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Discutere le premiazioni post-Oscar è noioso quasi quanto il red carpet che le precede, oppure la serata stessa, ormai da anni fiacca e faticosa. Eppure fa parte di quello che chiamano sporco lavoro che qualcuno dovrà pur fare e a farlo ci pensa chi, come me, tiene al cinema e si lascia coinvolgere dai premi e dai riconoscimenti.
Lo scopo è vedere se a vincere è il tuo favorito, se c’è qualche sorpresa che va oltre i pronostici e, di solito, si resta sempre delusi perché, proprio come accade per chi fa cinema, la notte degli Oscar va rigorosamente seguendo un copione già scritto.
E questa 85esima edizione non ha cambiato i programmi. Di andare controcorrente o lasciare basiti non se l’è sentita, se non per il premio del quale non si fa altro che discutere della miglior regia andato – erroneamente secondo alcuni - ad Ang Lee e non a Steven Spielberg. Giusto o sbagliato è un punto di vista, sono entrambi ottimi registi e se meritava uno anziché l’altro è un argomento di discussione inutile e privo di alcuna conclusione. Per cui passiamo oltre.
Passiamo alla serata, allo show, che proprio a causa della prevedibilità diventa fondamentale per reggere le circa tre ore e mezza di durata. Discorsi di ringraziamento a parte l’attesa era tutta per il presentatore nonché creatore de “I Griffin”, Seth Macfarlane, che con il suo umorismo scorretto prometteva di scuotere una nottata che negli ultimi anni istigava più a spegnere la televisione e a rimboccarsi le coperte che ad altro. Non ce stato nulla da fare però, anche lui si è dovuto arrendere alla noia degli Oscar, non è stato sufficiente inserire balletti e canzoni provando quasi a trasformarla in un musical, l’ironia ha funzionato pochissimo e i momenti più alti, fa strano a dirsi, sono venuti da alcuni dei discorsi fatti dai premiati.
Pur apprezzando (moltissimo) il revival di Catherine Zeta Jones, ancora in formissima e tornata nei panni di Velma Kelly reinterpretando con ottimi risultati la canzone di "Chicago", "All That Jazz", a lasciare un solco sono stati Daniel Day-Lewis, Quentin Tarantino e Ben Affleck, premiati rispettivamente per il migliore attore protagonista (stabilendo il record di tre oscar vinti in questa categoria), la migliore sceneggiatura originale (seconda volta dopo "Pulp Fiction") e il miglior film (premiazione letta direttamente da Michelle Obama). Il primo ha scherzato con Meryl Streep dicendo che era in corsa per interpretare Margaret Thatcher (il ruolo con cui la Streep l’anno scorso aveva vinto il premio come migliore attrice protagonista) mentre per Lincoln, Spielberg, puntava a lei come prima scelta; il secondo ha detto di essere onorato che i personaggi scritti per i suoi film vengano apprezzati per durare nel tempo e il terzo si è lasciato andare ad un discorso sentitissimo celebrando anche la propria moglie e l’impegno con cui tiene saldo il loro sfavillante matrimonio.
Come detto per i premi poche sorprese. Io posso continuare a scrivere di cinema (come sto facendo ora), Anne Hathaway ha vinto l’Oscar per la migliore attrice non protagonista e la sua interpretazione di Fantine in “Les Misérables” andava premiata a tutti i costi, evitando anche di far scomodare gli altri quattro nominati a presentarsi in sala. Stesso discorso vale per Christoph Waltz che ogni volta che lavora con Tarantino prende la nomination per l’attore non protagonista e poi puntualmente la statuetta. Dispiaceri arrivano invece da Jessica Chastain, per non aver portato a casa il premio della migliore attrice protagonista che meritava di più rispetto alla pur brava Jennifer Lawrence, e per la migliore sceneggiatura originale mancata da “Moonrise Kingdom” in favore di “Django Unchained”, che comunque riscatta, parzialmente, il conto in sospeso che Mr. Quentin portava con l’Academy da “Inglorious Basterds”.
Il miglior film e la migliore sceneggiatura non originale vanno ad "Argo", ma ce lo aspettavamo tutti, come ci aspettavamo di vedere Steven Spielberg sul palco con in mano il suo terzo Oscar alla regia, ma la variabile impazzita di Ang Lee l’ha colpito e affondato. “Vita di Pi” ha portato a casa anche altri premi tecnici che ha diviso insieme a “Les Misérables”. Il miglior film d'animazione è "Ribelle - The Brave" e il miglior film straniero "Amour". Il colosso “Lincoln” allora è lo sconfitto di turno, da dodici nomination di partenza, esce ridimensionato e si porta a casa, oltre al migliore attore protagonista, solo la migliore scenografia. Forse un riconoscimento un po’ troppo ingrato quello che ha restituito l’Academy a un film del genere, ma del resto, su questo genere di discorsi, ognuno ha il diritto di tenere un suo punto di vista.
C'est la vie.
A questo link troverete tutti i vincitori mentre cliccando qui troverete i preferiti di Inglorious Cinephiles.
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