Magazine Cinema
Francia, Olanda, Uk, 2010
101 minuti
"Il mondo che vedo non è reale. È solo un’illusione. Non mi ci posso adattare. Reali sono solo quadri, poemi, brani musicali. Le opere d’arte, per me, sono come boe in un mare infinitamente privo di senso, alle quali mi aggrappo passando dall’una all’altra" - Anselm Kiefer
Assistendo ipnotizzati a quel ciclopico scenario architettonico che è Over Your Cities Grass Will Grow, presentato fuori concorso a Cannes 63, torna alla mente il "cinema scultoreo/enterico" di Matthew Barney (mi riferisco in particolare a Drawing Restraint 9 e Hoist, cortometraggio realizzato per il progetto collettivo Destricted), in quanto penetrazione del corpo-cinema in spazi/ventri adibiti a installazioni artistiche, orientate a modificare la realtà. Il documentario della britannica Sophie Fiennes (sorella dell'attore Ralph e autrice, tra gli altri, dei due The Pervert's Guide to Cinema / The Pervert's Guide to Ideology) scava infatti nell'operato di Anselm Kiefer; scultore e pittore tedesco, considerato tra i più rilevanti di una generazione di artisti formatasi nei primi anni Settanta. Allievo di Joseph Beuys alla Staatliche Kunstakademie di Düsseldorf, più volte etichettato quale "neo-nazista" dalla critica tedesca (leggi wikipedia), Kiefer, attraverso la modellazione della sua contemporary art composta da dipinti e sculture "post-apocalittiche", ha saputo rappresentare una decadenza epocale che sembra ergersi inquietantemente di pari passo a quei Sette Palazzi Celesti, che dal 2004 fanno esposizione permanente all’Hangar Bicocca di Milano. Le stesse "Torri di Babele", che edificate su un terreno di 35 mila ettari nella desertica zona di Barjac (Sud della Francia), si innalzano imponenti suggellando l'epilogo di Over Your Cities Grass Will Grow e congelandosi, al tempo stesso, in una surreale opera d'arte totale. La seteria abbandonata di La Ribaute dove Kiefer, nel 1993, si trasferisce dalla Germania con l'intenzione di dar vita alla sua monumentale creazione, si trasforma così in un mausoleo di fatiscenti edifici industriali, vecchi ateliers sterrati e cuniculi realizzati appositamente per collegare le varie zone. Il risultato è la visione distopica di un pianeta ridotto a polvere di macerie; un vero e proprio cantiere di anfratti labirintici dove la cinepresa della regista si addentra con eleganza, seguendo l'artista e i suoi collaboratori in un viaggio durato diversi anni, documentandone l'intera fase di lavorazione (trasformazione/forgiatura) con indiscusso talento visivo, certo, ma peccando purtroppo sul versante strutturale, attraverso un montaggio che nella parte centrale del documentario fatica a reggere (l'intervista a Kiefer per esempio, si prolunga oltre il dovuto, finendo per stonare con la complessività dell'opera). Interessante invece, l'ottica con cui viene svelato il procedimento "alchemico" dell'artista e la metodologia del suo operato, mediante una costruzione che necessita di una continua demolizione delle materie da lui utilizzate (cenere su argilla, vetro su cemento, oro su piombo, e così discorrendo). Ecco che Kiefer rimodella il suo Mondo, mentre l'occhio della Fiennes cattura tale astrattismo contemporaneo per riversarlo all'interno di un cinema che si fa contemplativo, invertendo curiosamente la prammatica abituale, e riform(ul)andosi facilmente come addizionale. A testimonianza conclusiva infatti, restano indelebili le impronte che Kiefer, portata a termine la sua colossale installazione, ha lasciato in quel luogo prima del suo definitivo rientro a Parigi. I lenti carrelli che avanzano sinuosamente tra i blocchi cementizi che si elevano al cielo, accompagnati dai cigolanti archi sonori di György Widmann e György Ligeti, finiscono per intagliare nella memoria un ambiente suggestivo dove il tempo, e la Storia dell'umanità stessa (vedasi "la stanza dei letti", ancora riferimenti alla piaga della Germania nazista), hanno già fatto il suo corso. L'apocalisse quindi è già avvenuta, ma ci sarà sempre e comunque uno spazio, per quando "sopra le città, l'erba tornerà a crescere".
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