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Oscar Wilde “Penna, matita e veleno – Uno studio in verde” 1

Creato il 14 luglio 2012 da Marvigar4

oscar wilde

OSCAR WILDE
PENNA, MATITA E VELENO
UNO STUDIO IN VERDE

Titolo originale: PEN, PENCIL AND POISON – A STUDY IN GREEN
Traduzione di Marco Vignolo Gargini

BREVE NOTA INTRODUTTIVA A CURA DEL TRADUTTORE.

   Pen, Pencil and Poison, scritto nel 1888 e pubblicato sulla «Fortnightly Review» nel gennaio 1889, è la seconda opera saggistica di Oscar Wilde dopo The Truth of Masks, un testo di pochi anni precedente, ma sicuramente la prima a consolidare la vena critica dello scrittore irlandese, il quale, non a caso, a partire proprio da questa prova, inaugura un’epoca di grande fecondità compositiva, che confluirà di lì a breve nella realizzazione di altri saggi: The Decay of Lying, The Critic as Artist e The Soul of Man under Socialism.
Pen, Pencil and Poison, definito da Wilde una memoire, riguarda la figura di Thomas Griffiths Wainewright (1794-1852), un personaggio che venne registrato negli annali della storia britannica più per i suoi delitti che per le sue doti artistiche. Wainewright fu pittore, collezionista, recensore di opere letterarie e critico d’arte, coltivò contemporaneamente la profonda delicatezza di un grande esteta e la spietatezza del più crudele criminale, cosicché, per tali simultanee e contrastanti disposizioni, la sua attività creativa passò in secondo piano rispetto a quella di falsario e omicida avvelenatore. Wilde descrisse tutto questo sottolineando quella che per lui sarebbe stata sempre una convinzione condivisa da pochi: «Il fatto che egli (Wainewright) avesse un sincero amore per l’arte e la natura a me pare del tutto palese. Non esiste un’essenziale incongruità tra crimine e cultura. Non possiamo riscrivere l’intera storia con il proposito di gratificare il nostro senso morale con ciò che dovrebbe essere».
Il parallelismo disgraziatamente non casuale tra Wilde e Wainewright nacque già ai tempi in cui l’artista di Dublino diede i primi segnali della sua inclinazione al dandismo: J. E. Courtenay Bodley, amico e compagno a Oxford, mandò per scherzo a Wilde delle teste di merluzzo avvolte nel “London Journal”, e annotò la reazione generata dal suo gesto provocatorio con queste parole, a data 6 dicembre 1875: «Wilde non gradisce che gli si mandino teste di merluzzi e il “London Journal”. Le prime, ha detto, le ha gettate di nascosto nel Cherwell, sentendosi una sorta di Wainewright (l’assassino)» [1].
L’epilogo tragico di questo parallelismo fu che Wilde, come Wainewright, un giorno (22 maggio 1895) si ritrovò seduto al tribunale penale di Londra, l’Old Bailey, nella veste di imputato per rispondere dell’accusa di aver commesso “atti di grande indecenza con varie persone di sesso maschile”. Wilde per la società inglese divenne un criminale, sebbene, rispetto a Wainewright, non si fosse macchiato di alcun delitto. Il carcere, com’è noto, stroncò la carriera e l’esistenza di Wilde, facendo pagare soprattutto la manifestazione di un modello di vita considerato osceno, pericoloso, immorale.
Pen, Pencil and Poison, si può dire, è la prima denuncia di una certa consistenza fatta da Wilde sulla commistione tra i campi di competenza etica ed estetica, commistione che nemmeno oggi ce la fa ad essere sciolta, nonostante molta acqua e molti, troppi processi siano passati sotto il ponte.

[1] Richard Ellmann, Oscar Wilde – Una biografia, traduzione di Ettore Capriolo, Rizzoli, Milano 1991, pag. 80.

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   È stata riferita con costanza come argomento di biasimo contro gli artisti e i letterati la carenza di totalità e di completezza della loro natura. Di regola deve essere necessariamente così. Proprio quella concentrazione di visione, quell’intensità di propositi che è la caratteristica del temperamento artistico, è in sé un modello di limitazione. A coloro che sono assorti nella bellezza della forma null’altro sembra avere grande importanza. Eppure vi sono molte eccezioni a questa regola. Rubens prestò servizio come ambasciatore, e Goethe come consigliere di stato, e Milton come segretario Latino di Cromwell. Sofocle mantenne delle cariche civiche nella sua stessa città; gli umoristi, i saggisti, e i romanzieri della moderna America pare non desiderino di meglio che diventare i rappresentanti diplomatici del loro paese; e l’amico di Charles Lamb, Thomas Griffiths Wainewright, il soggetto di questa breve memoria, pur possedendo un temperamento estremamente artistico, seguì molti maestri oltre all’arte, essendo non soltanto un poeta e un pittore, un critico d’arte, un antiquario, e uno scrittore di prosa, un amante delle cose belle, e un cultore di cose deliziose, ma anche un falsario di capacità né mediocri né ordinarie, e un fine e segreto avvelenatore quasi senza rivali in questa o in un’altra epoca.

