Con il poker messo a segno contro il Celta Vigo, questa settimana è Cristiano Ronaldo il protagonista di Out of Sight.
L’occhio onnisciente di “Out of Sight: l’uomo in più” torna a concentrarsi sulla Spagna, la focina dei fenomeni. A primeggiare è Cristiano Ronaldo, a detta di tutti il secondo giocatore più forte del mondo ancora in attività, con una prestazione mostruosa: il titolo della Liga è ormai lontano e le possibilità di recuperare sul Barcellona inesistenti, ciononostante il Real non molla. Domenica scorsa la compagine guidata da Zizou ha scacciato critiche e fantasmi annichilendo il Celta Vigo con un sonoro 7- 1. CR7, a segno ben 4 volte, è stato protagonista assoluto. Incantevole il goal su punizione, devastante il missile sparato dai 30 metri. La Roma, prossima avversaria in Champions, è avvisata.
La nascita di una stella
Classe 1985, è il figlio più piccolo di Maria Dolores e José Dinis, nato a Funchal, un’isola dell’arcipelago vulcanico di Madeira (che la leggenda dice appartenesse al regno di Atlantide), in mezzo all’oceano Atlantico. Nelle sue vene c’è un po’ del sangue capoverdiano della bisnonna. Ronaldo, nome che accomuna i tre fenomeni assoluti della storia del calcio, viene casualmente scelto perché al padre piaceva Ronald Reagan (come attore), Cristiano, come tutti lo chiamano, perché il nome piaceva a una sorella della madre.
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— Lost In History (@SadHappyAmazing) 5 marzo 2016
La famiglia è povera, umile, il padre è un alcolizzato, la famiglia vive alle strette in una casetta a Funchal, nel quartiere di Santo António. La passione per il pallone è già evidente fin dai primissimi anni. Cristiano è un ribelle, faticosamente sopporta le costrizioni della scuola, e a soli 10 anni viene espulso per aver scagliato una sedia alla maestra che gli aveva mancato di rispetto. Trascorre i pomeriggi a giocare a calcio per le strade, anche da solo, finché entra a far parte del Clube de Futebol Andorinha de Santo António, squadra locale che lo accoglie grazie al padre, che veniva pagato per gestire i campi e accompagnare i bambini in trasferta. A 10 anni viene messo sotto “contratto” dal Clube Nacional de Madeira, che lo ingaggia compensandolo con due divise nuove. Fin da piccolo si mostra estremamente competitivo. Ogni match finisce in un pianto: per un goal sbagliato, per una sconfitta, perfino per un assist sprecato da un compagno. La prima svolta della carriera arriva a soli 11 anni, grazie al provino per lo Sporting Lisbona. Pur attanagliato dall’ansia, gli bastano un paio di controlli per far capire che, come tutti i predestinati, sarebbe diventato una leggenda. Tanto svogliato a scuola, quanto mostruosamente determinato con la palla tra i piedi. Non basta nemmeno la tachicardia a mettere in discussione il suo radioso futuro: dopo l’operazione al cuore (pagata dal club), Cristiano intensificò gli sforzi per recuperare i mesi perduti, è solo un anno più tardi era già a fianco di Cesar Prates ad allenarsi.
