Oscar Wilde – La Ballata del Carcere di Reading III
Creato il 20 maggio 2015 da Marvigar4
Oscar Wilde
La ballata del carcere di Reading
Traduzione in italiano
Dall’originale in inglese
The Ballad of Reading Gaol
Di Marco Vignolo Gargini
III
Nel Recinto dei Debitori le pietre sono dure,
E il muro che stilla è alto,
Perciò era lì che prendeva l’aria
Sotto il plumbeo cielo,
E in ogni lato camminava un secondino,
Per paura che l’uomo potesse morire.
Oppure sedeva con quelli che sorvegliavano
La sua angoscia notte e giorno;
Che lo sorvegliavano quando si alzava per piangere,
E quando si accovacciava per pregare;
Che lo sorvegliavano perché non rubasse
Il loro patibolo della sua preda.
Il Direttore era irremovibile
Sul regolamento carcerario:
Il Dottore diceva che la morte non era
Che un fatto scientifico:
E due volte al giorno il Cappellano chiamava,
E lasciava un opuscoletto.
E due volte al giorno lui fumava la sua pipa,
E beveva il suo quarto di birra;
Il suo animo era risoluto, e non teneva
Alcun nascondiglio per la paura;
Diceva spesso di esser contento
Che il giorno del boia fosse vicino.
Ma perché dicesse una cosa così strana
Nessun secondino osava domandare:
Poiché colui al quale la corte affida
Un compito di sorvegliante
Deve mettersi un lucchetto alle labbra
E fare una maschera del proprio viso.
Altrimenti potrebbe commuoversi, e tentare
Di alleviare o di consolare:
E cosa farebbe la Pietà Umana
Rinchiusa nel Covo dell’Assassino?
Qual parola di grazia in un tale luogo
Potrebbe soccorrere l’anima di un fratello?
* * *
Ciondolando e dondolando in cerchio
Percorrevamo il Corteo degli Sciocchi!
Non c’importava: sapevamo di essere
La Brigata Personale del Diavolo;
E capo rasato e piede di piombo
Fanno un’allegra mascherata.
Sfilacciavamo la fune incatramata
Con unghie spuntate e sanguinanti;
Strofinavamo le porte e i pavimenti,
E pulivamo le lucide inferriate:
E tutti in riga insaponavamo il tavolaccio,
E facevamo rimbombare i secchi.
Cucivamo i sacchi, spaccavamo le pietre,
Giravamo il trapano polveroso:
Sbattevamo le gavette, e gridavamo gli inni,
E sudavamo alla fresa:
Ma nel cuore di ciascun uomo
Il terrore giaceva immobile.
Così immobile era il terrore, che ogni giorno
Strisciava come un’onda ingombra di erbacce:
E noi dimenticammo l’amaro destino
Che attende lo stupido e il furfante,
Finché una volta, scarpinando dal lavoro,
Passammo accanto a una fossa aperta.
Con bocca sbadigliante il giallo foro
Aspettava una cosa viva;
Il fango stesso reclamava sangue
All’assetato cerchio di asfalto:
E capimmo che prima del sorgere di un’alba
Un prigioniero doveva dondolare.
E rientrammo proprio, con anima intenta
Su Morte e Terrore e Castigo:
Il boia, con la sua valigetta,
Passò strascicando nel buio:
E ognuno tremò mentre strisciava
Nel suo loculo numerato.
* * *
Quella notte i vuoti corridoi
Furono pieni di forme di Paura,
E su e giù per la città di ferro
Si mossero furtivi piedi che non potemmo udire,
E fra le sbarre che occultano le stelle
Bianchi volti sembrarono spiarci.
Egli giaceva come chi giace e sogna
In un prato grazioso,
I sorveglianti lo guardavano dormire
E non riuscivano a comprendere
Come si potesse dormire un sonno così dolce
Con il boia a portata di mano.
Ma non c’è sonno quando devono piangere uomini
Che non avevano pianto mai:
Così noi – lo stupido, l’imbroglione, il furfante –
Osservammo quella veglia senza fine,
E in ogni cervello su mani di dolore,
Strisciò il terrore di un altro.
* * *
Ahimè! È una cosa paurosa
Sentire la colpa di un altro!
Poiché dentro di noi la spada del Peccato
Si conficcava fino all’elsa avvelenata,
E come piombo fuso erano le lacrime che versammo
Per il sangue che non avevamo versato.
I secondini dalle scarpe felpate
Strisciavano a ogni porta inchiavardata,
E sbirciavano e vedevano, con occhi timorose,
Sagome grigie sul pavimento,
E si chiedevano perché uomini si inginocchiassero a pregare
Che mai avevano pregato prima di allora.
Per tutta notte pregammo in ginocchio,
Pazze prefiche di un cadavere!
Le piume turbate della mezzanotte erano
Come pennacchi sopra un carro funebre:
E una spugna intrisa di vino amaro
Fu il sapore del Rimorso.
