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Oscar Wilde – Il ritratto di Dorian Gray 18

Creato il 12 settembre 2012 da Marvigar4

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Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray
Traduzione dall’originale inglese The Picture of Dorian Gray
di Marco Vignolo Gargini

Capitolo XVIII

   Il giorno dopo non si mosse da casa e, anzi, passò la maggior parte del  tempo nella sua stanza, angosciato fino alla nausea dal terrore di morire, anche se indifferente alla vita stessa. La consapevolezza d’essere braccato, intrappolato, scovato, aveva cominciato a dominarlo. Se le tende si muovevano appena mosse dal vento, lui si scuoteva. Le foglie morte sbattute contro i vetri piombati gli parevano come le sue decisioni sprecate e i rimpianti folli. Quando chiudeva gli occhi, vedeva ancora la faccia del marinaio che lo spiava attraverso il vetro appannato dalla nebbia, e l’orrore sembrava ancora posargli la mano sul cuore.
   Ma forse era stata solo la sua fantasia che aveva evocato la vendetta dalla notte e gli aveva messo davanti le figure atroci della punizione. La vita reale è caos, ma c’era qualcosa di terribilmente logico nell’immaginazione. Era l’immaginazione che spingeva il rimorso a perseguitare le orme del peccato. Era l’immaginazione che costringeva ogni delitto a portare il peso della sua prole mostruosa. Nel mondo comune dei fatti i malvagi non erano puniti, né i buoni ricompensati. Il successo era dato ai forti, il fallimento gettato sui deboli. Ecco tutto. Inoltre, se un estraneo si fosse aggirato intorno alla casa, sarebbe stato visto dai domestici o dai guardiani. Se si fosse trovata qualche impronta sulle aiuole, i giardinieri lo avrebbero riferito. Sì, era stata soltanto la fantasia. Il fratello di Sybil Vane non era tornato per ucciderlo. Era salpato con la sua nave per affondare in qualche mare invernale. Da lui, in ogni caso, era scampato. E poi, l’uomo non sapeva, non poteva sapere chi fosse. La maschera della giovinezza lo aveva salvato.
   Eppure, se fosse stata solo un’illusione, com’era terribile pensare che la coscienza potesse suscitare fantasmi così spaventosi, dare loro forma visibile, e farli muovere davanti a noi! Che razza di vita sarebbe stata la sua se, giorno e notte, le ombre del suo delitto avessero iniziato a spiarlo dagli angoli silenziosi, a deriderlo da posti segreti, a bisbigliare nel suo orecchio mentre era a una festa, a svegliarlo con dita gelate quando era a dormire! Appena il pensiero serpeggiava nella sua mente, impallidiva dal terrore e l’aria gli pareva esser diventata improvvisamente più fredda. Oh! In quale folle ora di pazzia aveva ucciso il suo amico! Com’era orrenda la sola memoria della scena! Rivedeva tutto. Ogni dettaglio raccapricciante gli tornava in mente sommando orrore a orrore. Dalla nera caverna del tempo, terribile e avvolta in panni scarlatti, si ergeva l’immagine del suo peccato.
   Quando Lord Henry giunse alle sei, lo trovò che piangeva come se gli si fosse spezzato il cuore.
   Fu soltanto al terzo giorno che osò uscire. C’era qualcosa nell’aria limpida e fragrante di pini di quel mattino d’inverno che sembrava restituirgli la gioia e il desiderio ardente di vita. Ma non era soltanto la condizione fisica dell’ambiente ad aver causato il cambiamento. La sua stessa natura si era rivoltata contro l’eccesso di angoscia che aveva cercato di mutilare e rovinare la perfezione della sua serenità. Con i temperamenti sottili e raffinati è sempre così. Le loro forti passioni devono spezzare o piegare. O ammazzano o muoiono loro stesse. I dolori superficiali e gli amori superficiali continuano a vivere. Gli amori e i dolori che sono grandi vengono distrutti dalla loro stessa pienezza. Inoltre, si era convinto d’esser stato vittima di un’immaginazione terrorizzata, e ora rivedeva le sue paure con una qualche pietà e non poco disprezzo.
