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#OscarGoesTo: il film d’animazione

Creato il 14 febbraio 2015 da Signorponza @signorponza

Animated Feature

Ogni anno, se le industrie cinematografiche riescono a mandare in sala almeno sedici pellicole animate, incluse le pellicole programmate per l’uscita e non ancora uscite, l’Academy può permettersi di avere cinque candidati in corsa per l’Oscar al miglior film d’animazione invece di tre. Il problema sorgeva soprattutto anni fa, quando la Walt Disney Animation Studios regnava sovrana e isolata nel genere, giungendo a candidarsi addirittura nelle categorie maggiori: La Bella E La Bestia era uno dei Migliori Film nel ’92 insieme ad altre quattro pellicole “con le persone”: la categoria dell’animazione nasce solo nel 2001, con Shrek. Ma i tempi di gloria sono finiti e dal 2001 a oggi l’unica statuetta che la Disney ha visto è stata quella per Frozen l’anno scorso, settima nomination prima di questo discutibile Big Hero 6 e dopo l’ingiusta soffiata che Brave fece al geniale Ralph Spaccatutto. La Pixar Animation Studios di WALL•EToy Story 3 e Up ha toccato vette che l’hanno messa in posizione di vantaggio (sei nominations il primo, cinque gli altri due, scavalcando il miglior film d’animazione verso il miglior film tout-court) con sette vittorie su nove (hanno perso solo Monsters & Co. e Cars) ma altri modi di fare cinema, altri generi e altre case di produzione piano piano si stanno infiltrando nelle scelte dei giurati al punto che nel 2011 c’erano due piccoli europei in gara, Un Gatto A Parigi e Chico E Rita.

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Lo scorso novembre l’Academy rese nota la shortlist delle pellicole animate che avevano le credenziali per essere nominate: erano 20 film, inclusi i baby movie The Hero Of Color City e Trilli E La Nave Pirata – ma lo scorso novembre non c’era gara, non c’era storia. The Lego Movie pareva la pellicola dell’anno, del lustro addirittura (sebbene abbia una parte non animata: bastano 75 minuti di animazione e 40 di tecnica passo-uno nella recitazione dei personaggi perché la pellicola si consideri “d’animazione”; ma allora Avatar?) ma al giorno dell’annuncio delle nominations The Lego Movie nella cinquina non c’è. C’è la sua bislacca canzone originale ma il film non c’è. La colpa è di due intrusi: il primo, era un intruso prevedibile, La Storia Della Principesse Splendente figlio “illegittimo” dello Studio Ghibli che ha già un Oscar, ricevuto agli albori, per il meraviglioso La Città Incantata, e altre due nominations, per i meravigliosi Si Alza Il Vento e Il Castello Errante Di Howl. Considerato il capolavoro di Isao Takahata, La Principessa Splendente racconta la storia di Kaguya e di come un tagliatore di bambù desideroso di progenie la trovi in un bosco e la cresca come figlia propria, fino a scoprire della sua venuta dalla luna, del suo essere speciale, una principessa appunto, che merita un marito altrettanto altolocato. E il racconto è fatto di un’animazione delicata, primitiva diremmo, essenziale, di fondi bianchi, carte, e colpi d’acquerello irregolari, scomposti, qualche linea di contorno viva e qualche piano grossolano. Rimasto nelle nostre sale un solo giorno, ha incassato in compenso più di 22 milioni e mezzo di dollari nel solo Giappone. Il secondo intruso, tornando a noi, è europeo, una co-produzione franco-irlandese-belga-danese che riporta a Hollywood il regista Tomm Moore dopo la nomination del 2009 per The Secret Of Kells, sempre della sua Cartoon Saloon; Song Of The Sea è un’altra perla per gli occhi come lo era la pellicola precedente e per la sua trama attinge addirittura alla tradizione celtica: Ben e Saoirse sono due fratelli che vivono in un faro in mezzo al mare con il loro genitore distrutto dalla perdita della moglie, creature mitologiche della tradizione irlandese e scozzese metà umani e metà foche. Il ritrovamento di un flauto-conchiglia da parte di Saoirse, che a sei anni ancora non sa parlare, porterà alla luce il ricordo della madre e i segreti del loro passato. D’ispirazione irlandese è anche la colonna sonora, del francese Bruno Coulais (Les Choristes su tutti) e con alcuni brani originali di Lisa Hannigan.