* * *
Cantò il gallo grigio, cantò il gallo rosso,
Ma il giorno non spuntava mai:
E forme distorte di terrore si accovacciavano
Negli angoli dove noi giacevamo:
E ogni spirito maligno che si aggira di notte
Sembrava giocare davanti a noi.
Passavano via, passavano via
Come viandanti nella nebbia:
Beffavano la luna in una farandola
Di delicate evoluzioni e mosse;
Con passo solenne e disgustosa grazia
I fantasmi tennero il loro convegno.
Facendo boccacce li vedemmo andare,
Snelle ombre mano nella mano:
In giro, in giro, in spettrale sommossa
Percorrevano una sarabanda:
E i dannati grotteschi tracciavano arabeschi
Come il vento sulla sabbia!
Con giravolte di marionette
Saltellavano in punta di piedi:
Ma di flauti di Paura riempivano l’orecchio,
Conducendo la loro macabra mascherata,
E forte cantavano, e a lungo cantavano,
Poiché cantavano per svegliare i morti.
«Ohilà!» cantavano, «Il mondo è vasto,
Ma gli arti incatenati vanno zoppi!
E gettare i dadi una volta o due
È gioco da gentiluomini,
Ma non vince colui che gioca col Peccato
Nella segreta Casa della Vergogna».
* * *
Non erano cose d’aria queste forme curiose,
Che con tanta allegria se la spassavano:
Per uomini la cui vita era tenuta in ceppi,
E i cui piedi non potevano andar liberi,
Ah! Piaghe di Cristo! Erano cose vive,
Le più terribili da vedere.
Tutti intorno, si snodavano in giri di valzer,
Alcuni in coppie compiaciute;
Con il passo lezioso di una sgualdrina
Altre salivano sghembe le scale:
E con ghigno sottile, e sguardi ammiccanti,
Ciascuna ci aiutava nelle nostre preghiere.
* * *
Cominciò a gemere il vento del mattino,
Ma la notte ancora proseguiva:
Attraverso il suo telaio gigante la tela della tenebra
Strisciò finché non fu passato ciascun filo:
E mentre pregavamo cominciammo a temere
La Giustizia del Sole.
Il vento gemente girò vagando
Il piangente muro della prigione:
Finché come una ruota d’acciaio che gira
Sentimmo avanzare i minuti:
O vento gemente! Cosa avevamo fatto
Per avere un tale siniscalco?
Finalmente io vidi le sbarre di ombra
Come un’inferriata lavorata in piombo,
Muoversi lungo il muro imbiancato a calce
Davanti al mio letto di tre assi,
E seppi che in qualche luogo del mondo
La tremenda alba di Dio rosseggiava.
* * *
Alle sei pulimmo le nostre celle,
Alle sette tutto fu immobile,
Ma il sibilo e il fruscio di un’ala possente
Sembrò riempire la prigione,
Poiché il Signore della Morte con alito di ghiaccio
Era entrato per uccidere.
Egli non passò in pompa di porpora,
Né cavalcò un destriero bianco come la luna.
Tre braccia di corda e un coperchio di botola
È tutto quanto serve alla forca:
Così con fune della vergogna l’Araldo venne
A compiere l’atto segreto.
***
Noi eravamo come uomini che attraverso una palude
Di sudicia tenebra brancolano:
Non osavamo pronunciare una preghiera
O dare sfogo alla nostra angoscia:
Qualcosa era morto in ognuno di noi,
E quello che era morto era la Speranza.
Poiché la truce Giustizia Umana fa la sua strada,
E non devia di lato:
Uccide il debole, uccide il forte,
Ha un passo micidiale:
Con tallone di ferro uccide il forte,
La mostruosa parricida!
***
Aspettammo il rintocco delle otto.
Ogni lingua era spessa per la sete:
Poiché l’ottavo rintocco è quello del Fato
Che rende un uomo maledetto,
E il Fato userà un cappio scorsoio
Per il migliore uomo e per il peggiore.
Non avevamo altra cosa da fare
Salvo attendere l’arrivo del segnale:
Così, come oggetti di pietra in una valle solitaria,
Sedemmo fermi e muti:
Ma il cuore di ogni uomo batte ottuso e rapido,
Come un folle sopra un tamburo!
***
Con sussulto istantaneo l’orologio della prigione
Percosse l’aria tremante,
E da tutto il carcere si alzò un lamento
Di impotente disperazione,
Come il suono che le paludi spaventate odono
Dalla tana di qualche lebbroso.
E come si vedono le cose più terribili
Nel cristallo di un sogno,
Noi vedemmo l’unta fune di canapa
Agganciata al trave annerito,
E udimmo la preghiera che la corda del boia
Strangolò in un urlo.
E tutto il dolore che lo commosse così
Da cavargli quel grido di amarezza,
E i folli rimpianti, e i sudori di sangue,
Nessuno li conosceva bene come me:
Poiché colui che vive più di una vita
Più di una morte deve morire.
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