Finalmente ci sono riuscita, a forza di stressare qualcuno mi ha ascoltato. Ecco il risultato, la mia nuova rubrica Art&Chef su I.Quality.
Daniele
Bendanti classe 81’, bolognese di nascita ha frequentato ALMA, la Scuola
Internazionale d’Alta Cucina Italiana di Gualtiero Marchesi. Nel suo percorso
formativo passa dalle cucine di Renato Rizzardi, Marcello Leoni, Gaetano
Trovato e Fernando P. Arellano dai quali apprende innovazione e tecnica, metodo
e precisione, abilità e rinnovamento. Insegnamenti importanti che gli fanno
intraprendere la strada della cucina scegliendo la tradizione come cavallo di
battaglia, senza mai perdere di vista la ricerca. Proust affermava che “la vera scoperta del viaggio non consiste nel trovare nuovi territori ma
nel vedere con occhi nuovi”. È proprio questa la filosofia di questo
giovane chef che approdato, da poco più di un anno, all’Osteria Bottega
(Bologna) ha deciso di rispettare l’identità gastronomica della città
mantenendo un menu che rispecchi l’abbondanza e la ricchezza della cucina
locale, ma inserendo piatti dal sapore italiano con quel tocco d’internazionalità
che fanno emergere le sue irrequiete esperienze stellate.
In
questo piccolo tempio del gusto, con poco più di trenta posti a sedere, si
respira ancora l’atmosfera delle storiche osterie che hanno caratterizzato la
cultura gastronomica della città felsinea, le tovaglie di carta gialla e i
tavoli di legno qualificano l’ambiente caldo e accogliente. Il menu è studiato
per accontentare il diffidente palato dei bolognesi cosi come di
professionisti, studenti fuori porta o intellettuali in cerca di saperi e
sapori che attingano alla memoria. In questo caratteristico luogo deputato
all’elevazione del gusto, Daniele Bendanti ci fa innamorare delle sue “tagliatelle al Ragù classico di Bologna”
o dei “gnocchetti di patate con ragù di
faraona aromatizzata al timo” così come della “cotoletta alla Petroniana”, un tuffo nel passato per ricordare la
cucina della nonna che ci faceva stare con gli occhi sbarrati ad osservare il
brodo che si cuoceva lento sul fuoco. Un amore che arriva dalla sapiente
dottrina culinaria famigliare che unita a quelli dei grandi chef con cui ha
lavorato, gli hanno permesso di approdare alla consapevolezza che un buon
piatto dovrebbe saperci riportare all’infanzia, in cui l’attimo
irrimediabilmente passato lascia in noi il ricordo straordinario e magico che
si risveglia quando meno ce lo aspettiamo. Una cucina scandita, pulita e
sensuale, quella di Daniele che consacra il sodalizio tra gusto e lussuria
facendoci varcare la soglia del piacere con il suo “piccione in doppia cottura con letto di cicoria e pancetta croccante”.
Un piatto a più livelli che inizia in morbidezza sotto ai denti per passare
alla dolcezza espandendosi nel palato e lasciandoci una sensazione di già
conosciuto con quel qualcosa in più che è dato dalle differenti cotture.
Ma il
vero piatto dell’amore per questo giovane chef bolognese è “l’Anatra muta glassata in cottura confit”
in cui la senape di Dijon in grani, il cavolfiore all’agro e la brunoise di
arancia candita fanno pensare alla delicatezza di un corpo femminile, alle sue
curve, alla pelle liscia e al profumo naturale che emana una donna.
L’alimentazione non è solamente un mezzo attraverso il quale un individuo viene
giudicato ma rappresenta anche il rapporto con il proprio corpo. Mangiare
l’anatra non vuol dire solo incorporarla dentro a noi, significa rendere
sostanza all’immaginazione, evocando la sensualità del gesto che stiamo
compiendo nel semplice atto di avvicinarlo alla bocca. Isabelle Allende afferma
che “Sesso ed
appetito sono i grandi motori della storia, conservano e diffondono la specie,
provocano guerre ed ispirano canzoni, informano le religioni, la legge, l’arte.
L’intero creato è un processo ininterrotto di digestione e fertilità; tutto si
riduce ad organismi che si divorano l’un l’altro, si riproducono, muoiono,
fertilizzano la terra e rinascono trasformati. Sangue, seme, sudore, cenere,
lacrime e l’incurabile immaginazione poetica dell’umanità alla ricerca di un
senso…”La vera educazione al piacere nasce dalle
sinergie che si sposano, attraversando la gola, esaltandone odori e colori,
pulsando sulle papille gustative per poi scendere e toccare quell’universo
sconfinato che arriva all’estasi. “L’anatra muta” conduce all’appagamento dei sensi chiedendo
permesso al tatto per tastarne la carne, rivolgendosi all’olfatto per sentirne
l’aroma e implorando udienza al signor palato per assaporarne la sapidità.
Secondo de Sade “Non conosco nulla che vellichi così
voluttuosamente lo stomaco e la testa quanto i vapori di quei piatti saporiti
che vanno ad accarezzare la mente preparandola alla lussuria”.
Nei
progetti futuri di Bendanti c’è “diventare grande ovunque mi porti la
cucina” come lui stesso afferma e “girare il mondo con la
valigetta di coltelli al seguito” ma intanto tiene aperte le
porte dell’Osteria Bottega per deliziarci con i suoi piatti della “rinnovata
tradizione”.
Ricetta dell’amore
Anatra muta glassata in cottura Confit, senape
di Dijon in grani, cavolfiore all’agro e brunoise di arancia candita.
INGREDIENTI PER 2 PERSONE
1 anatra
da circa 1Kg eviscerata
3
cucchiai piccoli di senape di Dijon in grani
½
cavolfiore
buccia
d’arancia
200ml di
grasso d’oca
2
cucchiai di miele millefiori
salvia
farina
per tempura
300cl di
fondo bruno
PREPARAZIONE
Per l’anatra_
Ricavare due supreme e due cosce, dividerle e riporle in sacchetti sottovuoto
piccoli insieme al grasso d’oca. Cuocere a bassa temperatura, 58° per 8 ore.
Raffreddare in abbattitore e toglierle dal sottovuoto e poi infornarle a 200°
per 10 minuti fino a farle diventare croccanti. Glassare l’anatra sul piatto col fondo bruno
ridotto in padella con l’aggiunta di senape in grani.
Per l’arancia_
Togliare a brunoise la buccia dell’arancia e sbollentarla per 3 volte in acqua
zuccherata. Poi amalgamala con il miele.
Per il cavolfiore_ Mondarlo e renderlo in piccoli pezzi mantenendo
la sua forma. Sbollentarlo per 8 minuti in acqua bollente e aceto.