Per la terza edizione dell’ Osterfestpiele, i Berliner Philharmoniker presentano in questi giorni al Festspielhaus Baden-Baden un nuovo allestimento del Rosenkavalier, oltre ai consueti concerti sinfonici e corali a cui si aggiungono tutte le numerose manifestazioni di contorno e i progetti educativi. Anche quest’ anno la rassegna ha attirato a Baden-Baden un cospicuo numero di spettatori provenienti da tutto il mondo, a conferma della validità del progetto ideato dal Festspielhaus e dal complesso berlinese che, nel trasferire il suo festival pasquale da Salzburg alla cittadina termale prossima alla Schwazwald, ne ha trasformato la caratteristica di appuntamento esclusivo, facendolo diventare un progetto culturale ad amipo respiro che coinvolge tutte le istituzioni locali.
Naturalmente, il principale motivo di interesse per gli appassionati che assistono all’ Osterfestspiel rimane sempre la possibilità di ascoltare i Berliner Philharmoniker impegnati nell’ esecuzione di un’ opera. Così è stato anche per questo Rosenkavalier nel quale il complesso ha fornito una delle sue consuete prestazioni ad altissimo livello. Un suono morbido, vellutato, ricco di infinite sfumature dinamiche, con una sezione archi meravigliosa per pastosità di suono e omogeneità, fiati da manuale per la tinta dorata degli ottoni e i colori al pastello dei legni. Sir Simon Rattle ha utilizzato le possibilità illimitate offertegli dal complesso berlinese per una direzione sagace e duttile, dal tono morbidamente melanconico e accuratissima nella definizione delle atmosfere e nella sottolineatura di tutte le raffinatezze della strumentazione straussiana. Forse mancava a tratti, in questa interpretazione, la sottolineatura dei contenuti di commedia e il tono umoristico della Wienerische Maskerad’ immaginato da Richard Strauss e Hugo von Hofmannstahl come aspetto essenziale dell’ opera, ma la bellissima atmosfera sonora evocata dall’ orchestra in pagine come il finale del primo atto e il meraviglioso Terzetto che chiude l’ opera era di quelle che meritano di essere ricordate a lungo per il respiro conferito alle linee melodiche e la stupenda qualità timbrica creata dai Berliner Philharmoniker.
Per quanto riguarda la parte scenica dello spettacolo, eravamo decisamente a un livello inferiore. Brigitte Fassbaender, la celebre cantante berlinese che è stata una interprete storica del ruolo di Oktavian e da qualche anno, dopo il suo ritiro dalle scene, si dedica con successo all’ attività di regista, non è riuscita a dare un taglio preciso e riconoscibile alla sua lettura teatrale, basata su un impianto scenico ideato da Erich Wonder, impostato su proiezioni trasparenti integrate da arredi di taglio decisamente minimalista, e sui costumi di Dietrich von Grebmer, che mescolavano stile d’ epoca e moderno. Un eccesso di scenette e gags inutili, soprattutto nel secondo e terzo atto, e una condotta delle masse a tratti confusa, uniti a una recitazione troppo spesso stereotipata, hanno dato come risultato finale una regia che sembrava incapace di scegliere una direzione precisa, decisamente irrisolta nel mescolare l’ antico e il moderno e nel complesso apparsa carente di coerenza e originalità di concezione. Probabilmente solo nella parte finale, a partire dall’ uscita di Ochs, la messinscena trovava il tono giusto e l’ aderenza allo spirito della musica, anche per merito dei suggestivi effetti di luce creati da Franz David.
Foto ©Monika RitterhausLa compagnia di canto di questa produzione annoverava alcuni tra i nomi più prestigiosi del momento a livello internazionale. La prova più interessante, a mio avviso, è stata quella di Peter Rose, basso nativo di Canterbury che da anni è considerato uno dei massimi interpreti del ruolo di Ochs. La voce è sempre ampia, sonora e ben gestita nell’ emissione. L’ interprete ha mostrato una perfetta padronanza di tutte le sfumature del ruolo, con un tono complessivo sobrio, misurato e mai scadente nella volgarità; anche dal punti di vista scenico, Peter Rose si è fatto apprezzare per eleganza e spigliatezza. Anja Harteros, che nel repertorio tedesco non soffre di quelle disuguaglianze di emissione che ne limitano pesantemente la resa quando affronta le opere italiane, un aspetto ampiamente dimostrato dalle sue pessime recenti prestazioni in opere come Trovatore, Don Carlo e Forza del destino, è stata una Marschallin abbastanza convincente sul piano vocale ma poco risolta dal punto di vista dell’ interpretazione a causa di un fraseggio che, soprattutto nel celebre monologo del primo atto, mi è apparso non adeguatamente approfondito e carente di maturità espressiva. Una prestazione sicuramente dignitosa e non priva di momenti riusciti, ma nel complesso ben lontana dagli esiti interpretativi che, senza scomodare le interpreti storiche della parte, cantanti come Kiri Te Kanawa e Renée Fleming (che nel 2009 cantò il ruolo qui a Baden-Baden sotto la direzione di Christian Thielemann), tanto per citare due nomi a caso, state capaci di offrire negli ultimi anni. Lo stesso si può dire, piú o meno, dell’ Oktavian di Magdalena Kozena, discretamente cantato ma interpretato con pochissima personalità, sia dal punto di vista del fraseggio che da quello della resa scenica. Aggraziata e disinvolta scenicamente la Sophie di Anna Prohaska, fraseggiatrice non priva di buone intenzioni ma purtroppo limitata vocalmente da una voce carente di volume e che a partire dal sol acuto diventa stridula. Buona la prova di Lawrence Brownlee, che ha cantato con bella sicurezza l’ aria del Cantante Italiano. Tra le parti di fianco, interessante mi è sembrata la Marianne di Irmgard Vilsmaier; abbastanza efficaci il Faninal di Clemens Unterreiner così come i due faccendieri, Valzacchi e Annina, interpretati da Stefan Margita e Carole Wilson: Buona nel complesso anche la prova di tutti gli altri numerosi cantanti impegnati nei ruoli minori. Successo vivissimo, con applausi intensi e prolungati per tutti gli esecutori.