Magazine Diario personale
e andavo quindi in giro per la città con una telecamera e chiedevo alle persone che incontravo se volevano mettersi in gioco e rispondere a 10 domande. osservavo i comportamente della gente, le loro reazioni, i loro blocchi o il loro interesse, osservavo i diversi atteggiamenti in base alle situazioni, se la cavia era sola o in compagnia, se ostentava sicurezza o imbarazzo. volevo penetrare il pensiero e l'emotività di chi vive intorno a me.
La prima domanda era semplice, facile facile: sei felice?
ma la seconda cos'è la felicità? generava solitamente uno sguardo spaesato, completamente impreparato a dare una risposta veramente esaudiente. forse alcuni si rendevano conto solo in quel momento che non si erano mai posti quella domanda dando per scontato di conoscere la risposta. molti confondono la felicità con il piacere o con la seratonina, altri ne hanno un'idea approssimativa, i più scaltri credono sia un bene fugace, inafferabile, altri considerano l'argomento come una domanda da crisi esistenziale adolescenziale e non si soffermano neanche a pensare che ogni loro gesto e azione sia inconsciamente mirata ad ottenerla (senza però avere consapevolezza di ciò che si vuole ottenere).
diciamocelo, ogni uomo anela a essere felice, ma bombardati di stronzate raramente abbiamo occasione di imparare come esserlo. e non è certo qualche libretto di uno psicologo da talkshow sullo scaffale del centro commerciale che ridarà serenità all'uomo moderno.
la risposta più bella, semplice ma dai significati impliciti me l'ha data un ragazzo spagnolo di 20 anni. era partito da barcellona con uno zaino e pochi soldi ed era venuto in italia per un viaggio di alcuni mesi. rasato, con una canottiera leggera, seduto a gambe incrociate e con gli occhi pieni d'amore per ogni cosa su cui posava lo sguardo: sembrava un monaco theravada. mi disse in un italiano approssimativo la felicità è essere felici anche quando si è tristi
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