   Dopo colazione, passeggiò per un’ora nel giardino con la duchessa e poi attraversò in carrozza il parco per unirsi alla partita di caccia. La brina simile a sale ricopriva l’erba. Il cielo era una tazza rovesciata di metallo azzurro. Una fine pellicola di ghiaccio cingeva il lago immobile e i i canneti. All’angolo della pineta intravvide Sir Geoffrey Clouston, il fratello della duchessa, che gettava due cartucce vuote dal fucile. Saltò giù dal calesse e, dopo aver ordinate allo stalliere di riportare a casa la giumenta, andò incontro al suo ospite facendosi varco tra le felci secche e i cespugli incolti.
   «È andata bene la caccia, Geoffrey?» chiese.
   «Non molto bene, Dorian. Credo che la maggior parte degli uccelli ha preso il largo. Forse andrà meglio dopo pranzo, quando ci sposteremo su un altro terreno.»
   Dorian gli si affiancò. L’aria pungente e aromatica, le luci brune e rosse che luccicavano nel bosco, le urla rauche dei battitori che risuonavano di tanto in tanto, e i colpi secchi dei fucili che seguivano, lo affascinavano riempiendolo di un senso di deliziosa libertà. Era dominato dalla spensieratezza della felicità, dall’alta indifferenza della gioia.
   Improvvisamente, da un ciuffo folto di erba vecchia a una ventina di iarde da loro, con le orecchie ritte dalla punta nera e le lunghe zampe posteriori che scattavano, balzò una lepre. Puntò dritto a un boschetto di ontani. Sir Geoffrey prese il fucile, ma nel movimento grazioso dell’animale c’era qualcosa che incantava stranamente Dorian Gray, che gridò subito: «Non colpirla, Geoffrey. Lasciala vivere.»
   «Che sciocchezze, Dorian!» rise il suo compagno, e mentre la lepre balzava nel boschetto, sparò. Si sentirono due grida, quello di dolore di una lepre, che è orribile, e quello di un uomo agonizzante, che è peggio.
   «Santi numi! Ho preso un battitore!» esclamò Sir Geoffrey. «Che stupido a mettersi davanti ai fucili! Non sparate, laggiù!» urlò con tutta la voce che aveva. «Un uomo è ferito.»
   Il guardiacaccia arrivò correndo con un bastone in mano.
   «Dove, signore? Dov’è?» urlò. Nello stesso tempo cessò il fuoco su tutta la linea.
   «Qui.» rispose Sir Geoffrey arrabbiato, precipitandosi verso il boschetto.
   «Perché non tiene dietro i suoi uomini. La mia caccia per oggi è rovinata.»
   Dorian li guardò mentre si addentravano nel folto di ontani, scostando i rami flessibili e oscillanti. Dopo poco uscirono fuori, trascinando un corpo alla luce del sole. Si voltò inorridito. Gli sembrava che la sfortuna lo seguisse ovunque. Sentì Sir Geoffrey chiedere se l’uomo era davvero morto, e la risposta affermativa del guardiacaccia. Ebbe l’impressione che il bosco fosse all’improvviso animato di volti umani. C’era il calpestio di mille piedi e il brusio sommesso delle voci. Un grande fagiano con il petto color rame volò tra i rami sopra di loro sbattendo le ali.
   Dopo pochi istanti, che nel suo stato confusionale erano per lui come ore interminabili di pena, sentì una mano posarsi sulla spalla. Trasalì e si guardò intorno.
   «Dorian» disse Lord Henry, «È meglio che dica loro che la caccia per oggi è finita. Non sarebbe bello proseguire.»
   «Vorrei che fosse finita per sempre, Harry» rispose amaramente. «È una cosa orribile e crudele. L’uomo è…?»
   Non riuscì a finire la frase.
   «Temo di sì» replicò Lord Henry. «Si è preso l’intera carica di tiro nel petto. Deve essere morto quasi all’istante. Vieni; andiamo a casa.»
   Camminavano fianco a fianco in direzione del viale per quasi cinquanta metri senza parlare. Poi Dorian fissò Lord Henry e disse con un profondo sospiro: «È un brutto presagio, Harry, un bruttissimo presagio.»
