Magazine Cinema
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Secondo capitolo della trilogia cominciata con Le sang d'un poète.
Una rivisitazione in chiave moderna del mito di Orfeo, immesso in una città francese degli anni ’50. Orfeo diventa un poeta e da il destro a Cocteau per continuare il discorso iniziato in Le sang du poet sul ruolo dell’artista nella società, in questo caso come ponte fra i mondi… ma francamente questo è il meno. La storia è surreale nelle scene iniziali, poi si fa via via più razionale ed inerente al mito, di pari passo le invenzioni visive da rade si fanno sempre più fitte, con l’espressione massima nelle immagini dell’aldilà.
Ecco il punto del film è, come sempre in Cocteau, l’immagine. Cocteau amava gli effetti visivi (oggi diremmo effetti speciali) ed era un maestro nel realizzarli affinché stupissero, ma soprattutto, creassero un mood adatto al clima del film. Trucchi nelle prospettive, nei paesaggi che sono in realtà pavimenti inquadrati dall’alto, specchi che sono porte fatte d’acqua, il rewind nel far resuscitare le persone o nel mettere i guanti, le orchestrazioni perfette nelle scene in cui si inquadrano specchi che in realtà non esistono ecc… poche sono le idee realmente, ma in questo film vengono utilizzate in maniera maggiore che non ne La bella e la bestia e sono poste in un film con una trama, una storia, vera e propria (che mancava in Le sang du poet) che ne semplifica la fruizione e che ne giustifica l’utilizzo.
PS: quando il paesaggio fuori dall’auto viene mostrato come il negativo ella pellicola credo sia impossibile non pensare a Nosferatu.
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