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Oscar Wilde – Il ritratto di Dorian Gray 3

Creato il 16 agosto 2012 da Marvigar4

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Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray
Traduzione dall’originale inglese The Picture of Dorian Gray
di Marco Vignolo Gargini

Capitolo III

   Il giorno dopo, a mezzogiorno e mezzo, Lord Henry Wotton faceva due passi da Curzon Street verso l’Albany per andare a trovare suo zio, Lord Fermor, un vecchio scapolo gioviale, anche se di modi un po’ rudi, che il mondo chiamava egoista non ricevendo nessun particolare beneficio da lui, ma che era considerato generoso dalla buona società perché nutriva le persone che lo divertivano. Suo padre era stato il nostro ambasciatore a Madrid quando Isabella era giovane e non si pensava a Prim [8], ma si era ritirato dalla Diplomazia in un bizzoso momento di irritazione per non essergli stata offerta l’ambasciata a Paris, un posto al quale riteneva di avere pienamente diritto per motivi di nascita, la sua indolenza, l’ottimo inglese dei suoi dispacci, e la sua sfrenata passione per il piacere. Il figlio, che era stato il segretario di suo padre, aveva rassegnato le dimissioni con il suo capo, piuttosto scioccamente come fu considerato all’epoca, e succedendogli mesi dopo nel titolo, si era dedicato al grave studio della grande arte aristocratica di non fare assolutamente niente. Possedeva due grandi case in città, ma preferiva vivere in camere ammobiliate perché era meno fastidioso, e pranzava perlopiù al suo club. Prestava un po’ d’attenzione alla gestione delle sue miniere di carbone nelle contee del Midland, giustificandosi per questa macchia di operosità sostenendo che l’unico vantaggio di possedere del carbone era che dava l’opportunità a un gentiluomo di potersi permettere il decoro bruciare legna nel proprio focolare. In politica era un Tory, tranne quando i Tories erano al potere, e durante quel periodo lui li maltrattava ore rotundo dicendo che erano una masnada di radicali. Era un eroe per il suo maggiordomo, che lo tiranneggiava, e un terrore per la maggior parte dei suoi parenti, che tiranneggiava a sua volta. Soltanto l’Inghilterra poteva averlo messo al mondo, e lui diceva sempre che il paese stava andando alla malora. I suoi principi erano datati, ma ci sarebbe molto da dire sui suoi pregiudizi.
   Quando Lord Henry entrò nella stanza, trovò suo zio seduto con una rozza giacca da caccia indosso, che fumava un mezzo sigaro e brontolava sul “Times”. «Bene, Harry,» disse il vecchio gentiluomo, «cosa ti porta così presto in giro? Pensavo che voi dandies non vi alzaste prima delle due e non foste visibili fino alla cinque.»
   «Puro affetto familiare, ti assicuro, zio George. Vorrei che tu mi aiutassi.»
   «Soldi, immagino» disse Lord Fermor, con uno sguardo beffardo. «Beh, siedi e dimmi tutto. I giovani oggi credono che i soldi siano tutto.»
   «Sì,» mormorò Lord Henry, aggiustandosi l’asola della giacca; «e quando diventano vecchi lo sanno. Ma non voglio soldi. Solo la gente che paga i suoi conti li vuole, zio George, e io non pago mai i miei. Il credito è il capitale del secondogenito, ci si vive splendidamente sopra. Inoltre, io tratto sempre con i fornitori di Dartmoor, e di conseguenza non mi seccano mai. Ciò che vorrei è un’informazione: non utile, ovviamente; un’informazione inutile.»
   «Bene, io posso dirti tutto quello che c’è in un English Blue-Book [9], Harry, sebbene quei tipo oggigiorno scrivano un mucchio di fesserie. Quando ero in diplomazia, le cose andavano molto meglio. Ma sento dire che adesso vengono ammessi per concorso. Cosa puoi aspettarti? I concorsi, caro signore, sono puri imbroglio dall’inizio alla fine. Se un uomo è un
gentleman, sa quanto basta, e se non lo è, qualunque cosa sappia è un male per lui.»
   «Mr. Dorian Gray non fa parte dei Blue Books, zio George» disse languidamente Lord Henry.
   «Mr. Dorian Gray? Chi è?» chiese Lord Fermor, aggrottando le folte sopracciglia bianche.