   «Cosa?» chiese Lord Henry. «Oh! Questo incidente, credo. Mio caro amico, non c’era niente da fare. È stata colpa dell’uomo. Perché si è messo davanti ai fucili? E poi, non ci riguarda. È piuttosto seccante per Geoffrey, ovviamente. Non va bene impallinare i battitori. Fa pensare che si è un pessimo tiratore. E Geoffrey non lo è. Lui spara molto preciso. Ma non ha senso parlarne.»
   Dorian scosse il capo. «È un brutto presagio, Harry. Ho la sensazione che qualcosa di orribile sta per accadere a uno di noi. Forse a me» aggiunse passandosi la mano sugli occhi con un gesto di sofferenza.
   Il più anziano dei due rise. «La sola cosa orribile al mondo è l’ennui, Dorian. Questo è l’unico peccato per cui non c’è perdono. Ma non andremo a soffrirne, a meno che questi tipi non continuino a parlare di questo fatto a cena. Debbo dire a loro che l’argomento è tabù. In quanto ai presagi, è una cosa che non esiste. Il destino non ci manda degli araldi. È troppo saggio o troppo crudele per farlo. Inoltre, cosa mai potrebbe succederti, Dorian? Hai tutto quello che un uomo può desiderare. Non c’è nessuno che non sarebbe lieto di fare cambio con te.»
   «Non c’è nessuno con cui i non vorrei fare cambio, Harry. Non ridere così. Ti sto dicendo la verità. Quel contadino disgraziato che è morto ora sta meglio di me. Io non ho il terrore della morte. È l’arrivo della morte che mi atterrisce. Le sue ali mostruose sembrano ruotare nell’aria plumbea intorno a me. Santo cielo! Non vedi un uomo dietro gli alberi laggiù, che mi guarda, che mi aspetta?»
   Lord Henry guardò nella direzione che la mano tremante inguantata stava indicando. «Sì,» disse sorridendo, «vedo il giardiniere che ti aspetta. Penso che voglia chiederti quali fiori vuoi mettere a tavola stasera. Come sei assurdamente nervoso, mio caro! Devi andare dal mio medico quando torniamo in città.»
   Dorian tirò un sospiro di sollievo vedendo il giardiniere che si avvicinava. L’uomo si toccò il cappello, dette un’occhiata per un momento a Lord Henry in un modo esitante, e poi tirò fuori una lettera, che porse al suo padrone.
   «Sua Grazia mi ha detto di aspettare una risposta» mormorò.
   Dorian si mise la lettera in tasca. «Di’ a Sua Grazia che sto arrivando» disse con freddezza. L’uomo si voltò avviandosi rapidamente verso la casa.
   «Come amano le donne fare cose pericolose!» rise Lord Henry. «È una delle loro qualità che ammiro di più. Una donna è disposta a flirtare con tutti finché gli altri stanno a guardare.»
   «Come ami dire cose pericolose, Harry! In questo caso sei proprio fuori strada. La duchessa mi piace molto, ma non la amo.»
   «E la duchessa ti ama molto, ma le piaci meno, così siete davvero alla pari.»
   «Tu stai facendo pettegolezzi, Harry, e non c’è mai un fondamento per i pettegolezzi.»
   «Il fondamento di ogni pettegolezzo è una certezza immorale» disse Lord Henry, accendendosi una sigaretta.
   «Tu sacrificheresti chiunque, Harry, per un epigramma.»
   «Il mondo va all’altare del sacrificio spontaneamente» fu la risposta.
   «Vorrei poter amare» esclamò Dorian Gray con una nota profonda di pathos nella sua voce. «Ma pare che abbia perso la passione e dimenticato il desiderio. Sono troppo concentrato su me stesso. La mia stessa personalità è diventata un peso per me. Voglio scappare, andare via, dimenticare. Sono stato proprio uno sciocco a venire qui. Mi sa che manderò un telegramma a Harvey perché prepari lo yacht. Su uno yacht si è al sicuro.»
   «Al sicuro da cosa, Dorian? Sei in qualche guaio. Perché non mi dici che cos’è? Sai che potrei aiutarti.»
   «Non posso dirtelo, Harry» rispose con tristezza. E forse è solo una mia fantasia. Questo spiacevole incidente mi ha sconvolto. Ho un’orribile presentimento che qualcosa del genere può accadere a me.»
