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Oscar Wilde – La decadenza della menzogna 3

Creato il 30 novembre 2012 da Marvigar4

la decadenza della menzogna

Oscar Wilde
La decadenza della menzogna
Un’osservazione

Titolo originale: The Decay of Lying – An observation
Traduzione di Marco Vignolo Gargini

Cyril : C’è qualcosa in ciò che dici, e non v’è dubbio che qualunque divertimento potremmo trovare nella lettura di un romanzo puramente moderno, raramente proviamo alcun piacere nel rileggerlo. E questa è forse la migliore prova bruta di ciò che è la letteratura e di ciò che non lo è. Se non si gode a leggere un libro sempre di più, non vale la pena di leggerlo affatto. Ma cosa ne dici del ritorno alla Vita e alla Natura? Questa è la panacea che ci viene sempre raccomandata.

Vivian : Ti leggerò ciò che dico sull’argomento. Il passo è più avanti nell’articolo, ma è tanto meglio che te lo legga ora:

« Il grido popolare del nostro tempo è “Torniamo alla Vita e alla Natura; loro ricreeranno  l’Arte per noi, e porteranno il sangue rosso a scorrere nelle loro vene; calzeranno con dolcezza i suoi piedi e rafforzeranno la sua mano.” Ma, ahimè! ci siamo sbagliati nei nostri amabili e ben intenzionati sforzi. La Natura è sempre indietro rispetto all’epoca. E quanto alla Vita, essa è il solvente che distrugge l’Arte, il nemico che le saccheggia la casa. »

Cyril : Che cosa intendi dicendo che la Natura è sempre indietro rispetto all’epoca?

Vivian : Beh, forse è un po’ criptico. Ciò che intendo è questo. Se noi prendiamo la Natura come semplice istinto naturale opposto alla cultura autocosciente, l’opera prodotta sotto questa influenza è sempre fuori moda, antiquata e datata. Un tocco di Natura può rendere affine il mondo, ma due tocchi di Natura distruggerebbero qualsiasi opera d’Arte. Se, d’altro canto, guardiamo alla Natura come alla collezione dei fenomeni esterni all’uomo, la gente scopre soltanto in essa ciò che le apporta. La Natura da sola non suggerisce niente. Wordsworth andò ai laghi, ma non fu mai un poeta lacustre. Rinvenne nelle pietre i sermoni che là aveva già nascosto. Andò a moraleggiare per il distretto, ma la sua opera valida prodotta quando tornò, non alla Natura ma alla poesia. La poesia gli donò Laodamia, e i bei sonetti, e la grande Ode, così com’è. La Natura gli donò Martha Ray e Peter Bell, e l’allocuzione alla vanga di Mr. Wilkinson.

Cyril : Ritengo che la questione potrebbe essere contestata. Io sono piuttosto incline a credere nell’ ‘impulso che promana da un bosco primaverile’, benché sia ovvio che il valore artistico di tale impulso dipenda interamente dal tipo di temperamento che lo riceve, così che il ritorno alla Natura verrebbe a significare semplicemente il procedere verso una grande personalità. Dovresti essere d’accordo con questo, immagino. Tuttavia, prosegui con il tuo articolo.

Vivian (legge) : « L’Arte comincia con la decorazione astratta, con un’opera puramente immaginativa e piacevole, trattante ciò che è irreale e inesistente. Questo è il primo stadio. Poi la Vita diviene affascinata da questa nuova meraviglia, e chiede di essere ammessa nel cerchio incantato. L’Arte coglie la Vita come parte del suo materiale grezzo, la ricrea e la rimodella in forme nuove, è del tutto indifferente al fatto, inventa, immagina, sogna, e mantiene fra se stessa e la realtà la barriera impenetrabile del bello stile, del trattamento decorativo o ideale. Il terzo stadio è là dove la vita ha il sopravvento e scaccia via l’arte nel deserto. Questa è la vera decadenza, ed è di questo che oggi soffriamo.

