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Non sarà certo un semplice schermo capacitivo a proteggervi da questo nuovo episodio di "Ore d'orrore", rubrica curata dal Fiero Alleaten Herr Doktor Lup Mann Marcus Lazzaren, ovverossia lo scienziato in camice bianco che in questo preciso istante sta già affilando le sue provette e i suoi alambicchi per lo scontro finale che si terrà poche righe più in basso.
Se una connessione lenta potrebbe, in via del tutto teorica, rimandare di qualche nanosecondo il vostro inevitabile destino, state però certi che il Van Helsing della Bassa, qui presente, farà di tutto per rimandare il più possibile la vostra fine.
Il che, se guardiamo il tutto da un'altra prospettiva, potrebbe significare solo un prolungamento delle vostre agonie... ma diciamo che per il momento è meglio non pensarci. Chi vincerà questo secondo e ultimo round? Non vi resta che mettervi comodi in poltrona, avvicinare quella vasca di popcorn che sta scoppiettando nel forno a microonde, agguantare quella fantastica birra gelata che fa capolino dallo sportello del frigorifero e poi... via le scarpe, copertina tattica, micio sulle ginocchia e... stare a guardare!
Bling, blong! Intermezzo pubblicitario: se vi sarà piaciuto lo spettacolo odierno, non dimenticate che, per la seconda serata, potete gustarvi le repliche di due miei vecchi post: quello sul Golem e quello sul Frankenstein preistorico delle isole Ebridi.
Ore d’Orrore, a cura di Marco Lazzara“Ci sono molte buone ragioni per avere paura del buio”
“Il mondo per me era un mistero da scoprire. Curiosità, bruciante volontà di impadronirmi delle leggi segrete della natura, e una felicità vicina all'estasi quando esse mi si svelavano: queste sono le prime sensazioni che riesco a ricordare.” (Mary Shelley, Frankenstein)
Nella prima parte dell’articolo, abbiamo parlato delle influenze letterarie, storiche e mitologiche nel romanzo di Frankenstein; in questa seconda parte parleremo invece di quelle scientifiche.
Influenze Scientifiche
Tra le influenze che hanno portato alla stesura del Frankenstein vanno annoverati gli esperimenti condotti da Giovanni Aldini, che tramite l'uso di archi elettrici era riuscito a infondere il movimento in un cadavere, tanto da dare l'impressione di rianimazione. Secondo Aldini, con determinate condizioni sarebbe stato forse possibile ripristinare anche la vita stessa, ma cambiò idea quando si accorse che queste non avevano effetto sul cuore.
Una delle immagini più note di Frankenstein è infatti quella dello scienziato che dopo aver messo assieme la sua creatura, sfrutta un temporale per convogliare l’elettricità dei fulmini per dargli vita. Bisogna tenere presente che di ciò, nel romanzo, non si fa alcuna menzione: si tratta di una trovata cinematografica.
Nel ‘700 i fisiologi avevano dimostrato sperimentalmente che uno stimolo applicato a un nervo causa la contrazione del muscolo a esso collegato; Luigi Galvani (che era lo zio di Aldini) si accorse del fenomeno durante la dissezione di una rana: stimoli elettrici facevano osservare contratture nei muscoli dell’animale, anche se morto. Galvani pensava che l'elettricità venisse prodotta e trasmessa dal cervello, e che l’animale fosse capace di immagazzinarla mantenendosi in uno stato di disequilibrio; stimoli elettrici erano dunque in grado di mettere in movimento l’elettricità animale, che attraversava i nervi (considerati dei conduttori) producendo la contrazione muscolare. Alessandro Volta era invece di tutt’altro avviso, in quanto si era reso conto che si poteva ottenere la contrazione muscolare con un arco elettrico posto a contatto tra due parti di uno stesso nervo, quindi senza nemmeno considerare i muscoli; tra i vari esperimenti che effettuò, osservò anche che lo stimolo elettrico sugli occhi provocava la sensazione di luce. Ritenne perciò che gli effetti fisiologici erano dovuti al tipo di fibre nervose stimolate, e non ai muscoli.
Elettrofisiologia
Sostanzialmente le ipotesi di Galvani e Volta erano esatte, anche se difettavano delle moderne conoscenze di fisiologia. Il discorso è un po’ complesso, ma vediamo di capirne i punti basilari.
Gli organismi viventi sono dei sistemi termodinamici aperti, ovvero scambiano materia ed energia con l’ambiente esterno in flussi direzionali preferenziali: è come se assumessero materiale più ordinato (nutrienti) e scaricassero materiale meno ordinato (rifiuti), producendo un aumento di entropia (disordine molecolare). Gli organismi viventi sono quindi dei sistemi termodinamici non-reversibili: una volta che una cellula muore non può essere riportata in vita e si innescano allora una serie di processi biochimici volti alla demolizione del materiale cellulare (decomposizione).
All’interno delle cellule sono presenti soprattutto ioni potassio e magnesio, mentre all’esterno sodio e calcio; perché le cose permangano in questo stato, le cellule sono dotate di membrane, che impediscono il passaggio degli ioni in una direzione o nell’altra. Data la differenza della relativa concentrazione fuori e dentro la cellula, la tendenza spontanea sarebbe per sodio e calcio di entrare e per potassio e magnesio di uscire. Solo che non possono: glielo impedisce la membrana. Perciò la cellula è in una situazione continua di disequilibrio e questa situazione genera una differenza di potenziale elettrochimico (potenziale di membrana): la cellula risulta quindi polarizzata. In fisica, la differenza di potenziale è la condizione termodinamica perché il sistema compia lavoro.