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La Laika di Coraline e ParaNorman schiera Boxtrolls – Le Scatole Magiche, una minuziosa e lenta animazione, come ci rivelano i due personaggi che concludendo il film disquisiscono sull’essere animati da altri, mossi da altri, creati da altri, mentre gli animatori e il set ci vengono svelati – ma delle tre pellicole in stop-motion sfornate dalla casa di produzione questa è sicuramente la meno potente: ammasso di rottami, formaggi, bubboni e sanguisughe, ancora una volta punta a rendere fiabesco l’onirico e il terrifico ma privato della tradizione 70s a cui Norman attingeva. La sfida è tutta, quindi, tra la Disney e la DreamWorks Animation di Dragon Trainer 2. Cinque anni dopo aver lasciato Hiccup senza una gamba e il suo Sdentato senza un pezzo di coda, regna l’armonia tra i vichinghi e i draghi e le minacce sono tutte esterne: prima una madre che ricompare dopo aver abbandonato il figlio e poi un cacciatore di draghi che minaccia l’equilibrio dell’ecosistema. Affrontando già solo con questa serie (esiste un terzo capitolo) temi quali l’omosessualità (ebbene Skaracchio rivela di non essere sposato perché…), il rifiuto di una madre, la morte di un padre, la perdita di arti, l’ormone adolescenziale, la DreamWorks ha accumulato più nominations della Pixar (11), inclusi i sequel e gli spin-off (Kung Fu Panda 2, Il Gatto Con Gli Stivali); non sorprenderebbe quindi se l’Oscar andasse là, dove è già andato il Golden Globe, ad affiancarsi a quel primo premio avuto per Shrek rimasto poi isolato se non si considera Wallace & Gromit, per la maggior parte della Aardman.

Animated Short

Di Big Hero 6 che gli sta alle costole è il film in gara nella categoria dei cortometraggi animati: Feast, storiella di un uomo e della sua relazione sentimentale vista attraverso gli occhi (e l’altezza) di un cane e dei suoi pasti, anche quelli vegetariani di cui tutte le neo-coppie vivono una fase. Premiata nel 2012 con l’osannato Paperman, la Disney è stata battuta l’anno scorso quando Topolino era tornato in voga attraverso il matto Get A Horse! che precedeva Frozen. Se a Feast è andato l’Annie Award (massimo riconoscimento dell’animazione), a The Bigger Picture è però andato il BAFTA, e alla sua ironia sull’animazione 2D fatta apparentemente di adulta pittura. Da tenere d’occhio comunque gli altri tre candidati di questa categoria minore (ma attenzione, ché così ha cominciato John “Toy Story” Lasseter): The Dam Keeper, che pare il più semplice, nasconde un’animazione 3D a cui è stata sovrapposta una colorazione vaporosa, naïf, quasi per l’infanzia, mentre Me And My Moulton, autobiografia della regista Torill Kove, è il più semplice dal punto di vista del disegno ma si basa su una forte, sarcastica sceneggiatura. A Single Life (il secondo a partire da sinistra, nell’immagine) è il racconto di una donna sola che scopre di poter riportare indietro il tempo attraverso il suo giradischi. Le previsioni per questa categoria sono spesso impossibili.

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Vincerà: Dragon Trainer 2 di Dean DeBlois (DreamWorks Animation)

Potrebbe vincere: Big Hero 6 di Don Hall & Chris Williams (Walt Disney Pictures)

Dovrebbe vincere: Song Of The Sea di Tom Moore (Cartoon Saloon/ GKIDS)

Dovrebbe esserci: Cheatin’ di Bill Plympton (Plymptoon Studios)

Nelle puntate precedenti:

  • Miglior canzone originale
  • Miglior attrice protagonista

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