   «È quello che sono venuto a sapere, zio George. O meglio, so chi è. È l’ultimo nipote di Lord Kelso. Sua madre era una Devereux, Lady Margaret Devereaux. Vorrei che tu mi parlassi di sua madre. Com’era? Chi sposò? Tu hai conosciuto quasi tutti ai tuoi tempi, e allora  avresti potuto conoscerla. Sono molto interessato a Mr. Gray al presente. L’ho appena incontrato.»
   «Il nipote di Kelso!» fece eco il vecchio gentleman. «Il nipote di Kelso!… ma certo… Conoscevo sua madre intimamente. Credo d’essere stato al suo battesimo. Lei era una ragazza di una bellezza straordinaria, Margaret Devereux, e fece impazzire tutti gli uomini scappando con un giovanotto senza un soldo – un’autentica nullità, sissignore, un subalterno di un reggimento di fanteria, o qualcosa del genere. Certo. Ricordo tutto come se
fosse successo ieri. Il poveretto fu ucciso in duello a Spa pochi mesi dopo il matrimonio. C’è un risvolto brutto al riguardo. Dicevano che Kelso avesse assoldato un furfante avventuriero, un bruto Belga, per insultare suo genero in pubblico – lo pagò, sissignore, per farlo, lo pagò – e che il tipo infilzò il suo uomo come se fosse un piccione. La cosa fu messa a tacere, ma, perdinci, Kelso mangiò da solo al club per un po’ di tempo. Riprese con sé sua figlia, mi fu detto, e lei non gli rivolse più la parola. Oh, sì; fu un brutto affare. Anche la ragazza morì, nel giro di un anno. Così lasciò un figlio, vero? Me l’ero dimenticato. Com’è quel ragazzo? Se assomiglia alla madre, deve essere bello.»
   «È bellissimo» assentì Lord Henry.
   «Spero che cada in buone mani» continuò il vecchio signore. «Dovrebbe avere un bel po’ di soldi che lo aspettano se Kelso ha fatto le cose giuste. Anche sua madre aveva del denaro. Ereditò tutte le proprietà dei Selby dal nonno. Suo nonno odiava Kelso, lo considerava un gran bastardo. E lo era. Venne una volta a Madrid quando c’ero io. Perdinci, mi vergognai di lui. La regina di solito mi chiedeva di quel nobile inglese che stava sempre a litigare con i cocchieri sul prezzo della corsa. Ne avevano fatto una barzelletta. Non osai mostrare il mio volto a corte per un mese. Spero abbia trattato suo nipote meglio dei vetturini.»
   «Non lo so» rispose Lord Henry. «M’immagino che il ragazzo sia messo bene. ancora non è maggiorenne. Possiede Selby, lo so. Me l’ha detto. E… sua madre era molto bella?»
   «Margaret Devereux era una delle più incantevoli creature da me mai viste, Harry. Che cosa l’abbia mai indotta a comportarsi in quel modo non sono mai riuscito a capirlo. Avrebbe potuto sposarsi chiunque volesse. Carlington era pazzo di lei. Però lei era romantica. Tutte le donne di quella famiglia lo erano. Gli uomini erano terra terra, ma le donne, perdinci! Erano meravigliose. Carlington la pregò in ginocchio. Lui stesso me lo disse. Lei rise di lui, e non esisteva una ragazza a Londra all’epoca che non gli corresse dietro. Harry, a proposito, parlando di matrimoni assurdi, cos’è quella storia che mi racconta tuo padre su Dartmoor che vuole sposare un’americana? Le ragazze inglesi non sono abbastanza buone per lui?»
   «In questo momento è piuttosto di moda sposare le americane, zio George.»
   «Io sosterrò le donne inglesi contro il mondo, Harry» disse Lord Fermor, battendo il pugno sul tavolo.
   «Si punta sulle americane.»
   «Non durano, mi hanno detto» borbottò suo zio.
   «Un lungo fidanzamento le esaurisce, ma sono maiuscole in una corsa a ostacoli. Prendono le cose al volo. Non credo che Dartmoor abbia chance.»
   «Chi è la sua gente?» brontolò il vecchio gentleman. «Ha una famiglia?»
   Lord Henry scosse la testa. «Le ragazze americane sono tanto brave nell’occultare i genitori quanto le donne inglesi nel nascondere il loro passato» disse alzandosi per andare via.
