Premessa
Sono passati alcuni anni da quando, ormai, proposi a LoSpazioBianco.it una bozza di articolo di approfondimento sul fumetto Bonelli dal titolo “Un problema di linguaggio”. L’articolo non vide mai la luce per diverse ragioni, in parte personali, in parte concettuali.
Delle ultime cito almeno tre problematiche che mi hanno fatto attendere:
- è proprio o improprio parlare del fumetto come di un linguaggio?;
- il linguaggio è un elemento specifico attraverso il quale è possibile analizzare il fumetto?;
- di cosa si parla quando si parla di linguaggio all’interno del fumetto (linguaggio testuale, visivo, sinestetico, ecc.)?
È indubbio, intuitivamente, che nelle produzioni Bonelli esista qualcosa che potremmo definire “problema” in merito all’attualità e all’efficacia del linguaggio utilizzato dagli autori (sceneggiatori e disegnatori). Ma con l’intuizione si comprendono molte cose che non sempre è possibile spiegare e descrivere su un piano più logico.
Ricordo che l’articolo con il quale maggiormente mi avvicinai al tema fu pubblicato su Harrydice… quando sviluppai una riflessione in merito all’uso delle note esplicative all’interno di una storia di Julia (harrydice.blogspot.it/2009/05/software.html). Accennai alla vocazione educativa e nazional-popolare delle produzioni Bonelli interrogandomi sull’attualità e la validità di tale approccio.
Oggi, quello stesso tema potrebbe essere il cuore di una riflessione in merito all’uscita del primo numero di Orfani, la nuova miniserie Bonelli ideata da Roberto Recchioni e Emiliano Mammucari.
Ambizione e aspettative
Gli obiettivi, in generale, sono dei diavoletti a due teste: da un lato segnano chiaramente la rotta; dall’altro creano delle aspettative che devono essere in qualche modo corrisposte. Ambizione e obiettivi sono motori importanti nella definizione della traiettoria artistica degli autori.
Recchioni è abituato a sparare in faccia ai lettori e agli addetti ai lavori sia l’una che gli altri, facendo largamente parlare di sé e assumendosi completamente i rischi delle sue posizioni. Le anticipazioni e le dichiarazioni generano curiosità e attenzione, ma rischiano di dare forma a castelli di carta che cadono al primo soffio di vento. Non mi sembra sia il caso di Orfani.
Ma tornando al tema in questione, Recchioni ha più volte posto l’accento, anche come neo editor della serie di Dylan Dog, sulla necessità di rinnovare il linguaggio fumettistico delle storie bonelliane.
A più riprese, ha inoltre suggerito che questa problematica è uno degli obiettivi espliciti della nuova serie Orfani.
Per inciso, ricordiamoci anche che il problema del linguaggio è solo una delle possibili chiavi di lettura di questa nuova avventura editoriale, ma che non ne esaurisce certo gli spunti o le interpretazioni.
Orfani
In estrema sintesi Orfani si configura come una serie fantascientifica post-apocalittica sviluppata su due linee temporali distinte, una che segue immediatamente l’attacco alla Terra da parte di una presunta razza aliena, l’altra che si sviluppa nel futuro narrativo rispetto alla prima e narra le vicende dell’attacco terrestre al pianeta dei nemici alieni.
Il filo rosso che unisce le due fabulae è un gruppo di persone, prima bambini e poi giovani soldati, che hanno perso i propri genitori durante l’attacco alieno, gli orfani del titolo appunto.
I temi centrali sono la guerra e la sopravvivenza, utilizzati come veri e propri motori delle vicende narrative.
Il pre-testo da cui prende vita la serie è composto da un insieme di suggestioni narrative e visive piuttosto chiare: la letteratura fantascientifica bellica classica, i supereroi americani, certa cinematografia fantascientifica dove sono scenari e azione a essere in primo piano, l’intrattenimento avventuroso.
- intervista a Roberto Recchioni: www.lospaziobianco.it/90550-orfani-intervista-roberto-recchioni-bonelli;
- riflessioni e anticipazioni sul progetto Orfani: www.lospaziobianco.it/75263-orfani-tavole-inedite-chiacchiere-roberto-recchioni
Colori
Il primo punto di non ritorno linguistico è il colore. Per la Sergio Bonelli Editore, Orfani è la prima serie interamente pensata a colori. Ciò definisce a priori un insieme di riflessioni e di scelte stilistiche inedite per il fumetto seriale italiano, che hanno a che fare sia con la narrazione sia con la produzione.
