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Orbiter e la poetica spaziale di Warren Ellis

Creato il 20 ottobre 2012 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

C’è una scena che mostra tutta l’energia e la passione che sta alla base di questa vicenda: è all’inizio dell’ultimo capitolo (con un prologo nel precedente) e vede Terry Mark, lo specialista in propulsione, Orbiter e la poetica spaziale di Warren Ellis> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="276" width="182" alt="Orbiter e la poetica spaziale di Warren Ellis >> LoSpazioBianco" class="alignleft size-full wp-image-57284" />correre attraverso l’hangar che ospita lo shuttle Venture, esponendo la sua idea su ciò che è avvenuto, e tentando di trascinare gli altri membri del gruppo di investigazione. Mark corre come un bambino, ebbro di felicità: non tanto perché sta per sciogliere un enigma, ma perché sta per mettere alla prova il suo Sogno.

Ecco, Orbiter è la storia di un sogno che riemerge dall’oblio: ruota intorno a un mistero (uno shuttle scomparso dieci anni prima ricompare improvvisamente sulla terra: solo il capitano a bordo, nessun segno degli effetti di microgravità, nessun segno di invecchiamento decennale; il velivolo rivestito di un qualcosa di decisamente bizzarro), ha personaggi che si concedono totalmente alle proprie passioni, mossi da un desiderio che finalmente ha un’occasione per nutrirsi. Il ritmo è incalzante, la progressione non lascia pause. Siamo in piena Golden Age fantascientifica, dove l’orizzonte per il pensiero è l’universo e le psicologie sono piuttosto elementari (ma, nel caso di Ellis questo significa esemplari, non superficiali), le contorsioni nevrotiche, le psicosi, i problemi del mondo, seppur presenti, sono parte dello sfondo e non il motore della narrazione (ma la capacità di affrontarle e l’interesse di Ellis per queste tematiche sono in altre opere, alla luce delle quali possiamo leggere su vari livelli le tavole iniziali). Siamo nel pieno della corrente di un genere vigoroso, che se un tempo forse (forse) poteva funzionare da rifugio escapista, oggi forse (forse), in questa specifica declinazione,

Orbiter e la poetica spaziale di Warren Ellis> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="370" width="248" alt="Orbiter e la poetica spaziale di Warren Ellis >> LoSpazioBianco" class="alignright size-full wp-image-57285" />può utilmente spiazzarci e spingerci a guardare le cose da un punto di vista diverso, offrendoci una diversa prospettiva, una diversa possibile scala di priorità, che ci aiuta a pensare il mondo senza rinchiuderci nella quotidianità.

Corpi, volti, sguardi (Mark, certo, ma anche tutti gli altri, perfino Alison Siegert da Berkley, che in due vignette riesce a muovere il cuore di Mark), disposizioni dei volumi e le luci e le ombre (le scene a due con la psicologa Bracket e il capitano Cost innanzi a tutte), costruiscono un’atmosfera densa e ossessiva (perché inseguire un sogno ha una parte ossessiva), secondo un climax che, anche dal punto strettamente narrativo, probabilmente non lasciava alternative per il finale.
Orbiter è un distillato della poetica di Ellis: è la sua componente” spaziale” allo stato puro, ottimista e giocosa: qui nemmeno i militari riescono a fare paura e, insomma, sembrano esserci perché è ragionevole che ci siano, ma poi stanno piuttosto defilati e offrono giusto l’occasione per fare il punto della situazione. Così, anche le tavole di apertura, che passano dal dettaglio alla panoramica servono a Ellis a mostrare un degrado materiale e morale, che è in qualche modo conseguenza del ripiegarsi dell’umanità su se stessa. Anche qui, la visione deve essere intesa attraverso gli occhi della poetica portante del volume; per una sintesi più corrosiva e più attenta alla complessità delle dinamiche sociali, culturali, psicologiche, eccetera, possiamo sempre tornare a Transmetropolitan.

Se non vi siete mai sentiti elettrizzati e commossi al pensiero che gli atomi di ferro che l’emoglobina del vostro sangue trasporta attraverso il vostro corpo furono sintetizzati in una stella miliardi di anni fa e lanciati nello spazio dalla sua esplosione (e chissà dov’è ora il residuo, nana o pulsar o magari buco nero: da qualche parte lassù, sicuramente), e che quindi, già in questo senso fondamentale, noi siamo parte del cosmo, gli dobbiamo la nostra stessa esistenza; che quindi quella, il cosmo, è la nostra vera casa, la nostra Madre… Be’, forse allora potreste avere difficoltà a entrare in sintonia con la poetica di Orbiter e considerarlo semplicemente ingenuo.
Ma vale la pena di tentare.
Se invece sì, siete tipi di quel genere, benvenuti a bordo.

Abbiamo parlato di:
Orbiter
, Colleen Doran,
Traduzione di Pier Luigi Gaspa
Edizion RW – Lion Comics, 2012
108 pagine, cartonato, colore – 13,95€
ISBN: 9788866911814

 

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