[Articolo originariamente comparso su Val Vibrata Deal]
Fino a dieci anni fa l’autismo era ancora considerato sinonimo di pazzia o di ritardo mentale. Per sfatare questo pregiudizio, nel 2007 le Nazioni Unite hanno istituito la Giornata mondiale per la consapevolezza dell’autismo, con l’obiettivo di “Promuovere la ricerca scientifica in tutto il mondo e la solidarietà verso le persone colpite dalla malattia”. Da allora, per accendere i riflettori su questo tema, il 2 aprile di ogni anno, grazie alla campagna “Light it up blue” promossa dall’organizzazione internazionale Autism Speaks, i principali monumenti delle città del mondo s’illuminano di blu.
Ma a che punto è l’interesse verso questa problematica? Di recente si è parlato di autismo quasi in ambito fantascientifico, grazie alla recente indagine della procura di Trani sul presunto nesso tra vaccinazione trivalente e questo disturbo, riaprendo una (inutile) discussione già definitivamente smentita in passato. Tanto basta a dare un’idea su quanto permangano ancora una serie di falsi miti, convinzioni e pregiudizi che rendono più difficile la vita di chi soffre di questo disturbo. In Italia sono circa 500 mila gli individui colpiti da autismo. 500 mila persone che, oltre all’isolamento in sé, sono costrette a fare i conti con una società che tende ad isolarli ancora di più.
Le persone autistiche riescono a provare e riconoscere tutte le emozioni di base, come felicità, tristezza o rabbia. Hanno invece maggiori difficoltà con quelle più complesse come vergogna o imbarazzo. Questo anche a causa del fatto che hanno una diversa capacità di mentalizzare, ovvero di attribuire stati mentali alle persone che hanno di fronte: in altri termini, non sanno intuire cosa l’altro desideri, pensi o provi. Molti rifiutano in modo totale o parziale del contatto fisico, creando una barriera tra sé e il resto del mondo. Inoltre, la gran parte degli autistici presenta serie difficoltà ad esprimersi verbalmente, che porta a pensare che non provino essi stessi emozioni. Come se le parole fossero l’unico modo per esprimere quello che una persona prova.
Eppure ci sono infiniti modi di entrare in contatto con un individuo anche quando la parola manca. Confrontarsi con l’universo autistico è oggi possibile, sia attraverso strumenti creativi, con specifico riferimento all’arte e alla scrittura, sia attraverso progetti concreti, traducendo così le difficoltà e l’isolamento tipici del disturbo, in spunti, idee e proposte. Certo, si tratta sempre di risposte individuali: l’autismo è un mondo complesso e variegato e sono veramente poche le modalità di trattamento che funzionino per tutti. Ma che vale la pena tentare. E che ogni giorno pongono alle famiglie la grossa responsabilità di decidere quale sia la maniera giusta per far vivere il più felicemente possibile il proprio figlio, spesso nelle limitatezza delle proprie condizioni economiche.
Ha colpito tutti la storia di Franco Antonello, padre di Andrea, affetto da autismo, che assieme al figlio ha vissuto un’esperienza di viaggio attraverso gli Stati Uniti, l’America Centrale e il Brasile poi trasposta nel romanzo Se ti abbraccio non aver paura. Un libro di viaggio, ma che non si sofferma troppo sui luoghi attraversati, puntando invece ad approfondire la descrizione dell’autismo, dei comportamenti di Andrea e di come Franco reagisca a ogni gesto, a ogni parola del figlio. E qui è d’obbligo una riflessione sul termine “inclusione”, ovvero sul tentativo di fare integrare nei più diversi contesti sociali. Nel caso di Andrea, fondamentale è stato il coraggio di suo padre, la sua volontà di non arrendersi a ciò che lui stesso definisce il “mostro”: la malattia del figlio.
Le persone disabili, pur nella varietà degli handicap e delle singole situazioni, soffrono in fondo del medesimo fastidio: quello di non riuscire a compiere azioni nel modo in cui vorrebbero. E questo, di conseguenza, le fa sentire diverse. In Italia sappiamo bene come essi spesso vengano trattati più come un peso che come persone meritevoli degli stessi diritti e delle stesse possibilità di tutti. Intorno alla disabilità ci sono stati molti muri – non fossero altro che quelli del silenzio – e solo alcuni sono stati abbattuti. L’autismo non fa eccezione. Perché se le disabilità fisiche stanno pian piano superando le barriere sociali in cui moralismo dell’uomo comune le aveva sin qui confinate, la vera sfida è oggi vincere l’ipocrisia che circonda quelle psichiche.
Neanche un mese fa i giornali hanno riportato la storia di Piercarlo Morello, detto Pier, primo individuo autistico a raggiungere il traguardo della laurea. Nei primi di marzo è diventato “dottore magistrale in Scienze umane e pedagogiche” con una tesi in cui parla di se stesso. Una mosca bianca in un mondo dove migliaia di ragazzi autistici non riescono a uscire da “una vita – così ha scritto Pier nella sua tesi – muta, vacua e bisognosa di altri”. Pier è affetto da autismo severo e per anni era stato giudicato “ritardato mentale”; oggi, grazie ad un sistema della scrittura facilitata (Woce) può scrivere al computer grazie a uno stimolo esterno, un tocco al dorso da parte di un assistente alla comunicazione. Un buon risultato, ma ad oggi non si ha notizia di altri autistici gravi che abbiano potuto cingersi d’alloro.
Grave è anche far credere che tutti gli autistici siano rappresentabili nel protagonista di Rain Man, interpretato da Dustin Hoffman. Per un autistico il primo vero traguardo è conquistare l’autonomia di base nei suoi comportamenti quotidiani. Inutile porsi l’obiettivo di una laurea, se ancora il proprio figlio ha difficoltà ad allacciarsi le scarpe. Tuttavia Pier è la dimostrazione che l’autismo non è incapacità. Dimostrazione che la società non ancora capisce o accetta. Quando lui si è iscritto all’università, l’Asl voleva togliergli i 400 euro al mese dell’”accompagnamento, perché, a loro avviso: “se va all’università, allora non è autistico”. E’ su questo che avremmo bisogno di fare dei passi avanti.
“Viviamo in prigioni di cristallo, prigioni di voce negata e di parole che non sono espressione di dovuta fiducia [...] La disuguaglianza è la vera disabilità. So che cammino da solo… ma nella mia cesta di parole taciute trovo anche soli e lune, oceani e colori di luce”;
Ha scritto Pier nella sua tesi. Che un passo dopo l’altro, sempre in salita, ha visto che la porta di quella prigione può essere aperta.