Nel primo caso, lo spazio delle scene nelle tavole, il tratto, l’inchiostrazione, la funzione emozionale del colore nelle diverse sequenze, la coerenza stilistica interna alla storia e agli scenari, sono tutti elementi inediti che non appartengono storicamente alla cultura del fumetto Bonelli.
Da quanto è possibile vedere nel primo numero, il team di Orfani ha lavorato egregiamente in questa direzione, realizzando scelte precise, di chiaro impatto visivo, sia dal punto di vista emotivo che interpretativo. Mammucari disegna al servizio del colore. Recchioni sceneggia immaginando l’enfasi che le potenzialità della colorazione offrono.
Ne è un chiaro esempio la sequenza che apre la storia: il cataclisma che arriva inaspettato è un insieme di rossi e bianchi. Lo stacco sulla scena successiva, caratterizzata da colori tenui, sul blu, definisce immediatamente sul piano emotivo lo scenario post-apocalittico, fatto di distruzione e di perdita (apparente) della speranza.
Non viene ricercato, ovviamente, un colore realistico, ma espressionista, non-descrittivo ma simbolico.
Per quanto riguarda la produzione, le scelte fatte devono tenere conto del supporto cartaceo utilizzato, delle dimensioni della tavola una volta stampata (il famoso formato quaderno della Bonelli) e dei costi che devono permettere all’editore di mantenere un prezzo popolare, come da tradizione. Difficile al momento valutare la riuscita o meno di tali scelte, avendo letto il fumetto in anteprima in formato elettronico. Facile pensare che la tradizionale professionalità dell’editore milanese porterà a risultati soddisfacenti.
Concept
Orfani appare come una serie, per così dire, concept-oriented: si sviluppa da un’idea, un concept narrativo, che ne definisce e condiziona gli sviluppi e le dinamiche.
Un approccio decisamente distante da quello eroe-centrico tipico della Bonelli e più vicino alle più attuali scelte dell’entertainment statunitense, sia nell’ambito del fumetto popolare che in quello televisivo. Per quanto il gruppo degli orfani sia il protagonista della storia, a giudicare dal primo numero, sono scenario e dinamiche narrative conseguenti a dettare il passo alle vicende. Sul piano stilistico questo porta ad alcune importanti divaricazioni rispetto alla tradizione.
In primo luogo una forte stilizzazione e semplificazione dei personaggi e dei dialoghi.
Se lo sviluppo a partire dal concept è l’aspetto centrale, e anche la chiave principale di lettura delle vicende, molti altri aspetti possono essere lasciati in secondo piano, ridotti o semplificati.
In secondo luogo un chiaro riferimento, per così dire, genetico al pre-testo culturale e narrativo che il concept richiama. Il lettore che si ritrova immerso in un determinato scenario, può dedurre un alto numero d’informazioni da tutto quello che ha già letto o visto all’interno di paradigmi simili.
In terzo luogo lo sviluppo ad ampio respiro delle vicende. Il primo numero della serie pone le basi, presenta lo scenario, definisce il concept. Agli autori il tempo e l’opportunità di svilupparlo nei numeri successivi, di spiegarlo, di ampliarlo, di sovvertirlo.
La narrazione concept-oriented riduce il processo d’identificazione del lettore in uno specifico personaggio, ma ne stimola la compartecipazione all’azione. Possiamo dire, per certi versi, che tale impostazione sposta le aspettative del lettore sullo sviluppo delle vicende, prima ancora che sulla conoscenza dei personaggi.
Recchioni e Mammucari dimostrano una buona consapevolezza di tale impostazione, assumendosene anche tutti i rischi. Che non sono pochi, soprattutto se valutati in relazione alle aspettative e ai desiderata del tradizionale lettore Bonelli.
Da molti punti di vista, Orfani n.1 può apparire eccessivamente schematico, superficiale e stereotipato. Inoltre, alcuni passaggi narrativi non vengono spiegati, quasi fossero irrilevanti, mentre rappresentano elementi cardine della vicenda. L’esempio più eclatante è la non spiegazione di come, a distanza di poco tempo dall’avvenuto cataclisma con cui si apre la storia, la comunità internazionale sia in grado di dire che la tragedia sia dovuta a un attacco di una forza bellica aliena.
Solo l’impostazione concept-oriented può motivare tale lacuna, che agli occhi di alcuni lettori può apparire una leggerezza eccessiva. È possibile soprassedere a tale spiegazione, all’interno del primo numero della serie, solo perché l’attenzione viene spostata sulle conseguenze dello scenario (che è il concept della serie) e perché la narrazione ad ampio respiro lascia agli autori la possibilità di tornare su tale “omissione” nel futuro.