Ronaldo e l’Inghilterra: una “relazione” complicata
Ancora 16enne esordisce nei preliminari di Champions League, nel 2002, contro l’Inter, mettendo in mostra le precoci doti impressionanti. Paradossalmente, però, la sua vita cambia grazie ad un’amichevole estiva, contro lo United: Ferguson, che già lo seguiva, se ne innamora definitivamente. È il salto di qualità: quell’estate, a soli 18 anni, Ronaldo approda a Manchester come giovane più pagato della storia della Premier, quasi 18 milioni di euro. La prima stagione nel calcio che conta è entusiasmante: l’esordio con i Red Devils, impresso indelebilmente nella storia della Premier, arriva al 60′ del match contro il Bolton, al posto di Nick Butt. Sulle spalle, con mostruosa precocità, indossava già la numero 7, portando su di sè la pesantissima eredità di Beckham, Cantona e George Best. Proprio quest’ultimo dirà “Ci sono molti giocatori che sono stati definiti “nuovi George Best“, ma è la prima volta che questo è stato un complimento per me”. L’estate stessa esplode agli Europei, conquistando un posto da titolare tra i fenomeni di Scolari (tra tutti Luís Figo), grazie a un goal all’esordio, ma in finale impatta contro il portierone della Grecia, sprecando il goal pareggio che poteva regalargli il trionfo proprio a Lisbona, squadra che l’aveva forgiato. Le lacrime che lo sommergono al fischio finale resteranno indelebili nella memoria dei cultori di questo sport: lacrime di rabbia. Tra il 2005 e il 2006, però, Ronaldo vive i due anni più bui dell’esperienza a Manchester. Una serie di sfortunati eventi, che lo vedono sia come carnefice sia come vittima, gli addossano l’etichetta di viscido arrogante rendendolo inviso a tutta la tifoseria d’Inghilterra, arrivando a diventare il giocatore più odiato del regno. Subito dopo la morte del padre per problemi al fegato provocati dall’alcolismo, l’immagine di “bravo ragazzo” viene intaccata dall’infamante accusa di aver stuprato una donna in un hotel di Londra. La vicenda gli costa l’arresto e il processo, da cui però esce prosciolto per insufficienza di prove. È il primo campanello d’allarme. La rottura con il pubblico casalingo viene sancito dal famoso dito medio mostrato alla curva a seguito dell’eliminazione dalla fase a gironi dei Red Devils (la prima dopo ben 10 anni) contro il Benfica. Nel 2006, la situazione precipita: prima con l’espulsione per un calcione all’ex United Andy Cole, poi con la lite con van Nistelrooy (altra bandiera intoccabile del club) durante un allenamento, e, per finire, con i discussi quarti di finale ai Mondiali di Germania proprio contro l’Inghilterra. Il sangue dei tifosi inglesi ancora ribolle al ricordo dell’ingiustizia subita: Ronaldo provocò volontariamente Rooney, giocatore amatissimo dalla tifoseria e che in quel periodo era all’apice della forma, provocandone meditatamente l’espulsione, per poi segnare il rigore decisivo che costo l’eliminazione alla squadra di Sua Maestà.
Sembrerebbe la premessa di molte nostre storie casalinghe, di calciatori talentuosi e con un futuro ricco di belle speranze che non riescono a sbocciare per il carattere difficile e lo scarso affiatamento con tifoseria e compagni. Per Ronaldo, un’ipotesi simile è pura blasfemia. L’odio del pubblico e la diffidenza dei compagni “traditi” lo rendono ancora più competitivo, ancora più deciso a lottare per essere il migliore. Ferguson non teme le ripercussioni nello spogliatoio e decide di rispedire al mittente le prime offerte del Real Madrid. Scelta azzeccatissima. Grazie agli allenamenti specifici dell’olandese René Meulesteen, Ronaldo migliora la propria concretezza sotto porta, imparando anche a finalizzare palle sporche. I risultati sono impressionanti. Nelle tre stagioni seguenti vince tutto: 3 Premier consecutive, una Champions League e il primo meritatissimo Pallone d’Oro. In finale affronta il Chelsea, segna il goal d’apertura ma sbaglia ai rigori. Emblematica l’immagine di quella sera: i compagni a festeggiare lo storico trionfo, lui in lacrime per l’errore nel momento cruciale.
