Orientalia, la Rete e la ricerca umanistica

Creato il 15 aprile 2010 da Antonio Maccioni

A me il piglio garbato e semplice che si trova dietro i post di Enrica Garzilli piace molto. Ricorda quasi il modo di fare della Rete di un tempo: quella della prima Open Directory, quella che raccontano i vecchi, quella dei signori che allora c’erano, quella che aveva un’etica ed era fondata – come dicono loro – sul rispetto reciproco e sull’onestà. Enrica Garzilli cura Orientalia4all che è uno dei blog più popolari e più veri in circolazione. Intorno alla metà degli anni Novanta ha fondato le riviste accademiche online International Journal of Tantric Studies e Journal of South Asia Women Studies, da tempo lavora ad Harvard e ha un curriculum fitto di pubblicazioni e ricerche, incontri e conferenze, recensioni e contributi. Erede spirituale di Giuseppe Tucci, cura un bel blog dedicato allo storico delle religioni orientali: riceve lettere di studenti e studentesse che le chiedono suggerimenti, consigli, indicazioni. Quando in buona sostanza pretendono che finisca col risolvere persino le ricerche al posto loro, allora lei risponde, garbatamente, spiegandolo in pubblico, svelando un segreto: dovete citare, e poi leggete, lavorate.

Qual è dal tuo punto di vista il rapporto tra la Rete e il mondo della ricerca umanistica?

La rete è da anni uno strumento indispensabile per la ricerca, l’archiviazione, l’indicizzazione di dati, e anche per la consultazione di testi in lingua originale e traduzione, che ormai sono disponibili in rete anche a cura dei governi. Per es. l’India sta scannerizzando e rendendo liberamente accessibili milioni di manoscritti in sanscrito, ma ci sono testi in arabo, aramaico e così via. Senza contare che una notizia che appare in rete viene ripetuta e copiata da chissà quanti altri siti, forum e newsgroup, quindi si perde nei meandri dell’umanità, letteralmente. Circola.
Certo, nei paesi del terzo mondo la rete e la banda larga sono ancora per pochi, ma per esempio in India si parla, e si pratica, la e-governance a livello di stati e di nazione sin dal 2005, da ben prima che in Italia. E anche in paesi sperduti dell’Africa ora si trovano degli Internet point, come anche in regioni impervie del Nepal. La rete è indispensabile anche per la condivisione di documenti e la collaborazione fra colleghi da una parte all’altra del globo. Io, per esempio, dal 1995 pubblico le prime due riviste accademiche online, il Journal of South Asia Women Studies e l’International Journal of Tantric Studies, ambedue telematici, ambedue peer-reviewed, con un comitato scientifico internazionale di noti studiosi che risiedono in Giappone, in India, negli USA, in Germania e così via. Non ho mai visto in faccia la maggior parte degli editor e nessuno di quelli che ha contribuito con articoli o recensioni. Come avremmo potuto incontrarci e lavorare insieme senza meeting online, conferenze su Skype, senza ricevere file e correzioni via email e così via?

Credi che l’open access sia la strada giusta per rendere più democratica la ricerca?

Dipende: se la ricerca è sponsorizzata da un’istituzione o una università allora l’open access è giusto e, oltre tutto, si facilitano gli studi e la collaborazione scientifica agli abitanti dei paesi più poveri; se lo studioso se la paga da solo, o se è una organizzazione che si auto-finanzia, il discorso è diverso. Non è giusto che si producano contenuti e/o dati e lo studioso o l’organizzazione li mettano liberamente in rete, dato che in qualche modo si dovrà pur campare. Oltre tutto copiano tutto verbatim, io ne so qualcosa, e con un copyright i danni si limitano o perlomeno si possono perseguire quelli che copiano.

Qual è il rapporto del web 2.0 con l’editoria tradizionale? O meglio: a che punto è arrivata l’influenza del lettore medio (filtrata dalla rete) nel processo di produzione editoriale?

Ormai tutti pubblicano romanzi, poesie e quant’altro con poca spesa, addirittura da soli o con servizi di publishing on request per pochissimi soldi. Oppure pubblicano rendendo accessibili le proprie cose o scaricabili. E come per tutte le cose di massa, il livello medio è basso.
Però questa offerta di contenuti viene anche stimolata dalla richiesta: per ognuno che scrive in rete ci sarà sempre qualcuno che legge. Non così sulla carta, per molte ragioni: innanzi tutto i costi. Ma anche la pigrizia del reperimento di testi.
L’editoria “vera”, cartacea, penso che seguirà i giornali: meno cose, meno pubblicazioni, ma di miglior qualità. L’editoria online di qualità già si paga.

È più autorevole e credibile un critico letterario tradizionale o un blogger libero e disinteressato?

Chi l’ha detto che il blogger sia libero e disinteressato? Io ne conosco pochi così, pochissimi anzi. Penso che un critico letterario che sappia il fatto suo sia più autorevole ma non per questo più credibile: ci sono troppi interessi coinvolti. Certo, ci sono anche i critici di cui si sa per chi criticano e da chi sono sponsorizzati, o per chi scrivono (spesso basta vedere il proprietario della casa editrice della rivista o il giornale per cui lavorano), quindi il gioco è chiaro. Questi li preferisco nettamente alla maggior parte dei blogger: almeno so con chi parlo. Ed è professionale. Fra i blogger i tuttologi si sprecano, invece. Oltre tutto (quei critici) ci mettono la faccia, la professione e la credibilità, appunto. I blogger fanno tutt’altro, non è un lavoro. Quindi, tutto sommato, perdono poco. Di un critico anche dopo morto l’opera rimane. I post di un blogger? Non so, non credo.

Tu perché hai aperto un blog?

Nel 1995 ho aperto le riviste, che sono anche blog, per motivi professionali, insieme ad alcuni colleghi di Harvard; nel 2004 ho aperto Orientalia4all e nel 2006 Giuseppe Tucci per compagnia, visto che faccio studi molto settoriali. Per non stare nella turris eburnea degli studi per pochi, della comunicazione per pochissimi. Per il dialogo, per i commenti dei lettori, soprattutto. Riguardo al blog Giuseppe Tucci, per far conoscere la figura del maestro. Per non mettermi il burqa mentale, per avere stimoli nuovi, per condividere le mie idee sull’Asia o sul mondo.

Qual è stato l’impatto sul tuo percorso di studio?

L’impatto del blog? Nessuno.

La Rete ucciderà il libro o gli darà una nuova primavera?

Il libro non sarà mai ucciso, per fortuna, ha il suo grande fascino, ma certo è che si leggerà sempre più su kindle, iPad e così via. Anche per questioni di spazio, visto che la carta costa, pesa, prende un sacco di spazio e si impolvera. Vieni a casa mia e vedrai. Se trovi uno spazio per poggiare un bicchiere sei fortunato.


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