Oscar Wilde – La Ballata del Carcere di Reading IV
Creato il 27 maggio 2015 da Marvigar4
IV
La cappella è chiusa nel giorno
In cui impiccano un uomo:
Il cuore del Cappellano è troppo sofferente,
O il suo volto è troppo esangue,
Oppure nei suoi occhi c’è scritto ciò
Che nessuno dovrebbe vedere.
Così ci tennero chiusi fino quasi mezzogiorno,
E poi suonarono la campana,
E i secondini con le loro chiavi tintinnanti
Aprirono ogni cella che ascoltava,
E giù per la scala di ferro scarpinammo,
Ciascuno dal suo Inferno separato.
Uscimmo fuori nella dolce aria di Dio,
Ma non nel modo solito,
Poiché il volto di quest’uomo era bianco di paura,
E il volto di quell’uomo era grigio,
E mai io vidi uomini tristi guardare
Così malinconicamente la luce del giorno.
Non vidi mai uomini tristi guardare
Con un occhio così malinconico
Quella piccola tenda di azzurro
Che noi prigionieri chiamavamo cielo,
E ogni nuvola che passava spensierata
In tanta lieta libertà.
Ma c’erano quelli fra tutti noi
Che camminavano a testa bassa,
E sapevano che, se ognuno avesse avuto il suo,
Sarebbe toccato a loro di morire:
Ma lui aveva ucciso una cosa che viveva,
Mentre loro avevano ucciso i morti.
Poiché chi pecca una seconda volta
Risveglia al dolore un’anima morta,
E la leva dal suo sudario macchiato,
E la fa sanguinare di nuovo,
E le fa sanguinare grossi fiotti di sangue,
E la fa sanguinare invano!
* * *
Come scimmie o pagliacci, in abiti mostruosi
Stellate con frecce ricurve,
In silenzio girammo intorno
Al cortile di viscido asfalto;
In silenzio girammo intorno,
E nessuno disse una parola.
In silenzio girammo intorno,
E in ogni mente vuota
La Memoria di cose terribili
Spirò come un vento tremendo,
E l’Orrore si insinuò di fronte a ogni uomo,
E il Terrore gli strisciò dietro.
* * *
I secondini camminavano impettiti su e giù,
E sorvegliavano la loro mandria di bruti,
Le loro divise erano tirate a lucido,
E indossavano l’abito domenicale,
Ma noi sapevamo da quale lavoro tornavano,
Per la calce viva sui loro scarponi.
Perché dove una tomba si era spalancata,
Non c’era affatto una tomba:
Solo un tratto di fango e sabbia
Presso l’orribile muro della prigione,
E un mucchietto di calce ardente,
Che l’uomo avesse come drappo funebre.
Poiché ha un drappo, questo sciagurato,
Quale pochi uomini possono vantare:
In fondo sotto un cortile di prigione,
Nudo per maggior vergogna,
Egli giace, con catene a ciascun piede,
Avvolto in un lenzuolo di fiamma!
E per tutto il tempo la calce ardente
Gli rode carne e ossa,
Rode le fragili ossa la notte,
E la tenera carne il giorno ,
Rode carne e ossa a turno,
Ma il cuore lo rode sempre.
* * *
Per tre lunghi anni non semineranno
Radici o piantine in quel luogo:
Per tre lunghi anni il punto maledetto
Sarà sterile e spoglio,
E guarderà il cielo sbigottito
Con sguardo privo di rimprovero.
Pensano che un cuore di assassino guasterebbe
Ogni semplice seme che piantano.
Non è vero! La pietosa terra di Dio
È pietosa più di quanto sappiano gli uomini,
E la rosa rossa sarà anzi più rossa,
Più bianca la rosa bianca.
Una rossa, rossa rosa dalla sua bocca!
Una rosa bianca dal suo cuore!
Poiché chi può dire per quali strane vie
Cristo porta alla luce la Sua volontà,
Da quando la verga sterile portata dal pellegrino
Fiorì al cospetto del grande Papa?
* * *
Ma né la rosa bianca lattea né quella rossa
Possono sbocciare all’aria della prigione;
Il coccio, il ciottolo e la selce
È quanto ci danno laggiù:
Poiché i fiori sono da sempre noti per sanare
La disperazione di un uomo comune.
Così mai rosa rossa come il vino o bianca,
Un petalo alla volta, cade
Su quel tratto di fango e sabbia che si trova
Presso l’orribile muro del carcere,
A dire agli uomini che calcano il cortile
Che il Figlio di Dio è morto per tutti.
* * *
Pure, anche se l’orribile muro del carcere
Ancora lo circonda tutto intorno,
E di notte non possa vagare uno spirito
Che ha catene legate,
E uno spirito che giace possa solo piangere
In terra tanto sconsacrata,
Egli è in pace – quest’uomo infelice –
È in pace, o lo sarà presto;
Non c’è cosa che lo faccia impazzire,
Né Terrore avanza a mezzogiorno,
Poiché la Terra senza lume in cui riposa
Non ha Sole né Luna.
* * *
Lo impiccarono come si impicca una bestia!
Non fecero neppure rintoccare
Un requiem che avrebbe potuto portare
Riposo al suo animo spaventato,
Ma in fretta lo portarono via,
E lo nascosero in una fossa.
Lo spogliarono degli abiti di tela
E lo dettero alle mosche:
Si beffarono del gonfio collo paonazzo
E degli occhi fissi e rigidi:
E ridendo forte gli ammucchiarono il sudario
Nel quale il loro carcerato giace.
Il Cappellano non volle inginocchiarsi a pregare
Presso la sua tomba disonorata:
Né segnarla con quella Croce benedetta
Che Cristo diede per i peccatori,
Perché l’uomo era uno di quelli
Che Cristo scese a salvare.
Ma va tutto bene; egli ha solo varcato
Il limite designato della vita:
E lacrime aliene gli riempiranno
L’urna da lungo infranta della pietà,
Poiché le sue prefiche saranno dei reietti,
E i reietti piangono sempre.
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