Dialoghi
In un recente post su Twitter, lo sceneggiatore Michele Medda diceva (e vado a memoria) che nel fumetto non esistono dialoghi realistici (o non) ma solo dialoghi che funzionano (o no) [
Il dialogo, in un fumetto, non può essere mai realistico. E nemmeno irrealistico. O è scorrevole oppure non lo è.— Michele Medda (@MicMedda) August 22, 2013 ">
Il dialogo, in un fumetto, non può essere mai realistico. E nemmeno irrealistico. O è scorrevole oppure non lo è.— Michele Medda (@MicMedda) August 22, 2013
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La finzione narrativa, soprattutto in un fumetto avventuroso, richiede la semplificazione e la distorsione della realtà ai fini della narrazione stessa.
Il problema di linguaggio per le produzioni Bonelli ha molto a che fare con la scrittura dei dialoghi (o, per dirla in altri termini, col modo in cui parlano i personaggi). Ma non è possibile analizzare questo tema a prescindere dalle aspettative dei lettori o, specularmente, dal target di riferimento che hanno in testa gli sceneggiatori e l’editore. Due esempi che si collocano agli estremi opposti possono chiarire questa considerazione.
Julia di Berardi (e Calza e Mantero) è oggi la serie con i dialoghi più moderni e crudi (o diretti) che si possano leggere in Bonelli.
Tex presenta al contrario dialoghi dall’impostazione classica, che potremmo definire fuori dal tempo.
È possibile dire se e quale delle due scelte è corretta? Probabilmente, in relazione alle necessità delle due testate, entrambe.
Diverso è valutare, per esempio, l’impostazione dei dialoghi di Dylan Dog (per tornare a un tema caro allo stesso Recchioni). L’approccio addomesticato, freddo e “fuori dal tempo” del “parlato” dei personaggi è senza dubbio uno dei problemi più rilevanti della serie, e dà la perfetta misura della difficoltà da parte dell’editore di cogliere appieno le potenzialità del personaggio. Dylan Dog si è configurato da sempre, grazie alla sensibilità e all’abilità di Tiziano Sclavi, come un personaggio che vive nel suo tempo e del suo tempo. I dialoghi (e più in generale la sceneggiatura) sono stati uno strumento chiave per il successo della serie negli anni ’80 e ‘90. Non comprendere come tale caratteristica definisca e influenzi l’essenza stessa del personaggio è stato uno dei principali errori commessi dai curatori della testata, Marcheselli prima, Gualdoni poi.
In Orfani, Recchioni opera una scelta chiara e netta: la modernità deve essere al primo posto. Lo sceneggiatore sceglie quindi di puntare su dialoghi eccitanti, vivaci, coloriti, semplici e rapidi.
La scansione delle tavole è contrappuntata da pochi baloon, raramente di grandi dimensioni, dove poche frasi secche e incisive, sopra le righe e intenzionalmente d’effetto muovono la vicenda e definiscono le dinamiche tra i personaggi e i caratteri.
Una scelta coerente con l’impostazione concept-oriented di cui abbiamo già parlato ma che non sempre lascia soddisfatti.
Se, infatti, appare chiara l’intenzione dell’autore, al lettore spesso arriva un’amara sensazione di posticcio, d’irrealismo spinto all’eccesso. La scuola di riferimento è senza dubbio un certo hype derivante dal fumetto supereroistico statunitense.
Ma quello che sembra semplicemente funzionare nel fumetto statunitense (complice anche la naturale sintesi ed enfasi simbolica della lingua inglese), in Orfani mette spesso a disagio. Il realismo non è la chiave, come detto. Ma la coerenza narrativa (e linguistica) necessita forse un maggiore equilibrio nelle scelte. Il rischio è di sentire i personaggi parlare tutti nello stesso modo, attraverso frasi fatte, “telefonate” e incoerenti con le caratteristiche intrinseche degli stessi.
Un esempio su tutti è quello del modo con cui i ragazzini della prima linea temporale parlano tra loro. Non ci si aspetta certo l’infantilismo. Non si sottovaluta la necessità psicologica di bambini posti in una situazione di grave crisi e pericolo a crescere in fretta. Ma in troppi momenti, i dialoghi di questa parte di storia hanno espresso pensieri che difficilmente possono occupare la mente dei bambini. Irrealismo funzionale alla narrazione o eccessiva semplificazione?