È questo continuo stato di disequilibrio della cellula e lo spendere bioenergia per mantenerlo ciò che chiamiamo vita (almeno in senso cellulare). Se infatti il potenziale di membrana si azzera, non è più possibile compiere lavoro, e si raggiunge l’equilibrio. La cellula che raggiunge l’equilibrio muore.
Quando il cervello impartisce un comando, la fibra nervosa rilascia un neurotrasmettitore, il quale raggiunge le cellule-bersaglio legandosi a un recettore, una proteina posta sulle membrane cellulari o all’interno delle cellule stesse, che lo riconosce in maniera specifica. Questa interazione scatena tutta una serie di eventi che culminano nell’apertura di canali nelle membrane, attraverso cui possono passare gli ioni. Proteine chiamate pompe-ioniche mediano questo scambio. Ciò porta a un cambiamento nel potenziale di membrana, ovvero un segnale elettrico che può essere trasmesso come comando per dire per esempio a quel certo muscolo di contrarsi.
Il segnale viene poi spento da un enzima che libera il recettore dal neurotrasmettitore facendo chiudere i canali. La membrana viene quindi ripolarizzata spendendo bioenergia per aprire degli altri canali e attivare un’altra pompa-ionica.
Il segnale luce osservato da Volta funziona secondo lo stesso principio: l’unica differenza è che nelle cellule retinali, al posto del recettore, c’è una proteina (opsina) a cui si lega la vitamina A, che ha il compito di ricevere l’energia luminosa.
A differenza degli altri organi, il cuore genera al proprio interno lo stimolo per la contrazione. Rispetto alla maggior parte delle cellule muscolari, la variazione del potenziale è maggiore, perché deve essere in grado di far rendere al massimo la pompa cardiaca per sospingere il sangue all’interno dei vasi sanguigni. Una cellula muscolare depolarizzata non è più disponibile per un impulso fino a quando non viene ripolarizzata, e il tempo che viene impiegato per fare ciò è indispensabile per il corretto funzionamento del cuore, in quanto il ventricolo può riempirsi completamente di sangue prima di eseguire un'altra contrazione tra la fase pulsoria (sistola) e la fase di riposo (diastola), in maniera da permettere l'apporto di sangue attraverso le arterie coronarie.
In caso di arresti cardiaci si può ricorrere all’uso di un’apparecchiatura elettrica (defibrillatore) che durante la scarica (elettroshock) ripolarizza in toto il sistema di conduzione del cuore; in caso di lesioni è comunque necessario operare ed eventualmente porre nella cavità toracica un pacemaker, apparecchio capace di stimolare elettricamente la contrazione del cuore.
L’elettrocardiogramma (ECG) è la riproduzione grafica dell'attività elettrica del cuore durante il suo funzionamento, misurata da uno strumento chiamato elettrocardiografo.
Verso l’Origine della Vita
Nella prima parte del post abbiamo parlato di argilla (o creta). Un’interessante ipotesi riguardo l’origine della vita è correlata proprio alle argille.
Gli organismi viventi sono caratterizzati da certi composti organici, le biomolecole, da cui dipende la vita così come la conosciamo. È noto da tempo che in un lontano passato le prime molecole organiche abbiano interagito con le argille: da qui è sorta l’ipotesi che esse abbiano contribuito alla produzione di biomolecole, coadiuvandone la chemoevoluzione verso i composti che oggi sono alla base degli esseri viventi.
Sulla Terra primordiale esistevano di certo fonti di composti organici, soprattutto idrocarburi. Ma l'idea del “brodo primordiale”, cioè oceani ricchi di biomolecole prodotte in maniera sistematica prima che si sviluppasse la vita, non appare più così convincente come in passato. Si ragiona su tutte quelle situazioni capaci di sottrarre materia organica: per esempio la radiazione ultravioletta serve più a distruggere le molecole che a costruirle. I minerali avrebbero potuto ripulire gli oceani dalle molecole organiche complesse come fanno oggi e il riciclo delle acque oceaniche attraverso sistemi idrotermali a elevata temperatura avrebbe probabilmente contribuito alla cosa.
Nel 1953 Stanley Miller e il premio Nobel Harold Urey fecero un esperimento in cui ricrearono condizioni molto simili (anche se non perfettamente identiche) a quelle della Terra primordiale. In un sistema sterile costituito da due sfere contenenti l'una acqua allo stato liquido e l'altra due elettrodi, collegate tra loro da un sistema di tubi sigillati, insufflarono idrogeno, metano e ammoniaca gassosi. L'acqua veniva scaldata per indurre la formazione di vapore mentre i due elettrodi venivano utilizzati per fornire scariche elettriche che simulavano fulmini. Poi il tutto veniva raffreddato in modo che l'acqua ricondensasse e ricadesse nella prima sfera. Quindi si ripeteva di continuo il ciclo. Dopo una settimana il 15% del carbonio aveva formato composti organici, tra cui diversi metaboliti e quattro dei venti amminoacidi che costituiscono le proteine.
Sorge però una difficoltà: gli amminoacidi delle nostre proteine devono avere una certa disposizione spaziale. Ecco allora la possibile influenza delle argille, che in precedenza si è già dimostrato abbiano una capacità selettiva in questo senso: si teorizza quindi che le argille abbiano guidato la nostra biochimica verso una precisa direzione.
Ovviamente questo è solo l’inizio: perché si arrivi agli organismi viventi, le molecole organiche devono diventare sempre più complesse, funzionalizzate e specifiche; hanno poi bisogno di raccogliersi in sistemi ordinati (protocellula) e avere un sistema molecolare che sia replicabile e trasmissibile (codice genetico). Solo arrivati a quel punto possiamo parlare di vita.
Questo è tutto, abitatori delle tenebre, spero che l’articolo vi sia piaciuto. In attesa del prossimo appuntamento con Ore d’Orrore io nel frattempo torno a riposare nella mia cripta.
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