« Prendiamo il caso del teatro inglese. All’inizio nelle mani dei monaci l’Arte Drammatica fu astratta, decorativa e mitologica. Poi ingaggiò la Vita al proprio servizio, e usando alcune forme esteriori della vita, creò una razza del tutto nuova di esseri, le cui sofferenze furono più terribili di qualsiasi sofferenza provata mai dall’uomo, le cui gioie furono più forti delle gioie dell’amante, che aveva la collera dei Titani e la calma degli dei, che aveva peccati mostruosi e meravigliosi, virtù mostruose e meravigliose. Donò a essi un linguaggio diverso da quello usato abitualmente, un linguaggio pieno di musica risonante e di dolce ritmo, reso sontuoso dalla cadenza solenne, o reso delicato dalla rima fantastica, ingemmato di parole meravigliose e arricchito dalla dizione elevata. Vestì i suoi figli con strani costumi e diede loro maschere, e al suo ordine il mondo antico si alzò dalla sua tomba marmorea. Un nuovo Cesare procedette maestoso per la strada di una rinata Roma, e con purpurea vela e con remi guidati dai flauti un’altra Cleopatra risalì il fiume verso Antiochia. Vecchi miti e leggende e sogni presero forma e sostanza. La Storia fu interamente riscritta, e vi fu a malapena uno dei drammaturghi che non riconobbe che l’oggetto dell’Arte non è la semplice verità ma la bellezza complessa. In questo avevano perfettamente ragione. L’Arte stessa è realmente una forma di esagerazione; e la selezione, che è proprio lo spirito dell’arte, non è niente di più che una maniera intensificata di superenfasi.

« Ma la Vita ben presto distrusse la perfezione della forma. Perfino in Shakespeare noi possiamo scorgere l’inizio della fine. Esso si mostra attraverso il graduale disperdersi del blank-verse nei suoi ultimi drammi, con la predominanza data alla prosa e con la troppa importanza assegnata alla caratterizzazione. I passi in Shakespeare – e ve ne sono molti – dove il linguaggio è ordinario, volgare, esagerato, fantastico, persino osceno, sono interamente dovuti alla Vita che invoca un’eco della sua stessa voce e rifiuta l’intervento del bello stile, solo attraverso il quale si dovrebbe sopportare che la vita trovi espressione. Shakespeare non è in alcun modo un artista senza pecche. Egli ama troppo andare direttamente verso la vita e derivare la naturale espressione della vita. Dimentica che quando l’Arte consegna il suo mezzo immaginativo consegna tutto. Goethe dice, in qualche parte:

In der Beschränkung zeigt sich erst der Meister,

“È nello stare entro i limiti che il maestro si rivela”, e la limitazione, la condizione propria di ogni arte è lo stile. Comunque, non c’è bisogno di indugiare oltre sul realismo di Shakespeare. The Tempest è la più perfetta delle palinodie. Tutto ciò che volevamo sottolineare era che l’opera magnifici degli artisti elisabettiani e giacobiani conteneva in sé i semi della propria dissoluzione, e che, se riceveva un po’ della sua forza dall’usare la vita come materiale grezzo, derivava tutta la sua fiacchezza dall’usare la vita come un metodo artistico. Come risultato inevitabile di questa resa di forma immaginativa, noi abbiamo il moderno melodramma inglese. I personaggi in queste rappresentazioni parlano sulla scena esattamente come parlerebbe fuori di essa; non hanno ne aspirazioni né aspirate; sono presi direttamente dalla vita e riproducono la sua volgarità fino al più piccolo dettaglio; presentano l’andatura, i modi, il costume e l’accento della gente reale; passerebbero inosservati in uno scompartimento ferroviario di terza classe. E in più, come sono tediose queste rappresentazioni! Non riescono neppure a produrre quell’impressione di realtà a cui mirano, e che è la loro sola ragione di esistere. Come metodo, il realismo è un fallimento completo.