La Liga e la difficile convivenza con Messi
Nel 2009, conclusa l’esperienza alla corte di Fergie con la drammatica finale persa contro il Barcellona di Guardiola (l’inizio dell’agonizzante lotta con i catalani) passò al Real Madrid (club sulle sue orme già ai tempi dello Sporting), per la cifra monstre di 94 milioni di euro, con tanto di clausola rescissoria da un miliardo di euro: l’operazione di mercato più costosa della storia del calcio, almeno fino al successivo acquisto di Bale da parte dello stesso club dei Blancos. La presentazione al Bernabéu, il 6 luglio, è sintomatica di quanto quel trasferimento segni un cambio epocale nella storia della Liga: erano presenti ben 80 mila tifosi festanti. Eppure, di fenomeni Pérez quell’estate ne aveva acquistati parecchi, da Benzema a Xabi Alonso, ma soprattutto Kaká, eppure per nessuno di loro c’era stato tanto clamore. È l’inizio della rivalità più appassionante della storia del calcio moderno: il continuo confronto con Leo Messi, la Pulga, il simbolo del Barcellona. La rivalità tra la squadra della corona e il club di vertice della regione più indipendentista di Spagna diviene ancora più accesa. Fin da quel momento, il campionato spagnolo vive delle battaglie eterne tra i due club e i rispettivi beniamini, anche se nelle due ultime stagioni si è prepotentemente inserito l’Atlético targato Cholo Simeone nella diatriba tra le grandi. Nelle prime tre stagioni da Merengues, Messi e il suo Barça schiantano prepotentemente Ronaldo. Al primo anno, con Pellegrini in panchina, oltre alla sonora caduta agli ottavi di Champions League contro il Lione, al Real non bastarono ben 93 punti (più di qualunque altra squadra scudettata nei precedenti campionati di Liga) per raggiungere la vetta: i blaugrana restarono a +3 fino all’ultima giornata. Pérez tuona e decide di placare la piazza con un’ennesima brusca rivoluzione: via Raúl, storica bandiera madridista, dentro Özil e Di María.
Esonerato Pellegrini, la panchina passa al neo campione d’Europa Josè Mourinho, fresco di Champions League proprio grazie a un ex madridista, Snejider, ceduto l’estate precedente all’Inter. Lo Special One resterà alla guida del club per tre stagioni. Il primo anno è ancora targato blaugrana: i due club si fronteggiano sia nelle semifinali di Champions League, sia in finale di Coppa del Re. In meno di un mese, aprile 2011, si affrontarono ben 4 volte: in Champions Messi fu decisivo, conquistando con una doppietta la finale di Wembley, ma almeno in Coppa Ronaldo riuscì ad essere determinante, segnando di testa il goal che gli valse il primo trofeo in camiseta blanca. Gli ultimi due anni targati Mou sono medaglie dai due volti molto diversi: in Spagna viene finalmente posto fine all’ininterrotto dominio catalano, con uno Scudetto (il 32°) e una Supercoppa. In Europa il cammino dei Blancos si ferma per ben due volte consecutive ad opera dei panzer tedeschi, prima il Bayern, poi il Borussia di Klopp. Pur succube della sfida con Messi, che gli soffia per ben tre volte di fila il Pallone d’Oro (ma, si sa, la Fifa non ti premia se non vinci più di tutti), le prestazioni di Ronaldo continuano a migliorare, e i numeri sotto porta crescono esponenzialmente. Ad una lettura delle situazioni di gioco talmente rapida e naturale da essere quasi collocabile a livello di subconscio, Ronaldo aggiunge un impegno maniacale negli allenamenti e una alimentazione pianificata al dettaglio. Non è più un ragazzino che si diverte in discoteca, la sua vita è tutta orientata alla crescita come atleta. Si allena, ancora e ancora. Ferguson, Mourinho e Ancelotti, tre allenatori dal carattere e dalle storie molto diverse, sono sempre stati concordi solo su un fondamentale dettaglio: Cristiano Ronaldo è il miglior professionista che abbiano mai allenato. La rivalità con la Pulga, unico in grado di metterlo in ombra e non farlo sentire il migliore, è un combustibile fondamentale che lo spinge in modo quasi ossessivo a migliorarsi costantemente. Non a caso, oggi a 31 anni ha la massa grassa di un fotomodello. Perfino quando morì il padre, Cristiano scelse di non abbandonare il ritiro della Nazionale e restare coi compagni, nonostante la totale libertà concessa da Scolari. Oltre a diventare un atleta completo, per elevazione, equilibrio, resistenza, Madrid l’ha visto crescere e maturare anche fuori dal campo. Reduce dalla tremenda esperienza di Londra che l’ha denigrato, ha imparato ad essere riservato sulla propria vita privata, a preservare la propria immagine. E lo dimostra anche la vicenda del figlioletto, egocentricamente chiamato Cristiano Ronaldo Jr, nato da una madre che non lo ha voluto riconoscere, ma che lui sta cercando con amore preservandola in ogni modo dallo sguardo indiscreto delle telecamere. Ad oggi di lui le cronache riportano solo ingenti opere di beneficienza.