   «Che sciocchezze!»
   «Lo spero, ma non riesco a non sentirlo. Ah! Ecco la duchessa, che sembra Artemide con un abito di sartoria. Come vede, siamo tornati, duchessa.»
   «Ho saputo tutto, Mr. Gray» rispose. «Il povero Geoffrey è completamente fuori di sé. E pare che lei gli ha chiesto di nono sparare alla lepre. Che strano!»
   «Sì, è stato molto strano. Non so che cosa m’ha spinto a dirlo. Un capriccio, credo. Sembrava l’animaletto più grazioso. Ma mi dispiace che le abbiano detto di quell’uomo. È una cosa atroce.»
   «È una seccatura,» interruppe Lord Henry. «Non ha alcun valore psicologico. Ora, se Geoffrey l’avesse fatto di proposito, come sarebbe stato interessante! Mi piacerebbe conoscere qualcuno che ha commesso un vero omicidio.»
   «Quanto sei orribile, Harry!» gridò la duchessa. «Non è vero, Mr. Gray? Harry, Mr. Gray sta ancora male. Sta svenendo.»
   Dorian si riprese con uno sforzo e sorrise. «Non è niente, duchessa» sussurrò; «I miei nervi sono terribilmente stravolti. Tutto qui. Temo d’aver camminato troppo stamani. Non ho sentito quel che ha detto Harry. Era molto brutto? Me lo dirà un’altra volta. Penso che andrò a sdraiarmi. Mi scuserà, no?»
   Erano giunti alla grande scalinata che portava dalla serra alla terrazza. Quando la porta a vetri si chiuse dietro Dorian, Lord Henry si voltò a guardare la duchessa con i suoi occhi assopiti. «Sei molto innamorata di lui?» chiese.
   Lei non rispose per un po’, ma continuava a guardare il paesaggio.
   «Vorrei saperlo» disse alla fine.
   Lui scosse il capo. «Conoscerlo sarebbe fatale. È l’incertezza che affascina.
   La nebbia rende le cose meravigliose.»
   «Si può smarrire la strada.»
   «Tutte le strade portano allo stesso punto, mia cara Gladys.»
   «Quale?»
   «La disillusione.»
   «È stato il mio debut nella vita» sospirò.
   «Ti è arrivato con una corona.»
   «Sono stanca delle foglie di fragola.»
   «Ti donano.»
   «Solo in pubblico.»
   «Ti mancherebbero» disse Lord Henry.
   «Non rinuncerò a un petalo.»
   «Monmouth ha orecchie.»
   «La vecchiaia è dura di udito.»
   «È mai stato geloso?»
   «Magari lo fosse stato!»
   Lui si guardò intorno in cerca di qualcosa. «Cosa stai cercando?» domandò lei.
   «Il bocciolo della tua foglia» rispose. «Lo hai fatto cadere.»
   La duchessa rise. «Ho ancora la maschera.»
   «Fa più belli I tuoi occhi» fu la replica.
   Lei rise di nuovo. I suoi denti sembravano semi bianchi in un frutto scarlatto.
   Di sopra, nella sua camera, Dorian Gray era sdraiato in un sofà, con il terrore che gli formicolava in ogni fibra del corpo. La vita era diventata d’un tratto un peso troppo ripugnante da portare. La morte orribile dello sfortunato battitore, colpito nel boschetto come un animale selvaggio, gli era sembrata prefigurare la sua stessa morte. Era quasi svenuto per quello che Lord Henry aveva detto casualmente in un momento di scherzoso cinismo.
   Alle cinque suonò il campanello per il domestico e gli diede ordine di preparare i bagagli per l’espresso notturno per Londra, e di fargli trovare davanti alla porta il brougham alle otto e mezzo. Era deciso a dormire un’altra notte a Selby Royal. Era un luogo malaugurato. La morte vi camminava alla luce del sole. L’erba della foresta era stata macchiata di sangue.
   Poi scrisse un biglietto a Lord Henry, dicendogli che andava in città a consultare il suo medico e gli chiedeva di occuparsi dei suoi ospiti in suo assenza. Mentre infilava il biglietto nella busta, sentì bussare alla porta, e il maggiordomo lo informò che il guardiacaccia voleva vederlo. Si accigliò e si morse il labbro. «Mandamelo» borbottò, dopo qualche momento di
esitazione.