   «Sono forse salumieri?»
   «Lo spero per il bene di Dartmoor, zio George. Mi dicono che in America il salumiere è la professione più redditizia, dopo quella del politico.»
   «È carina?»
   «Si comporta come se fosse bella. Molte donne americane lo fanno. È il segreto del loro fascino.»
   «Perché queste donne americane non se ne stanno a casa loro? Ci dicono sempre che è il paradiso per le donne.»
   «Lo è. Questo è il motivo per cui, come Eva, sono così eccessivamente ansiose di uscirne» disse Lord Henry. «Arrivederci, zio George. Farò tardi per il pranzo se mi fermo dell’altro. Grazie per avermi dato l’informazione che desideravo. Mi piace sempre conoscere tutto dei miei nuovi amici, e niente dei vecchi.»
   «Dove vai a pranzo, Harry?»
   «Da zia Agatha. Mi sono invitato con Mr. Gray. È il suo ultimo protégé
   «Bah! Di’ a tua zia Agatha, Harry, di non seccarmi più con le sue opere di carità. Ne sono pieno. Perbacco, quella brava donna pensa che io non abbia altro da fare che firmare assegni per le sue sciocche manie.»
   «D’accordo, zio George, glielo dirò, ma non sortirà nessun effetto. I filantropi perdono ogni senso di umanità. È la loro caratteristica distintiva.»
   Il vecchio gentleman grugnì approvando e suonò il campanello per chiamare il domestico. Lord Henry passò per l’arcata bassa in Burlington Street e girò in direzione di Berkeley Square.»
   Così quella era la storia della famiglia di Dorian Gray. Per quanto rozzamente gli fosse stata narrata, lo aveva comunque intrigato con la sua suggestione di un romanzo strano, quasi moderno. Una bella donna che rischia tutto per una passione folle. Poche scatenate settimane di felicità troncate da un delitto atroce, sleale. Mesi di agonia senza voce, e poi un
bambino nato nel dolore. La mostra strappata dalla morte, il figlio abbandonato alla solitudine e alla tirannia di un vecchio senza amore. Sì; era un retroscena interessante. Metteva in primo piano il ragazzo, lo rendeva più perfetto, per così dire. Dietro ogni cosa squisita che esisteva, c’era qualcosa di tragico. Mondi e mondi devono patire, perché il più umile fiore potesse sbocciare…
   E com’era stato affascinante la sera prima a cena, quando con gli occhi spalancati e le labbra socchiuse in un misto di piacere e paura era seduto davanti a lui al club, con i rossi paralumi che coloravano di un rosa più intenso la meraviglia risvegliata del suo volto. Parlare con lui era come suonare un violino delicato. Rispondeva a ogni tocco e scossa dell’archetto… C’era qualcosa di terribilmente affascinante nell’esercizio dell’influenza. Nessun’altra attività era come quella. Proiettare la propria anima in una forma graziosa, e lasciarla a indugiare per un istante; ascoltare le proprie visioni intellettuali riecheggiare con tutta la musica aggiunta della passione e della giovinezza; comunicare il proprio temperamento in un altro quasi fosse un sottile fluido o un profumo insolito: c’era una vera gioia in ciò – forse la gioia più soddisfacente rimasta a noi in un’epoca così limitata e volgare come la nostra, un’epoca volgarmente carnale nei suoi piaceri, e volgarmente comune nelle sue mire… Era anche un tipo meraviglioso questo ragazzo, che per un caso così strano aveva incontrato nello studio di Basil, o in ogni modo poteva essere plasmato in un tipo meraviglioso. Possedeva la grazia e la candida purezza dell’adolescenza, e una bellezza come quella che gli antichi marmi greci ci hanno conservato. Non c’era niente che non si poteva fare con lui. Poteva essere trasformato in un titano o in un giocattolo. Che peccato che una bellezza del genere fosse destinato a svanire! … E Basil? Da un punto di vista psicologico, com’era interessante!
