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Pablito mon amour, da leggere sotto, sopra e durante l’ombrellone

Creato il 06 giugno 2011 da Olga

Pablito mon amour, da leggere sotto, sopra e durante l’ombrellone

 

Le chiavi di lettura di questo romanzo, scritto dall’esordiente Davide Golin, edito da Velvet (12 euro) sono molteplici, e tutte interessanti. Il calcio, la provincia, la DC, le BR, le bigbabol, la cronaca del tempo, le scommesse truccate.  La storia è quella del protagonista, Davide, che vive la propria adolescenza parallelamente  agli anni d’oro di Paolo Rossi, il calciatore che sigla il proprio successo col mondiale dell’82. Ma prima del mondiale,  il Lanerossi Vicenza. Squadra di provincia, che nel 1978 annusa lo scudetto, arrivando secondo, con in vetta la Vecchia (e odiata) Signora. E’ proprio in questi anni che il vicentino Dadi, io narrante speculare di Davide Golin, entra in contatto con il mitico calciatore di Prato. (La trama non ve la racconto perché lo faccio già su Smemoranda, che è qui).

Sono due gli aspetti particolarmente di rilievo, e che rendono quella di Pablito mon amour una narrazione valida: il primo, l’occhio con cui l’Italia ci viene raccontata. E’ un occhio che  cresce dalle medie all’età adulta di Davide. E con lui, anche la modalità di raccontare. Il secondo, la scrittura.  Chapeau ai titoletti (“Taxi driver do Brasil”; “E lo chiamarono Pablito”; “Dio Pantofola d’oro”; “Argentina ’78: e la chiamano estate”; “Le mille bolle big babol”; “palazzo del Bo, Idroscalo di Ostia”). La scrittura è fresca, incalzante e un po’ inglese, ma non solo perché ci ricorda Nick Hornby di Febbre a 90′. E’ una scrittura in tutto e per tutto italiana, mimesi di un certo linguaggio da bar e di un pensiero. Mi è stato impossibile non credere che fosse con questo linguaggio, e alla stessa velocità, che corre il pensiero di Golin.  E mi è stato altrettanto impossibile, dico impossibile, non pensare a quel genere di eloquio – che rende benissimo con l’accento vicentino – da brillante oratore da bar sport. Che discute le partite, la cronaca e i fatti con un po’ di ironia, un po’ di perplessità e un po’ di teatro. Nella scrittura di Golin di perplessità ce n’è poca. C’è molta velocità, capacità di commistione tra l’emozione e fatti, tra finzione e cronaca. Motivo per cui è un romanzo che si legge veloce. Una volta entrati si divora. E  c’è abbastanza distanza per dire: anche questa è storia.

Cronaca che m’è piaciuta, citata nel romanzo

Una volta, quando ero piccina, mio padre mi disse che non dovevo fingermi mai un ladro se non lo fossi stata. Dissi: “papà, perché?” mi rispose: ” come non la sai la storia di quel calciatore che andò in gioielleria, disse per scherzare “mani in alto” e il gioielliere  gli sparò?”. Sono stata veramente a lungo a chiedermi se quella storia non fosse inventata. A dirmi: è così che si fa fuori un uomo? Sarà stato uno scherzo? Si può far fuori un uomo col fisico e l’aspetto da calciatore della nazionale? E poi, che genere di morte è, vadoafareunoscherzocivediamoquandotornoepoimuorieciaociao?

Pablito mon amour mi ha dato una risposta: mio padre non mentiva.

Un altro graziosissimo fatto di cronaca, che non so però se sia vero, è quello di R., la ragazza  che si mangiava le ciunghe e non le sputava mai. Finché non sono stati costretti a operarla perché non digeriva più. E’ un altro fatto “laterale” che scorre lungo i binari della narrazione di Pablito, una storia che ci tiene compagnia fino alla fine, quando Dadi si fidanza con una Roberta che mangia sempre bigbabol e non le sputa mai. La storia fra loro finisce. Ma Dadi non se la mette via. E si chiede anche se per caso quella bambina R. che non sputa le gomme fosse proprio la sua Roberta. Verifica:  le alza la camicia  e se c’è una cicatrice sulla pancia, sì, è lei. La trova o non la trova? Leggetelo.


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