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Oscar Wilde – L’anima dell’Uomo sotto il Socialismo II

Creato il 30 giugno 2014 da Marvigar4

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OSCAR WILDE

L’ANIMA DELL’UOMO SOTTO IL SOCIALISMO

Titolo originale: The Soul of Man under Socialism

Traduzione dall’originale in inglese di Marco Vignolo Gargini

   Naturalmente, si potrebbe dire che l’individualismo generato nelle condizioni di proprietà privata non è sempre, o almeno di regola, di natura raffinata o meravigliosa, e che i poveri, se non hanno cultura o fascino, hanno comunque molte virtù. Entrambe queste affermazioni sarebbero del tutto vere. Il possesso della proprietà privata è molto spesso estremamente demoralizzante e questo è, naturalmente, uno dei motivi per cui il socialismo se ne vuole liberare. Di fatto la proprietà è davvero una seccatura. Alcuni anni fa c’era gente che si aggirava per il paese affermando che la proprietà ha i suoi doveri. Lo dicevano così spesso e così insistentemente che alla fine ha cominciato a dirlo anche la Chiesa. Ora lo si sente da tutti i pulpiti. È perfettamente vero. La proprietà non solo ha i suoi doveri, ma ne ha così tanti che il suo possesso in gran quantità risulta essere una noia. Comporta infinite pretese, infinita attenzione agli affari, infinite grane. Se la proprietà implicasse semplicemente piaceri, potremmo sopportarla; sono i suoi doveri a renderla intollerabile. Dobbiamo liberarcene nell’interesse dei ricchi. Le virtù dei poveri possono essere facilmente ammesse e sono da deplorare assai. Spesso si dice che i poveri sono grati per la carità che ricevono. Alcuni di loro lo sono, senza dubbio, ma i migliori tra i poveri non sono mai grati. Sono ingrati, insoddisfatti, disobbedienti e ribelli. Hanno proprio ragione ad esserlo. La carità che loro percepiscono è alla stregua di un modo inadeguato e ridicolo di restituzione parziale, un sussidio sentimentale, spesso accompagnato da qualche impertinente tentativo sul versante del sentimentalista di esercitare la sua tirannia sulla loro vita privata. Perché dovrebbero essere grati per le briciole che cadono dalla tavola del ricco? Dovrebbero essersi seduti al bordo e cominciare a saperlo. Riguardo all’insoddisfazione, un uomo che non fosse insoddisfatto di tali contorni e di un tale basso livello di vita sarebbe un perfetto bruto. La disobbedienza, agli occhi di chiunque abbia letto la storia, è la virtù originale dell’uomo. È attraverso la disobbedienza che il progresso si è realizzato, attraverso la disobbedienza e la ribellione. Talvolta i poveri sono lodati per la loro parsimonia, ma raccomandare la parsimonia a un povero è sia grottesco che offensivo. È come consigliare a uno che stia morendo di fame di mangiare meno. Per un operaio cittadino o agricolo, praticare la parsimonia sarebbe assolutamente immorale. L’uomo non dovrebbe essere pronto a mostrare che può vivere come una bestia mal nutrita. Dovrebbe rifiutare di vivere così, e pure rubare o andare a vivere negli ospizi, che da molti è considerata una forma di furto. Riguardo l’accattonaggio, è più sicuro mendicare che prendere, ma è più bello prendere che mendicare. No: un povero che è ingrato, prodigo, scontento e ribelle, è probabilmente una vera personalità, ed ha molto in sé. Egli è comunque una protesta salutare. Per ciò che concerne i poveri virtuosi, si può compatirli, naturalmente,ma certamente non si può ammirarli. Essi hanno preso accordi privati con il nemico, e venduto la loro primogenitura per una pessima minestra. Debbono anche essere straordinariamente stupidi. Io posso capire facilmente un uomo che accetta le leggi che proteggono la proprietà privata, e ammette la sua accumulazione, fino a quando egli stesso è in grado, sotto queste condizioni, di realizzare qualche forma di vita bella e intellettuale. Ma è per me quasi incredibile come un uomo, la cui vita sia rovinata e resa ignobile da tali leggi, possa assolutamente acconsentire alla loro continuità.

  A ogni modo, la spiegazione non è poi tanto difficile da trovare. È semplicemente così. La miseria e la povertà sono assolutamente degradanti ed esercitano un effetto talmente paralizzante sulla natura dell’uomo che nessuna classe è mai davvero cosciente delle propria sofferenza. Occorre che siano gli altri a parlargliene e spesso non gli credono neanche un po’. Ciò che i grandi industriali dicono degli agitatori è indiscutibilmente vero. Gli agitatori sono un gruppo di persone che interferiscono e si intromettono, approcciano una qualsiasi classe perfettamente soddisfatta e seminano al suo interno i semi dell’insoddisfazione. Questo è il motivo per cui gli agitatori sono così assolutamente necessari. Senza di loro, nel nostro stato incompleto, non si avrebbe alcun progresso verso la civiltà. La schiavitù fu abolita in America, non in seguito a una qualche azione da parte degli schiavi, o anche a un qualche desiderio espresso da loro di libertà. Fu abolita soltanto in seguito alla condotta grossolana e illegale di certi agitatori di Boston e altrove che non erano schiavi né proprietari di schiavi e non avevano davvero nulla a che fare con la faccenda. Indubbiamente furono gli abolizionisti ad accendere la torcia e a dare inizio a tutta la vicenda. Ed è curioso notare come dagli stessi schiavi essi abbiano ricevuto non solo pochissima assistenza, ma quasi nessuna simpatia; e quando alla fine della guerra gli schiavi si ritrovarono liberi, si ritrovarono così assolutamente liberi che erano liberi di morire di fame e molti di loro deplorarono amaramente la nuova situazione. Per chi rifletta, l’evento più tragico di tutta la Rivoluzione francese non è che Maria Antonietta fu uccisa perché era una regina, ma che i contadini affamati della Vandea andassero volontariamente incontro alla morte per l’odiosa causa del feudalesimo.



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