Oscar Wilde
La ballata del carcere di Reading
Traduzione in italiano
Dall’originale in inglese
The Ballad of Reading Gaol
Di Marco Vignolo Gargini
I
Non indossava la sua giacca scarlatta,
Perché rossi sono il vino e il sangue,
E sangue e vino erano nelle sue mani
Quando lo trovarono con la morta,
La povera donna morta che aveva amato
E assassinato nel suo letto.
Camminava fra gli uomini sotto processo
Con un abito grigio malandato;
Un berretto da cricket in testa,
E il suo passo pareva lieve e allegro;
Ma mai io vidi un uomo guardare
Così malinconicamente il giorno.
Non vidi mai un uomo guardare
Con un occhio così malinconico
Quella piccola tenda di azzurro
Che i carcerati chiamano il cielo,
E ogni nuvola alla deriva che passava
Con vele d’argento accanto.
Camminavo, con altre anime in pena,
All’interno di un altro cerchio,
E mi chiesi se l’uomo avesse compiuto
Un grande o un piccolo reato,
Quando una voce alle mie spalle sussurrò:
«Quello lì sta per essere impiccato».
Cristo santo! Le stesse mura del carcere
Improvvisamente parvero mulinare,
E il cielo sul mio capo diventò
Come un casco di acciaio rovente;
E per quanto fossi un’anima in pena
La mia pena non riuscii a sentirla.
Seppi soltanto quale esausto pensiero
Affrettasse il suo passo, e perché
contemplasse il giorno sgargiante
Con occhio così malinconico;
Quell’uomo aveva ucciso la cosa che amava,
E dunque doveva morire.
* * *
Eppure ogni uomo uccide la cosa che ama,
Che questo venga udito da tutti:
C’è chi lo fa con uno sguardo amaro,
Chi con parole d’adulazione,
Il codardo lo fa con un bacio,
L’uomo valoroso con la spada!
C’è chi uccide il suo amore da giovane,
c’è chi lo uccide da vecchio;
Chi lo strozza con le mani della Libidine,
Chi con le mani dell’Oro:
I più gentili usano un coltello, perché
I morti si freddano così presto.
Alcuni amano pochissimo, altri troppo a lungo,
C’è chi vende e c’è chi compra;
Chi compie l’atto con molte lacrime,
E chi senza un sospiro:
Perché ogni uomo uccide la cosa che ama,
Anche se non tutti muoiono.
* * *
Non muore una morte vergognosa
In un giorno di cupo disonore,
Né ha un cappio intorno al collo
Né un cencio sopra la faccia,
Né casca in avanti nella botola
In uno spazio vuoto.
Non siede fra uomini muti
Che lo osservano notte e giorno;
Che lo guardano quando cerca di piangere,
E quando cerca di pregare;
Che lo sorvegliano, per evitare che rapini
La prigione della sua preda.
Non si desta all’alba per vedere
Tremende figure affollargli la stanza,
Il tremante cappellano di bianco vestito,
Lo sceriffo severo con sguardo triste,
E il direttore tutto nero lustro,
Col giallo volto della sventura.
Non si alza in pietosa fretta
Per indossare divise da galeotto
Mentre un dottore dal ghigno volgare gongola e annota
Ogni nuova posa e contrazione dei nervi,
Maneggiando un cronometro i cui tictac
Risuonano come orrendi colpi di martello.
Non conosce quella sete morbosa
Che ti insabbia la gola, prima
Che il boia con i suoi guanti da giardiniere
Sgattaioli dalla porta imbottita
E ti leghi con tre corregge di cuoio,
Che la gola non provi sete mai più.
Non piega il suo capo per udire
La lettura dell’ufficio dei morti,
Né mentre il terrore dell’anima
Gli dice che non è ancora morto,
Attraversa la sua bara, mentre si muove
Verso l’orribile baracca.