   Quella nuova maniera artistica, quello stile fresco di guardare la vita, suggeriti così stranamente dalla mera visibile presenza di un essere che ne era del tutto inconsapevole; lo spirito silente che abitava nel fitto dei boschi, e camminava invisibile in aperta campagna, che improvvisamente si mostrava, come una driade e senza paura, perché nella sua anima che la cercava s’era risvegliata quella visione meravigliosa alla quale solo le meraviglie si rivelavano; le forme e i modelli semplici delle cose che divenivano, per così dire, raffinate e guadagnavo una sorta di simbolico valore, come se fossero esse stesse i modelli di un’altra e più perfetta forma la cui ombra rendevano reale: com’era strano tutto questo! Ricordava qualcosa del genere nella sua storia. Non era Platone, quell’artista del pensiero, che l’aveva analizzata per primo? Non era Buonarroti che l’aveva scolpita nei marmi colorati di una stanza del sonetto? Ma nel nostro secolo era insolito… Sì; avrebbe tentato di essere per Dorian Gray ciò che, senza saperlo, il ragazzo era per il pittore che aveva forgiato quello splendido ritratto. Avrebbe cercato di dominarlo – in effetti era già a metà dell’opera. Avrebbe fatto suo quello spirito magnifico. C’era qualcosa di affascinante in questo figlio dell’amore e della morte.
   Si fermò di colpo e alzò gli occhi sulle case. Si accorse di aver superato quella di sua zia da un po’, e, sorridendo tra sé, tornò indietro. Appena entrato nell’androne piuttosto buio, il maggiordomo gli disse che erano già a tavola. Diede a uno dei valletti il cappello e il bastone ed entrò nella sala da pranzo.
   «In ritardo come al solito, Harry» gridò sua zia, scuotendo la testa rivolta a lui.
   Inventò una facile scusa, e, preso il posto vuoto vicino a lei, si guardò intorno per vedere chi c’era. Dorian timidamente gli fece un cenno dal fondo della tavola, un furtivo rossore di piacere gli colorò le guance. Di fronte c’era la Duchessa di Harley, una signora che aveva un ammirevole carattere e un umore sempre buono, molto cara a tutti quelli che la conoscevano, e dotata di quelle ampie proporzioni architettoniche che nelle donne che non sono duchesse vengono descritte dagli storici contemporanei come corpulenza. Accanto a lei sedava, alla sua destra, Sir Thomas Burdon, un deputato radicale del Parlamento, che nella vita pubblica seguiva il suo leader e in quella privata i migliori cuochi, cenando con i Tories e pensando con i Liberali, conformemente a una regola saggia e ben nota. Il posto alla sua sinistra era occupato da Mr. Erskine of Treadley, un vecchio gentleman di considerevole fascino e cultura, che però era caduto nella brutta abitudine del silenzio, avendo detto, come spiegò una volta a Lady Agatha, tutto quello che c’era da dire prima dei trent’anni. La sua vicina era Mrs. Vandeleur, una delle più vecchie amiche della zia, una perfetta santa tra le donne, ma così terribilmente scialba che ricordava un libro di preghiere rilegato male. Fortunatamente per lui all’altro lato ella aveva Lord Faudel, una mediocrità intelligentissima di mezz’età, monotono come una dichiarazione ministeriale alla Camera dei Comuni, con cui Mrs. Vandeleur stava conversando in quel modo intensamente serio che è l’unico imperdonabile errore, come aveva rilevato una volta lui stesso, in cui tutte le persone buone cadono, e al quale nessuna di esse sfugge mai del tutto.
   «Stiamo parlando del povero Dartmoor, Lord Henry» strepitò la duchessa, facendogli un cenno affabile col capo dall’altra parte del tavolo. «Pensa che sposerà veramente quella giovane affascinante?»
   «Credo che si sia decisa a proporsi a lui, Duchessa.»
   «Che orrore!» esclamò Lady Agatha. «Davvero, qualcuno dovrebbe intervenire.»
   «Mi è stato riferito, da fonte autorevole, che suo padre ha un emporio di dry-goods  americani [10]» disse Sir Thomas Burdon, con sguardo altezzoso.
   «Mio zio invece ha suggerito lavorazione di carne suine, Sir Thomas.»
   «Dry-goods! Cosa sono i dry-goods americani?» chiese la duchessa, alzando le sue manone in segno di meraviglia e accentuando le parole.
   «Romanzi americani» rispose Lord Henry, mentre si serviva una quaglia.
   La duchessa sembrò perplessa.
   «Non fare caso a lui, mia cara» bisbigliò Lady Agatha. Non intende mai quello che dice.»