   Quest’uomo eccezionale, così possente con ‘penna, matita e veleno’, come un grande poeta nostro contemporaneo ha detto elegantemente di lui, nacque a Chiswick nel 1794. Suo padre era il figlio di un insigne procuratore di Gray’s Inn e Hatton Garden.  Sua madre era la figlia del celebrato Dr. Griffiths, il direttore e  il fondatore della Monthly review, e partner in un’altra attività letteraria di Thomas Davis, quel famoso libraio di cui Johnson disse che non era un libraio, ma ‘un gentiluomo che si occupava di libri’, l’amico di Goldsmith e Wedgwood, e uno degli uomini più noti del suo tempo.  Mrs. Wainewright morì, mettendolo al mondo, all’età prematura di ventuno anni, e un necrologio nel Gentleman’s magazine ci narra della sua ‘amabile disposizione d’animo e di numerose doti, e aggiunge in modo piuttosto bizzarro che ‘s’è ritenuto ch’ella avesse compreso gli scritti di Mr. Locke forse più a fondo di qualsiasi persona d’ambo i sessi oggi vivente’. Suo padre non sopravvisse a lungo alla sua giovane moglie, e il piccolo sembra sia stato allevato da suo nonno, e, alla morte di quest’ultimo nel 1803, da suo zio George Edward Griffiths, che in seguito avvelenò.  Trascorse la sua infanzia nella Linden House, a Turnham Green, una di quelle magioni georgiane molto pregiate che disgraziatamente sono scomparse prima dell’abusivismo edilizio urbano della periferia, dai cui incantevoli giardini e bei parchi alberati egli ereditò quel semplice e veemente amore della natura che non l’abbandonò mai per tutta la sua vita, e che lo rese così particolarmente ricettivo alle influenze spirituali della poetica di Wordsworth. Andò a  scuola all’accademia di Charles Burney a Hammersmith. Mr. Burney era figlio dello storico della musica, e parente prossimo di quel ragazzo artista in nuce ch’era destinato a diventare il suo allievo più notevole. Sembra sia stato un uomo di buona cultura, e anni dopo Mr. Wainewright spesso ne parlò con molto affetto come di un filosofo, di un archeologo, e di un ammirevole docente che, mentre teneva in alta considerazione l’aspetto intellettuale dell’istruzione, non trascurava l’importanza di una precoce educazione morale. Fu sotto Mr. Burney che egli iniziò a sviluppare il suo talento artistico, e Mr. Hazlitt ci dice che un suo blocco da disegno che usava a scuola esiste ancora, e rivela un gran  talento e una sensibilità naturale. Indubbiamente la pittura fu la prima arte che lo affascinò. Fu molto tempo dopo che egli cercò di trovare un’espressione con la penna o il veleno.

   In precedenza, tuttavia, sembra sia stato rapito dalle aspirazioni fanciullesche ispirate da racconti fantastici e cavallereschi della vita militare, e divenne giovane membro dei reggimenti della Guardia. Ma la vita sfrenata e dissipata dei suoi compagni d’armi non riuscì a soddisfare il raffinato temperamento artistico di uno che era fatto per altre cose. In breve tempo si stancò del servizio.  ‘L’Arte’, ci dice, con parole che ancora emozionano molti per la loro sincerità ardente e lo strano fervore, ‘L’Arte toccò il suo rinnegato; attraverso la sua pura e nobile influenza le malsane nebbie vennero purificate; i miei sentimenti, inariditi, infuocati, e appannati, furono rinnovati con una calma, fresca fioritura, semplice, bella per gli ingenui di cuore’. Ma l’Arte non fu la sola causa del mutamento. ‘Gli scritti di Wordsworth,’ prosegue, ‘agirono molto per sedare il turbine informe che incide necessariamente sui cambiamenti repentini. Piansi su di essi lacrime di felicità e gratitudine’. Di conseguenza lasciò l’esercitò, con la sua rude vita da caserma e le rozze ciance della mensa, e tornò a Linden House, pieno di questo rinato entusiasmo per la cultura. Una grave malattia, in cui egli, per usare le sue stesse parole, ‘andò in frantumi come un vaso d’argilla’, lo prostrò per un po’. La complessità della sua delicata tensione, sebbene fosse indifferente a infliggere dolore agli altri, era in sé e per sé sensibile al dolore in modo assai acuto. Egli evitava la sofferenza come qualcosa che altera e mutila la vita umana, e pare che abbia vagato in quella terribile valle della melanconia dalla quale tanti spiriti grandi, forse i più grandi, non sono mai riemersi. Ma era giovane – solamente venticinquenne – e ben presto uscì dalle ‘nere acque di morte’, come le chiamò, all’aria più aperta della cultura umanistica. Mentre si stava rimettendo dalla malattia, che lo aveva portato quasi in punto di morte, concepì l’idea di occuparsi di letteratura come un arte. ‘Io dissi con John Woodvil’ esclama ‘sarebbe una vita divina dimorare in un elemento siffatto’, per vedere e ascoltare e scrivere audaci cose:

These high and gusty relishes of life
Have no allayings of mortality
.’
(Questi alti e impetuosi sapori di vita
non hanno sentori di mortalità) [1]

[1] Charles Lamb, John Woodvil, 1805.



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