto anni più tardi la riconferma: nuove elezioni politiche, nuovo risultato eccellente – seppur lievemente più basso: Fidsez ottiene“solamente”  il 44% – e, anche questa volta grazie ad una solida maggioranza, ampie possibilità di agire in maniera radicale.

Orbán è stato protagonista di alcuni passaggi cruciali nella storia recente del proprio paese: ai tempi del suo primo governo è stata completata la transizione economica dell’Ungheria – da una stagnante economia post sovietica si è passati ad un più dinamico modello liberista – e sotto la sua guida nel 1999 il Paese è entrato a far parte della NATO, allontanandosi irreversibilmente dalla sfera d’influenza russa.

I provvedimenti più discussi.

Sempre ai tempi del primo governo Orbán risale anche una discussa legge in favore delle numerosissime minoranze ungheresi residenti nei paesi confinanti con l’Ungheria (Slovacchia, Romania, Serbia, Croazia, Slovenia e Ucraina); il provvedimento– al cui riguardo espresse dei dubbi pure l’OCSE – permette alle persone di origine ungherese di studiare e lavorare in Ungheria per tre mesi l’anno e avrebbe lo scopo di “proteggere l’identità culturale delle minoranze ungheresi” residenti all’estero, rinsaldando i legami con la propria patria; i governi dei paesi limitrofi protestarono energicamente, ritenendo che Budapest interferisse nei loro affari interni.

Incisiva – e criticatissima, in patria ed all’estero – è stata l’azione di Orbán per quanto riguarda la politica interna, in particolar modo l’assetto costituzionale dell’Ungheria: forte della schiacciante maggiornaza ottenuta nel 2010, il primo ministro nel corso dei due anni seguenti è riuscito a fare approvare una nuova costituzione, che ha limitato fortemente i poteri della Corte Costituzionale, ridimensionato l’influenze dei media non statali e sottolineato l’importanza della “famiglia tradizionale” e dei valori cristiani.

Nel 2011 il parlamento promulga la nuova legge sulla cittadinanza, con la quale ai residenti all’estero che vantino una discendenza con un cittadino ungherese è possibile richiedere il passaporto magiaro; di conseguenza numerose zone confinanti con l’Ungheria – la Transilvania in Romania, ad esempio, o alcune parti della Slovacchia –  in cui abitano importanti minoranze ungheresi, si sono ritrovate con decine di migliaia di cittadini dotati di doppio passaporto. Anche questa legge è stata duramente criticata, poichè nuovamente vista come un’ interferenza di Budapest negli affari di altri stati.

La società ungherese cambia.

Parallelamente ai cambiamenti politici – di forte impronta nazionalista e conservatrice – la società ungherese sotto Orbán è cambiata: gli episodi di xenofobia ed omofobia si sono moltiplicati, contemporaneamente a numerose manifestazioni di antisemitismo; nel 2012 Marton Gyongyosi, deputato del partito nazionalista Jobbik – con cui Fidesz forma una coalzione – ha chiesto che venisse pubblicata una lista dei funzionari statali e deputati ebrei, ritenuti una minaccia per lo Stato, salvo poi ritrattare le proprie parole.

A testimonianza del clima politico creatosi in Ungheria sotto il governo di Orbán, il primo ministro quest’anno ha sostenuto la necessità di iniziare un dibattito sulla reintroduzione della pena di morte; le istituzioni europee – nella fattispecie la Commissione guidata da Junker – non hanno potuto che censurare l’episodio, nonostante la loro risaputa scarsa celerità.

Una democrazia a rischio?

In particolar modo dopo l’approvazione delle modifiche alla costituzione volute da Orbán – entrate in vigore nel 2012 – giornalisti, politici e organizzazioni no profit si sono interrogati circa lo stato della democrazia in Ungheria, domandandosi quanto il cammino intrapreso dal paese sia compatibile con i valori europei; bande di motociclisti xenofobi e omofobi di fatto agiscono impunemente ed Orbán non ha mai condannato apertamente la presenza di veri e propri gruppi paramilitari – tra i più controversi il Fronte Nazionale Ungherese – che indubbiamente contribuiscono a rendere incandescente un clima già teso.

Il problema fondamentale resta quale soluzione adottare; al di là dei numerosi moniti lanciati, l’Unione Europea difficilmente può intervenire in maniera incisiva negli affari interni di uno stato membro. Il futuro politico del proprio paese è, quindi, esclusivamente in mano agli Ungheresi, che dovranno decidere se invertire la rotta intrapresa ormai sei anni fa o continuare in una direzione che potrebbe riverlarsi sempre più pericolosa.

Tags:cittadinanza,costituzione,Immigrazione,Orban,Ungheria Next post

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