   «Quando l’America fu scoperta» disse il deputato radicale – e cominciò a sciorinare dei fatti noiosi. Come tutti quelli che cercano di esaurire un argomento, esaurì i suoi ascoltatori. La duchessa sospirava ed esercitava il suo privilegio d’interrompere. «Vorrei tanto che non fosse stata scoperta affatto!» esclamò. «Veramente, le nostre ragazze sono sfortunate oggigiorno. È molto ingiusto.»
   «Forse, dopo tutto, l’America non è mai stata scoperta» disse Mr. Erskine; «Io direi che è stata soltanto colta in flagrante.»
   «Oh! Ma io ho visto degli esemplari dei suoi abitanti» rispose la duchessa vagamente. «Debbo confessare che molti di loro sono estremamente graziosi. E vestono anche bene. acquistano i loro vestiti a Parigi. Vorrei potermi permettere la stessa cosa.»
   «Dicono che quando i buoni americani muoiono vanno a Parigi» ridacchiò Sir Thomas, che aveva un ampio reparto di barzellette di seconda mano.
   «Sul serio! E dove vanno I cattivi americani quando muoiono?» domandò la duchessa.
   «Vanno in America» mormorò Lord Henry.
   Sir Thomas aggrottò le sopracciglia. «Temo che suo nipote abbia dei pregiudizi contro quel grande paese» disse a Lady Agatha. «Ho viaggiato in lungo e in largo in vetture messe a disposizione dalle autorità, che in queste cose sono estremamente civili. Le assicuro che è istruttivo visitarlo.»
   «Ma dobbiamo proprio vedere Chicago per istruirci?» chiese lamentoso Mr. Erskine. «Non me la sento di fare il viaggio.»
   Sir Thomas agitò la mano. «Mr. Erskine di Treadley ha il mondo sui suoi scaffali. Noi uomini pratici amiamo vedere le cose, non leggerle. Gli americani sono un popolo estremamente interessante. Sono assolutamente ragionevoli. Credo che sia la loro caratteristica distintiva. Sì, Mr. Erskine, un popolo assolutamente ragionevole. Le assicuro che non c’è niente di assurdo negli americani.»
   «Che orrore!» gridò Lord Henry. «Posso soffrire la forza bruta, ma la ragione bruta è proprio insopportabile. C’è qualcosa di scorretto nel suo uso. È un colpo basso all’intelletto.»
   «Io non la capisco» disse Sir Thomas, diventando piuttosto rosso in viso.
   «Io sì, Lord Henry» bisbigliò Mr. Erskine sorridendo.
   «A modo loro i paradossi vanno molto bene…» replicò il baronetto.
   «Quello era un paradosso?» chiese Mr. Erskine. «Non mi sembrava. Forse lo era. Bene, la via dei paradossi è la via della verità. Per provare la realtà dobbiamo vederla sulla corda. Quando le verità diventano acrobati possiamo giudicarle.»
   «Povera me!» disse Lady Agatha, «come ragionate voi uomini! Sono sicura che non capirò mai di che cosa state parlando. Oh! Harry, sono proprio risentita con te. Perché cerchi di persuadere il nostro caro signor Dorian Gray a lasciar perdere l’East End? Ti assicuro che lui sarebbe davvero prezioso. Amerebbero le sue esecuzioni.»
   «Voglio che suoni per me» gridò Lord Henry, sorridendo, e guardò in fondo alla tavola cogliendo un’occhiata luminosa di risposta.
   «Ma sono così infelici a Whitechapel» continuò Lady Agatha.
   «Io posso simpatizzare con ogni cosa eccetto la sofferenza» disse Lord Henry alzando le spalle. «Non posso simpatizzare con quella. È troppo brutta, troppo orribile, troppo angosciante. C’è qualcosa di terribilmente morboso nella moderna simpatia per il dolore. Si dovrebbe simpatizzare per il colore, la bellezza, la gioia di vivere. Meno si parla delle piaghe della vita meglio è.»
   «Comunque, l’East End è un problema molto importante» osservò Sir Thomas scuotendo gravemente il capo.
   «Proprio così» rispose il giovane lord. «È un problema di schiavitù, e noi tentiamo di risolverlo divertendo gli schiavi.»
   Il politico lo fissò intensamente. «Che riforma propone, allora?» domandò.
