Tuttavia, se avessero continuato a riciclarsi senza variazioni sul tema, avrebbe avuto molto meno senso e risonanza un Ironbound, il quarto con la coppia d’asce Linsk/Tailer, con le sue canzoni lunghe ed elaborate, memore dei tempi d’oro di The Years of Decay. Forse la cosa migliore dai tempi di Horrorscope. The green and the black e Bring me the night entrarono subito nella mia playlist da metro B. Fu The Electric Age, però, a far saltare il banco. Quasi tutti i pezzi erano fantastici. Scalzò Christ Illusion dalla top ten da palestra. Uno dei più bei dischi di over 50 degli ultimi tre o quattro anni.
Non mi ero approcciato quindi con eccessiva fiducia a White Devil Armory. Mi pareva troppo pretendere che azzeccassero il triplete. E infatti non è ai livelli dei due precedenti. Non è manco chissà quanto più fico di un ReliXIV o di un Killbox 13 (la differenza la fa soprattutto la produzione più moderna e pulita) ma è comunque un disco thrash come si deve, cattivo, livoroso, con i rallentamenti al momento giusto, il latrato incarognito di Bobby Blitz; ancora più frenetico e sparato del predecessore ma meno coinvolgente, meno memorabile. Mancano i ritornelli, che nel thrash ci vogliono. È come se, consci di essere in una fase ispirata, gli Overkill avessero inciso un album tanto per fare, sapendo che non sarebbe venuto male comunque. Magari un anno in più a raccogliere idee non sarebbe stato male, considerando che la prolificità non ha mai giocato a favore dei ragazzi in passato. Ma, come sempre, va bene lo stesso, dai.