« Ciò che è vero rispetto al teatro e al romanzo non è meno vero rispetto a quelle arti che noi chiamiamo arti decorative. Tutta la storia di queste arti in Europa è la raccolta della lotta tra l’Orientalismo, con il suo franco rifiuto dell’imitazione, il suo amore della convenzione artistica, il suo sdegno per l’attuale rappresentazione di qualsiasi oggetto della Natura e il nostro spirito imitativo. Ovunque il primo è stato supremo, come in Bisanzio, Sicilia e Spagna, per diretto contatto o nel resto dell’Europa per l’influenza delle Crociate, abbiamo opere belle e immaginifiche nelle quali le cose visibili della vita sono trasfigurate in convenzioni artistiche, e le cose che la Vita non ha sono inventate e foggiate per il suo piacere. Ma ovunque siamo tornati alla Vita e alla Natura, la nostra opera è diventata sempre volgare, ordinaria e priva di interesse. I moderni arazzi, con i suoi effetti aerei, le sue prospettive elaborate, le loro ampie distese di cielo deserto, il suo realismo fedele e laborioso, non hanno affatto alcuna bellezza. Il vetro dipinto della Germania è assolutamente detestabile. Stiamo iniziando a tessere tappeti accettabili in Inghilterra, ma solo perché siamo tornati al metodo e allo spirito dell’Oriente. I nostri tappeti di venti anni fa, con le loro solenni e deprimenti verità, la loro inane venerazione della Natura, le loro sordide riproduzioni di oggetti visibili, sono divenuti, perfino per i filistei, una fonte di ilarità. Un colto maomettano una volta ci fece notare: “Voi cristiani siete così preoccupati a mistificare il quarto comandamento che non avete mai pensato di fare un’applicazione artistica del secondo.” Aveva perfettamente ragione e la verità esauriente della faccenda è questa: La scuola appropriata per imparare l’Arte non è la Vita ma l’Arte. »

E ora lascia che ti legga un passaggio che a me sembra sistemare la questione nel modo più completo.

« Non è stato sempre così. Non abbiamo bisogno di dire niente dei poeti, poiché loro, con l’infelice eccezione del Signor Wordsworth, sono stati veramente fedeli alla loro alta missione e sono riconosciuti universalmente del tutto inattendibili. Ma nell’opera di Erodoto, che, a dispetto dei tentativi epidermici e ingenerosi dei moderni saputelli di verificare la sua storia, può giustamente essere definito il “Padre della Menzogna”; nei discorsi pubblicati di Cicerone e nelle biografie di Svetonio; nel miglior Tacito; nella Storia naturale di Plinio; nel Periplo di Annone; in tutti i cronisti antichi; nelle Vite dei Santi; in Froissart e in sir Thomas Malory; nei viaggi di Marco Polo; in Olao Magno, e Aldovrando, e Corrado Licostene, col suo magnifico Prodigiorum et Ostentorum Chronicon; nell’autobiografia di Benvenuto Cellini e nelle memorie di Casanova; nella Storia della Peste di Defoe; nella Vita di Johnson di Boswell; nei dispacci di Napoleone e nelle opere del nostro Carlyle, la cui Rivoluzione Francese è uno dei romanzi storici più affascinanti mai scritti, i fatti o sono mantenuti nella loro appropriata posizione subordinata, o sono generalmente esclusi il generale motivo della monotonia. Adesso tutto è mutato. I fatti non solo stanno trovando una posizione stabile nella storia, ma stanno usurpando il dominio della Fantasia e hanno invaso il regno del Romanzo. Il loro agghiacciante tocco è su ogni cosa. Stanno involgarendo l’umanità. Il crudo commercialismo dell’America, il suo spirito materialista, la sua indifferenza per il lato poetico delle cose, e la sua assenza di immaginazione e di ideali alti e irraggiungibili, sono dovuti interamente a quel paese che ha adottato come suo eroe nazionale un uomo che, secondo la sua stessa confessione, fu incapace di dire una menzogna, e non è troppo affermare che la storia di George Washington e del ciliegio ha nuociuto di più, e in un minor lasso di tempo, di qualunque altro racconto morale in tutta la letteratura. »

Cyril : Mio caro amico!