   Appena l’uomo entrò, Dorian prese il suo libretto degli assegni da un cassetto e lo aprì davanti a lui.
   «Immagino che sia venuto per lo spiacevole incidente di stamani, Thornton?» disse, prendendo una penna.
   «Sì, signore» rispose il guardiacaccia.
   «Era sposato quel poverino? Aveva qualcuno a carico?» chiese Dorian, con aria annoiata. «In tal caso, non vorrei lasciarli in difficoltà, e faro avere loro qualsiasi somma di denaro riterrà necessaria.»
   «Non sappiamo chi sia, signore. Ecco perché mi sono preso la libertà di venire da lei.»
   «Non sapete chi è?» disse Dorian con apatia. «Che vuol dire? Non era uno dei nostri uomini?»
   «No, signore. Nessuno l’aveva mai visto prima. Sembra un marinaio, signore.»
   La penna cadde dalla mano di Dorian Gray, ed ebbe la sensazione che il suo cuore avesse improvvisamente cessato di battere. «Un marinaio?» gridò. «Ha detto un marinaio?»
   «Sì, signore. Pare sia una specie di marinaio, con tatuaggi su tutte e due le braccia e quel genere di cose.»
   «Non è stato trovato niente addosso a lui?» disse Dorian, sporgendosi in avanti e guardando l’uomo con occhi atterriti. «Niente che ci dica il suo nome?»
   «Dei soldi, signore – non molti, e una rivoltella a sei colpi. Ma non c’era nessun nome. Un uomo d’aspetto decente, signore, ma rozzo. Una specie di marinaio, pensiamo.»
   Dorian balzò in piedi. Una speranza terribile gli balenò davanti. Ci si aggrappò follemente. «Dov’è il corpo?» esclamò. «Presto! Lo devo vedere subito.»
   «È nella stalla vuota alla fattoria, signore. Alla gente non piace avere in casa quella roba. Dicono che un cadavere porta sfortuna.»
   «La fattoria! Vada subito lì e mi aspetti. Dica a uno degli stallieri di portarmi il cavallo. No. non importa. Andrò alle scuderie io stesso. Risparmierò tempo.»
   In meno di un quarto d’ora, Dorian Gray stava galoppando più veloce che poteva per il lungo viale. Gli alberi sembravano passargli davanti in una processione spettrale, e ombre folli scagliarsi attraverso il sentiero. Una volta la cavalla svoltò davanti a un pilastro bianco e quasi lo disarcionò. La frustò sul collo con il suo frustino, e lei fendeva l’aria buia come una
freccia. Le pietre schizzavano da sotto gli zoccoli.
   Alla fine raggiunse la fattoria. Due uomini gironzolavano per l’aia. Saltò giù di sella e gettò le redini a uno di loro. Nella stalla lontana brillava una luce. Qualcosa sembrava dirgli che il cadavere era là. Si precipitò alla porta e mise la mano sul chiavistello.
   Si fermò lì un momento, sentendosi sull’orlo di una scoperta che gli avrebbe dato o rovinato la vita. Poi spalancò la porta ed entrò.
   Su un mucchio di sacchi nell’angolo più lontano giaceva il corpo morto di un uomo vestito con una camicia di tessuto ruvido e un paio di pantaloni azzurri. Un fazzoletto sporco era stato messo sul suo volto. Una candela tozza, infilata in una bottiglia, crepitava accanto.
D   orian Gray rabbrividì. Sentì che la sua mano non avrebbe potuto togliere il fazzoletto, e chiamò uno degli uomini della fattoria.
   «Toglili quella cosa dalla faccia. Lo voglio vedere» disse, aggrappandosi allo stipite della porta per reggersi.
   Quando il fattore lo ebbe fatto, si fece avanti. Un urlo di gioia gli scappò dalle labbra. L’uomo che era stato colpito nel boschetto era James Vane.
   Rimase lì per qualche minuto a guardare il morto. mentre cavalcava verso casa, i suoi occhi erano pieni di lacrime, perché sapeva di essere salvo.



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