Anche la terza edizione dell’ Osterfestspiele Baden-Baden ha fatto registrare un significativo successo di pubblico. Più di 27000 spettatori provenienti da 40 nazioni hanno assistito agli appuntamenti in programma, con una percentuale di biglietti venduti calcolata intorno all’ 86 per cento. I Berliner Philharmoniker hanno coinvolto tutta la città con un cartellone che offriva fino a quattro manifestazioni al giorno, inclusi i progetti educativi rivolti ai giovani e alle scuole. È già stato presentato il programma dell’ edizione 2016, nel quale Sir Simon Rattle dirigerà una nuova produzione del Tristan und Isolde, la Nona Sinfonia di Beethoven e un concerto con Janine Jansen come solista; l’ altro programma sinfonico vedrà sul podio Yannick Nézet-Séguin, con la partecipazione del grande violoncellista Yo Yo Ma. Alle quattro manifestazioni principali del cartellone si aggiungeranno i Meisterkonzerte tenuti dai gruppi cameristici dei Berliner Philharmoniker e la seconda produzione operistica affidata ai giovani, che questa volta sarà Il mondo della luna di Haydn.
Occupiamoci adesso di quella che a mio avviso è stata la cosa migliore dell’ edizione appena conclusasi: l’ esecuzione in forma di concerto de La Damnation de Faust di Berlioz, una partitura che costituisce un impegnativo banco di prova sia per l’ orchestra che per la bacchetta, sotto il profilo del virtuosismo tecnico e della fantasia interpretativa. Sotto questo punto di vista, la direzione ha risposto pienamente alle aspettative. Simon Rattle è un musicista che si esalta quando è alle prese con lavori nei quali si richiede di mettere in risalto il colorismo orchestrale e la versione berlioziana del mito di Faust, basata sulla traduzione francese del poema di Goethe effettuata da Gerard de Nerval integrata da altre versioni della vicenda, come ad esempio quella di Cristopher Marlowe, si adatta come poche altre alle sue caratteristiche di interprete. Stupendamente servito dalle sonorità sontuose e variegate dei Berliner, che hanno offerto un saggio di virtuosisimo orchestrale davvero entusiasmante, il direttore inglese ha offerto una lettura di altissimo livello per ricchezza di colori, tensione teatrale e drammaticità narrativa. La resa di tutte le scene corali è stata magnifica grazie anche alla perfetta prova del Coro della Staatsoper Stuttgart diretto da Johannes Knecht, come sempre compatto nel suono e preciso nell’ articolazione, che anche in questa occasione si è dimostrato perfettamente all’ altezza della sua reputazione di complesso vocale tra i migliori del panorama lirico tedesco. Assolutamente da manuale la raffinata eleganza mostrata da Rattle in pagine come il Menuet des Follets e il Chor de Sylphes, cosí come la vigorosa plasticità con cui è stata scandita la Marcia Rackozy e l’ accessissima foga drammatica del Pandoemonium concluso da un trapasso alla dolcezza della scena conclusiva graduato con abilità davvero eccezionale. In complesso, una delle migliori direzioni da me ascoltate di questa affascinante partitura e forse la miglior prova di Rattle con i Berliner Philharmoniker tra quelle a cui io ho assistito, per l’ equilibrio e la coerenza delle concezione d’ insieme oltre che per la carica drammatica dell’ interpretazione.
Foto ©Monika RittershausPer quanto riguarda i cantanti, la prestazione più completa è stata offerta da Ludovic Tezier come Méphistophèlés. Il baritono francese non mi ha mai convinto completamente nelle sue interpretazioni verdiane ma qui, alla prese con una tessitura che non impegna il cantante nella zona acuta, è apparso autorevole e convincente nel fraseggio, mettendo in mostra una bella raffinatezza di dizione e una notevole eleganza nel tratteggiare un diavolo più insinuante e beffardo che terribile. La Canzone della Pulce e la Serenata sono state rese con il giusto grado di sarcasmo e anche nella celebre aria “Voici des roses” il cantante ha messo in mostra una certa morbidezza nel registro centrale e un buon legato. Interessante mi è sembrato anche il Faust del tenore Charles Castronovo, che ascoltavo per la prima volta. La voce è di bel colore scuro nel settore medio e il cantante la usa con una certa perizia di emissione, anche se il registro acuto non è estesissimo e i do diesis del duetto con Marguerite sono stati raggiunti solo tramite patteggiamenti ritmici piuttosto evidenti, anche se molto ben assecondati dal podio. In tutti i modi, il tenore newyorkese ha messo in mostra un fraseggio abbastanza incisivo e personale, che gli ha consentito di conferire il giusto grado di eleganza e purezza di linea al personaggio. Non altrettanto si può dire della Marguerite di Joyce Di Donato, apparsa decisamente inerte e poco espressiva oltre che vocalmente imperfetta a causa di un settore acuto fisso e stridente. Ne è uscita un’ esecuzione eccessivamente querula e lagnosa nei toni oltre che monotona dal punto di vista della dinamica. Discreta la prova del giovane basso-baritono francese Edwin Crossley-Mercer come Brander, vocalmente abbastanza interessante e giustamente alieno da eccessi caricaturali nel fraseggio. Trionfo finale, con applausi intensi e prolungati per tutti gli esecutori.