Vivian : Ti assicuro che le cose stanno così, e la parte più divertente di tutta la faccenda è che la storia del ciliegio è un mero mito. Comunque, non devi pensare che io sia troppo depresso sul futuro artistico dell’America e del nostro paese. Ascolta questo:

« Che qualche cambiamento avverrà prima che questo secolo sia giunto alla fine non dobbiamo aver dubbio. Stufa della noiosa ed edificante conversazione di quelli che non possiedono né lo spirito per esagerare né genio per il romanzo, stanca della persona intelligente le cui reminiscenze si basano sempre sulla memoria, le cui affermazioni sono invariabilmente limitate dalla probabilità, e che è costantemente esposta a essere corroborata dal Filisteo più puro che per caso è presente, la Società prima o poi deve tornare alla sua guida perduta, al colto e affascinante mentitore. Chi fu colui che per primo, senza essere andato fuori a caccia grossa, raccontò, verso il tramonto, ai cavernicoli stupefatti come egli aveva trascinato il Megaterio dalla purpurea oscurità del suo antro di diaspro, o ammazzato il Mammuth a duello e riportato le sue zanne dorate, non possiamo dirlo e nessuno dei nostri moderni antropologi, per tutta la loro vantata scienza, ha avuto il coraggio di dircelo. Qualunque fosse il suo nome o la sua razza, egli fu certamente il vero fondatore delle relazioni sociali. Poiché il fine di colui che mente è semplicemente incantare, deliziare, offrire il piacere. Egli è la base stessa della società civilizzata, e senza di lui un pranzo, anche nei palazzi dei grandi, è così noioso come una conferenza alla Royal Society, o un dibattito alla Società degli Autori, o una delle commedie farsesche di Mr. Burnand. 

« Egli sarà ben accolto non solo dalla società. L’Arte evadendo dalla prigione del realismo, correrà a salutarlo, e bacerà le sue false e belle labbra, sapendo che egli soltanto è in possesso del grande segreto di tutta la sua manifestazione, il segreto che la Verità è interamente e assolutamente una questione di stile; mentre la Vita – la povera, probabile, tanto poco interessante vita umana – stanca di ripetere se stessa a beneficio del Signor Herbert Spencer, degli storici scientifici e dei compilatori di statistiche in genere, lo seguirà docilmente, e tenterà di riprodurre, nel suo modo semplice e rozzo, qualcuna delle meraviglie di cui egli parla.

« Senza dubbio ci saranno sempre critici che, come un certo scrittore nella “Saturday Review”, censureranno gravemente il dicitore di storie fabiesche per la sua difettosa conoscenza della storia naturale, che misureranno l’opera fantastica col metro della sua mancanza di qualsiasi facoltà immaginativa, e alzeranno le loro mani macchiate di inchiostro con orrore se qualche onesto gentiluomo, che non è mai andato più lontano dei tassi del suo giardino, stende un libro di viaggi affascinante come Sir John Mandeville, o, come il grande Raleigh, scrive una storia intera del mondo, senza conoscere assolutamente nulla del passato. Per scusarsi tenteranno di rifugiarsi sotto lo scudo di colui che creò il mago Prospero e gli donò come servi Calibano e Ariele, che udì i Titani soffiare nei loro corni intorno al banco di coralli dell’Isola Incantata e le fate cantare tra di loro in un bosco vicino ad Atene, che condusse i re fantasmi in fievole processione attraverso le brumose lande della Scozia, e nascose Ecate in una grotta con le bizzarre sorelle. Invocheranno Shakespeare – fanno sempre così – e citeranno quel trito passaggio dimenticando che questo disgraziato aforisma sull’Arte che regge lo specchio alla Natura è deliberatamente pronunciato allo scopo di convincere gli spettatori della sua assoluta follia in ogni argomento d’arte. »



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