È proprio con Ancelotti, unico allenatore con cui ci sia stato un vero affiatamento dopo Ferguson, che Cristiano si prende finalmente le dovute rivincite. In campionato cede il passo alla novità più bella della stagione: la squadra di guerrieri dalla grande grinta e le mani sporche di fango capeggiata dal Cholo. Ma in Champions il cammino è devastante: dopo aver finalmente superato le semifinali dopo ben 12 anni battendo il Bayern campione d’Europa (segnando una doppietta al ritorno), mette anche lo zampino nella finale proprio contro i Colchoneros, siglando il definitivo 4-1 che regala la Decima al Real Madrid. I trofei arrivano a valanga: Copa del Rey, Supercoppa di Spagna, Mondiale per Club e Pallone d’Oro (il terzo, dopo il secondo nel 2013). Con la consacrazione definitiva del Real in Europa dopo un decennio di cadute e fallimenti, Cristiano Ronaldo entra definitivamente nella storia madridista: il club è ai suoi piedi, i tifosi lo idolatrano, persino Messi sembra in fase calante. “Calma, yo estoy aquí“, è la sua esultanza: la squadra è sulle sue spalle, lui la difende e la trascina. Concluso un anno solare mostruoso, nell’ultima stagione di Ancelotti qualcosa si inceppa: il Barcellona che sembrava in crisi a inizio stagione per la difficile convivenza tra Luís Enrique e Messi trova grazie alla perfetta sinergia tra Suárez e Neymar il tridente offensivo più forte del mondo, con cui vince (ancora) il campionato a man bassa. A peggiorare la situazione ci pensa la Juventus, che grazie a un mostruoso Tévez e alle zampate coraggiose del figliol prodigo Morata, eliminano il Real in semifinale pareggiando in un Bernabéu ammutolito, dando vita a aspre contestazioni. Indimenticabile l’immagine di CR7 sconsolato, che a stento trattiene le lacrime appoggiandosi al palo della rete. Pérez, come d’abitudine, non regge le pressioni della curva ed esonera Ancelotti.
Da allora il Real è vissuto in un vortice di critiche e fallimenti, e nemmeno Ronaldo, che da settembre solo in campionato ha già segnato 27 reti in 28 partite, riesce a risollevarne le sorti. I cinque mesi di Benítez sono stati disastrosi, culminati con l’eliminazione a tavolino in coppa per un errore nelle formazioni. Zidane ha la fiducia dei giocatori, ma col campionato ormai perso è difficile che Pérez lo voglia confermare anche per la prossima stagione. In più, con questo Barça sempre più avviato verso il secondo triplete consecutivo, Messi gli ha nuovamente soffiato il Pallone d’Oro, vincendo il quinto in carriera. Last but not least, lo sfogo d’amarezza degli ultimi giorni, “Se tutti fossimo al mio livello saremmo primi”, dichiarazione infantile che non compatta lo spogliatoio e tanto richiama l’immagine di “arrogante despota” con cui veniva dipinto a Manchester.
Che Ronaldo sia già nella storia del calcio è un fatto: a 22 anni era già sul tetto d’Europa e si consacrava come il giocatore più forte del mondo. Ma per vincere quanto merita, bisogna sperare che Florentino Pérez cambi politica e strategie, o il dominio catalano sarà insormontabile. A Ronaldo restano quattro stagioni prima di appendere gli scarpini al chiodo, secondo programmi da lui stesso prefissati: dovrà sfruttare ogni occasione. Per ora, non può che continuare ad allenarsi e farsi trovare pronto. Ricordandosi di aver sempre lottato per dare il massimo!
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