Tavole
Per chiudere in modo circolare quest’articolo, è infine importante ritornare alla parte visiva della serie, soffermandosi sui disegni e sull’impostazione delle tavole di Orfani.
Mammucari e Recchioni rispettano diligentemente la griglia classica bonelliana (6 vignette per tavola), senza particolari sovvertimenti. Ma è all’interno di questa struttura che gli autori imprimono cambiamenti linguistici innovativi rispetto alla tradizione Bonelli.
La struttura ternaria delle strisce nelle singole tavole viene modificata continuamente, privilegiando per lo più uno sviluppo orizzontale funzionale alla spettacolarizzazione delle scene. All’interno delle vignette, le scelte “registiche” sono spesso all’insegna del dinamismo e dell’enfasi e si legano efficacemente all’impostazione sintetica e movimentata dei dialoghi di cui abbiamo parlato sopra.
Mammucari, che ritengo essere uno dei più importanti talenti del fumetto seriale italiano, dimostra grande padronanza del segno, una buona capacità di rielaborare in uno stile personale i molti riferimenti visivi alla base della serie (la tradizione statunitense che si fonde con quella italiana, l’equilibrio tra modernità e classicità), di trovare un’ottima sintesi tra semplificazione del tratto e cura dei particolari.
Da quest’ultimo punto di vista, in Orfani tutto appare sostanzialmente anonimo eppure pensato, non casuale. S’intuisce un alto livello di consapevolezza dei mezzi stilistici a disposizione. Aspetto che emerge chiaramente se si confronta la diversità di scelte realizzate per le vicende delle due linee temporali e i relativi scenari di riferimento e che si sposano in modo originale ed efficace con la colorazione.
Sarà interessante capire come riusciranno a mantenere quest’omogeneità stilistica gli altri disegnatori che si succederanno a Mammucari nei prossimi numeri. Una sfida visiva importante e non banale, a maggior ragione perché l’impostazione concept-oriented e il genere fantascientifico scelto dagli autori comportano grandi rischi di banalizzazione linguistica, come suggerito nelle riflessioni precedenti.
Conclusioni
La prima serie a colori della Sergio Bonelli Editore è una sfida alla modernità per il fumetto seriale italiano. Possiamo girare la questione come vogliamo, ma questo è un fatto.
Tale sfida nasce dall’ambizione di Recchioni e Mammucari, e dalla comprensione di un momento (culturale ed editoriale) importante nel fumetto italiano. L’editore milanese ha già da tempo aperto la strada a iniziative inedite e divergenti rispetto alla sua tradizione (una serie concept-oriented in Bonelli è già stata realizzata, per esempio, da Michele Medda con la sua Caravan), ma non ha mostrato sinora una determinazione chiara e indiscutibile rispetto a questa possibilità.
L’esordio di Dragonero ne è un chiaro e infelice esempio. Percorrere una strada inesplorata, infatti, come nel caso del fantasy, pone di fronte a scelte stilistiche complesse che, per ora, nel caso della serie in questione, si sono rilevate deludenti e, probabilmente, del tutto fuori tempo massimo. Il primo numero di Orfani, al contrario, appare una prova editoriale più chiara, decisa e coerente. Non priva di rischi, rappresenta una reale opportunità di rinnovamento, che potrebbe gettare i semi per future, ulteriori prove in questa direzione.
La semplicità (o semplificazione) di molte scelte possono essere limiti o risorse. Sarà il lettore a definirne la connotazione.
È certo che, nel panorama seriale, Orfani ha il punto di forza di voler percorrere una strada concettuale e produttiva inedita.
La speranza, da uno sguardo critico e consapevole, è che gli autori non si limitino a svolgere una banale reinterpretazione di canoni narrativi precedenti, con il facile gioco dell’ammiccamento al lettore.
Ma che utilizzino l’opportunità che si sono abilmente costruiti insieme all’editore, per raccontare qualcosa che valga davvero la pena di essere letto.
Il Trailer
Abbiamo parlato di:
Orfani #1 – Piccoli Spaventati Guerrieri
Roberto Recchioni, Emiliano Mammucari
Sergio Bonelli Editore, Ottobre 2013
98 pagine, brossurato, colori – € 4,50
Note:
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Il dialogo, in un fumetto, non può essere mai realistico. E nemmeno irrealistico. O è scorrevole oppure non lo è.
— Michele Medda (@MicMedda) August 22, 2013
[↩]
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