Omnipresent ricopre una posizione particolare all’interno della corposa discografia del gruppo proveniente dal Kansas. Segna infatti l’ingresso in formazione dell’ex Skinless Jason Keyser alla voce, più quello di tutta una serie di novità che, almeno all’inizio, spiazzeranno i fan più intransigenti. L’impressione principale, percepibile attraverso l’ascolto, è la diversificazione costante di un assalto sonoro brutale pur nel mantenimento di una precisione chirurgica quanto a esecuzione. Il death metal ultratecnico degli Origin è paragonabile a un colosso che si muove con agilità inaspettata e sorprendente in rapporto alle sue dimensioni. È oltremodo significativo, però, aver puntato – rispetto al passato recente – più sull’immediatezza e la fluidità lineare dei passaggi che non su una dimostrazione di abilità che, alla lunga, poteva risultare di difficile assimilazione. L’impatto sonoro è devastante fin dalle prime tracce “All Things Dead” e “THRALL:FULCRUM:APEX” , con il ricorso indovinato a linee vocali “bipartisan” (growling e screaming), che si alternano in modo costante fino a sovrapporsi e conferiscono ai singoli brani una profondità sconosciuta al genere. Gli interventi solistici vengono dosati in modo accorto: abbiamo partiture chitarristiche (“Permanence” e “Continuum”) e tastieristiche (“Obsolescence”) che, lungi da risultare troppo dispersive, aumentano il peso specifico di un album con il quale gli Origin si spingono sempre più lontano nella sperimentazione. Quest’ultima prova è contraddistinta infatti da richiami al thrash metal di ultima generazione, soprattutto nelle porzioni cadenzate e ricche di groove (la spettacolare “Source Of Icon O”), e dalle inaspettate sequenze quasi death’n’roll di “Redistribution Of Filth”. Le tematiche prescelte vertono sugli effetti negativi della produzione di massa, della manipolazione genetica, del sovraffollamento del pianeta, fino alla teoria elaborata da Thomas Robert Malthus sul controllo delle nascite al fine di scongiurare il graduale depauperamento delle risorse naturali non rinnovabili e dunque della distruzione dell’ecosistema terrestre. In conclusione Omnipresent, in apparenza slegato e frammentato, si sedimenta attraverso curve sinuose e con sottigliezza progressiva tra le pieghe del dettato sonoro, fino a dipingere, al termine dell’ascolto, un quadro d’insieme che possiede una sua valida ragione d’essere.
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