   Lord Henry rise. «Non desidero riformare niente in Inghilterra tranne il clima» rispose. «Mi accontento della contemplazione filosofica. Ma, visto che il diciannovesimo secolo è andato fallito per una spesa eccessiva di simpatia, suggerirei di appellarci alla scienza per rimetterci in sesto. Il vantaggio delle emozioni è che ci fanno andare fuori strada, e il vantaggio della scienza è che non è emotiva.»
   «Ma abbiamo così gravi responsabilità» arrischiò timidamente Mrs. Vandeleur.
   «Terribilmente gravi» fece eco Lady Agatha.
   Lord Henry rivolse lo sguardo a Mr. Erskine. «L’umanità si prende troppo sul serio. È il peccato originale del mondo. Se l’uomo delle caverne avesse saputo ridere, la storia sarebbe stata diversa.»
   «Lei è proprio rassicurante» gorgheggiò la duchessa. «Mi sono sempre sentita piuttosto in colpa quando venivo a trovare la sua cara zia, perché non m’interesso affatto all’East End. In futuro potrò guardarla in faccia senza arrossire.»
   «Arrossire è molto grazioso, Duchessa» osservò Lord Henry.
   «Solo quando si è giovani» rispose. «Quando una donna anziana come me arrossisce è un bruttissimo segno. Ah! Lord Henry, vorrei che mi dicesse come si fa a ritornare giovani.»
   Pensò per un momento. «Riesce a ricordare qualche grande errore che ha commesso in gioventù, Duchessa?» domandò guardandola attraverso la tavola.
   «Moltissimi, temo» esclamò.
   «Allora commetteteli di nuovo» disse gravemente. «Per riavere la propria gioventù non si deve far altro che ripetere le proprie follie.»
   «Una teoria deliziosa!» esclamò. «Devo metterla in pratica.»
   «Una teoria pericolosa!» venne fuori dalle labbra serrate di Sir Thomas.
   Lady Agatha scosse il capo, ma non poté fare a meno di divertirsi. Mr. Erskine ascoltava.
   «Sì,» continuò, «è uno dei grandi segreti della vita. Oggi la maggioranza della gente muore per una sorta di senso comune progressivo, e scopre quando è troppo tardi che le uniche cose di cui non ci si pente mai sono gli errori.»
   Una risata corse intorno alla tavola.
   Egli giocava con l’idea, e diveniva ostinato; la lanciava in aria e la trasformava; la lasciava fuggire e la ricatturava; la rendeva iridescente con la fantasia e la muniva di ali con il paradosso. L’elogio della follia, mentre continuava, s’elevò a filosofia, e la filosofia stessa divenne giovane, e cogliendo la musica pazza del piacere, indossando, mettiamo pure, la sua
veste macchiata di vino e la corona d’edera, danzò come una baccante sui colli della vita, e irrideva il lento Sileno per la sua sobrietà. I fatti le fuggirono dinnanzi come creature della foresta prese dal panico. I suoi bianchi piedi calpestarono l’enorme torchio su cui il saggio Omar [11] siede, finché il mosto ribollente salì intorno alle sue membra nude in onde di bolle purpuree, o traboccò in rossa schiuma sui lati gocciolanti, obliqui del nero tino. Era un’improvvisazione straordinaria. S’accorse che gli occhi di Dorian Gray erano fissi su di lui, e la consapevolezza che fra il suo pubblico ce n’era uno il cui temperamento desiderava ammaliare sembrò dare acutezza al suo ingegno e colore alla sua immaginazione. Era brillante, fantastico, irresponsabile. Incantò i suoi ascoltatori trascinandoli, e seguivano il suo piffero, ridendo. Dorian Gray non staccò mai lo sguardo da lui, ma stava seduto come sotto un sortilegio, mentre sulle sue labbra i sorrisi si s’inseguivano l’un l’altro e la meraviglia diventava profonda nei suoi occhi incupiti.
