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Oscar Wilde “Penna, matita e veleno – Uno studio in verde” 4

Creato il 26 luglio 2012 da Marvigar4

Oscar

OSCAR WILDE
PENNA, MATITA E VELENO
UNO STUDIO IN VERDE

Titolo originale: PEN, PENCIL AND POISON – A STUDY IN GREEN
Traduzione di Marco Vignolo Gargini

   Come ci si attende da uno che era pittore, egli spesso è estremamente tecnico nelle sue critiche d’arte. Del San Giorgio e il drago di Tintoretto [5] osserva: 
  
   La veste di Sabra, ardentemente traslucida in virtù del color blu di Prussia, si staglia dal pallido fondale verdognolo con un manto vermiglio; e le tinte cariche di entrambi sono splendidamente riecheggiate, per così dire, in una chiave minore dalle stoffe color lacca purpurea e dall’armatura di ferro bluastro del santo, oltre all’ampio contrappeso del vivido drappeggio azzurro in primo piano nelle ombre color indaco del bosco selvaggio di torno al castello. 
  
   E altrove egli parla con erudizione di ‘un delicato Schiavone, variegato come una aiuola di tulipani, dalle opime tinte spezzate’, di ‘uno splendente ritratto, notevole per morbidezza[6], del sobrio Moroni’, e di un altro quadro che è ‘polposo nelle carnalità’.
   Ma, di regola, egli tratta le sue impressioni sulle opere come un tutto artistico, e tenta di tradurre in parole queste impressioni, di dare, per così dire, l’equivalente letterario dell’effetto immaginativo e mentale. Fu uno dei primi a sviluppare ciò che è stata definita la letteratura d’arte del diciannovesimo secolo, quella forma di letteratura che ha trovato in Mr. Ruskin e Mr Browning i due suoi più perfetti esponenti. La sua descrizione del Repas Italien di Lancret, dove ‘una ragazza dalla chioma scura, “cupida di  Malizia”, langue sull’erba cosparsa di margherite’, è sotto certi aspetti molto affascinante. Ecco la sua esposizione della Crocifissione di Rembrandt. È estremamente caratteristica del suo stile:
  
   L’oscurità – un’oscurità fuligginosa, portentosa – avvolge l’intera scena: solo sopra il maledetto bosco, come attraverso un’orrida fenditura nel tenebroso soffitto, un diluvio di pioggia – ‘scrosci di nevischio, acqua scolorita’ – affluisce giù in basso, spargendo una spaventosa luce spettrale, perfino più orribile della palpabile notte. Già la Terra ansima con respiro grosso e rapido! La cupa Croce trema! I venti si rovesciano – l’aria è stagnante – un rombo di tuono brontola sotto i loro piedi, e qualcuno di quella miserevole folla inizia a scappare giù per la collina. I cavalli annusano il terrore incombente, e si imbizzarriscono per il terrore. Il momento s’avvicina rapidamente quando, quasi fatto a brandelli dal Suo stesso peso, venendo meno per la perdita di sangue, che ora scorre in rivoli più stretti dalle Sue vene recise, le Sue tempie e il petto in un bagno di sudore, e la Sua nera lingua disseccata per la feroce febbre di morte, Gesù urla, ‘Ho sete’. L’aceto mortale viene a Lui elevato.
   La sua testa ricade di colpo, e il sacro corpo ‘pende senza sensi dalla croce’. Un lenzuolo di vermiglia fiamma passa sottile attraverso l’aria e svanisce; le rupi del Carmelo e del Libano si spaccano; il mare ritrae dalle sabbie le sue nere onde tumultuose. La Terra sbadiglia, e i sepolcri liberano i loro abitanti. I trapassati e i viventi insieme sono commisti in una congiunzione innaturale e corrono per la città santa. Nuovi prodigi li attendono laggiù. Il velo del tempio – l’impenetrabile velo – da cima a fondo è squarciato, e quel paventato recesso che contiene i misteri ebraici – la fatale arca con le tavole e il
candelabro a sette braccia – è schiuso dalla luce di fiamme soprannaturali alla moltitudine abbandonata da Dio.
   Rembrandt non dipinse mai questo schizzo, ed ebbe del tutto ragione. Avrebbe perso quasi tutto il suo fascino, perdendo quel velo imbarazzante di indistinto che permette una così ampia gamma nella quale la dubbiosa immaginazione può speculare. Al momento è come una cosa di un altro mondo. Un tetro abisso è tra noi e lei. Non è tangibile con il corpo. Possiamo soltanto avvicinarla in spirito.

[5] L’opera del Tintoretto viene citata da Wilde con il titolo St. George delivering the Egyptian Princess from the Dragon (San Giorgio che libera la principessa egiziana dal drago), ma il quadro, eseguito nel 1555-58 ca. da Jacopo Robusti, al secolo Tintoretto,  è noto come San Giorgio e il drago.

[6] In italiano nel testo.



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