   Infine, indossata la livrea dell’epoca, la realtà entrò nella stanza nelle vesti di un domestico per annunciare alla duchessa che la sua carrozza la stava attendendo. Si torse le mani con finta disperazione. «Che seccatura!» esclamò la duchessa. «Debbo andare. Mi tocca andare a prendere mio marito al club, per portarlo a una riunione assurda ai Willis’s Rooms [12], dove dovrà presiedere. Se faccio tardi di sicuro andrà su tutte le furie, e io non potrei sostenere una scenata con questo cappellino. È troppo fragile. Una parola rude lo rovinerebbe. No, debbo andare, cara Agatha. Addio, Lord Henry, lei è davvero delizioso e terribilmente demoralizzante. Non so proprio che dire delle sue idee. Dovreste venire a cena da noi una sera. Martedì? È libero martedì?»
   «Per lei pianterei chiunque, Duchessa» disse Lord Henry con un inchino.
   «Ah! È molto carino e molto ingiusto da parte sua» esclamò la duchessa; «allora si ricordi di venire»; e uscì maestosamente dalla stanza, seguita da Lady Agatha e da altre dame.
   Quando Lord Henry si fu seduto nuovamente, Mr. Erskine si mosse intorno, prese una sedia accanto a lui, e gli mise una mano sul braccio.
   «Lei parla meglio di un libro» disse; «perché non ne scrive uno?»
   «Amo troppo leggere i libri per darmi la briga di scriverli, Mr. Erskine. Mi piacerebbe scrivere un romanzo, certamente, un romanzo che fosse bello come un tappeto persiano e altrettanto irreale. Ma non c’è pubblico letterario in Inghilterra se non per leggere giornali, sillabari e enciclopedie. Di tutti i popoli del mondo quello inglese ha meno il senso della bellezza della letteratura.”
   «Temo che abbia ragione» rispose Mr. Erskine. «Io stesso avevo ambizioni letterarie, ma le ho abbandonate tanto tempo fa. E ora, mio caro giovane amico, se mi permette di chiamarla così, posso chiederle se intendeva davvero tutto quello che ci ha detto a cena?»
   «Ho proprio dimenticato quello che ho detto» sorrise Lord Henry. «Era molto brutto?»
   «Bruttissimo. Infatti io la considero estremamente pericoloso, e se dovesse succedere qualcosa alla nostra buona duchessa, tutti noi la vedremo come il principale responsabile. Ma mi piacerebbe parlare con lei della vita. La generazione in cui sono nato era noiosa. Un giorno, quando sarà stanco di Londra, venga giù a Treadley e mi esponga la sua filosofia del piacere sopra un ammirevole Borgogna che ho la somma fortuna privilegio di possedere.»
   «Ne sarò onorato. Una visita a Treadley sarebbe un gran privilegio. Ha un padrone di casa perfetto e una biblioteca perfetta.»
   «Lei la completerà» rispose il vecchio gentleman con un cortese inchino. «E ora devo salutare la sua eccellente zia. Sono atteso all’Athenaeum [13]. È l’ora in cui dormiamo laggiù.»
   «Tutti, Mr. Erskine?»
   «Quaranta di noi in quaranta poltrone. Stiamo facendo pratica per un Accademia Inglese delle Lettere.
   Lord Henry rise e si alzò. «Io andrò al parco» esclamò.
   Mentre stava oltrepassando la soglia, Dorian Gray gli toccò il braccio.
   «Mi lasci venire con lei» mormorò.
   «Ma pensavo che avesse promesso a Basil Hallward di andarlo a trovare» rispose Lord Henry.
   «Preferirei venire con lei; sì, sento che debbo venire con lei. Mi faccia venire. E mi promette di parlarmi tutto il tempo? Nessuno parla così meravigliosamente come lei.»
   «Ah! Ho parlato fin troppo per oggi» disse Lord Henry con un sorriso. «Tutto ciò che voglio adesso è guardare la vita. Potrebbe venire e guardarla con me, se le va.»

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[8] Juan Prim (1814-1870), generale spagnolo che capeggiò la rivolta contro la regina Isabella II, facendola deporre nel 1868 55 anni di regno.

[9] Gli atti del parlamento e del Privy Council, il consiglio privato della corona, con informazioni sulle personalità politiche e nobiliari erano noti come Blue Books.

[10] Cibi in conserva.

[11] Riferimento al poeta persiano Omar Khayyám, molto in voga in quel periodo in Inghilterra grazie alla traduzione The Rubáiyát of Omar Khayyám di Edward Fitzgerald.

[12] Altro locale londinese esclusivo a St James’s.

[13] Altro rinomato club londinese, a Pall Mall.



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