Magazine Cinema
Pacchigi! (パッチギ!, We Shall Overcome Someday). Regia: Izutsu Kazuyuki. Soggetto:da un romanzo di Naruyama Takeshi. Sceneggiatura:Habara Daisuke, Izutsu Kazuyuki. Fotografia:Yamamoto Hideo. Scenografia: KanedaKatsumi. Montaggio: Tomita Nobuko. Musica: Katō Kazuhiko. Interpreti: Shioya Shin, Takaoka Sōsuke,Sawajiri Erika, Matsunaga Kyōko, Onoue Hiroyuki, Odagiri Joe. Produzione: Cinequanon. Durata: 118’. Uscita nelle sale giapponesi:22 gennaio 2005.
Link: Mark Schilling (Japan Time)
PIA: Comment1: 3,5/5 All'uscita delle sale: 69/100
Punteggio ★★★
Kyoto 1968: alcuni studentigiapponesi fermano e provocano per strada due ragazze nordcoreane. Una di lorocorre a chiedere aiuto ai suoi connazionali, che frequentano una scuola ad essiriservata, sita nelle vicinanze. Arrivano a decine, pronti a dare la caccia aicolpevoli. Scovato uno dei responsabili dell’accaduto, che si è rifugiato in unautobus, circondano l’automezzo, lo sollevano, e rovesciano per strada. Èquesto la roboante scena quasi iniziale di Pacchigi!, film diretto dauno dei più brillanti ‘autori commerciali’ del cinema giapponese contemporaneo,Izutsu Kazuyuki (di cui va citato almeno Kishiwadashōnen gurentai, 1996). Siamo evidentemente dalle parti di quel cinemagiapponese cha guarda ai modelli del film d’azione made in Hong Kong. Forse un po’ meno violento, almeno nell’uso deidettagli, ma altrettanto spettacolare sul piano coreografico. Pacchigi!, però, non si limita a questo,e mette in scena con una certa intelligenza e vivacità, il rapporto fragiapponesi e coreani – nello specifico nordcoreani, fatto che introduce ancheuna certa dimensione politico-ideologica – legandosi a una tradizione tematicache ha goduto di una certa attenzione nel cinema giapponese di questi ultimianni – pensiamo anche solo a Go(2001) di Yukisada Isao e a Chi to hone(Blood and Bone, 2004) di Sai Yōichi,2004 –. Le responsabilità storiche del Giappone in relazione alla Corea – paeseche di fatto è stato una colonia dell’Impero del Sol levante, dagli inizi delNovecento sino alla fine della Seconda guerra mondiale – sono esplicitamentedenunciate, anche se il film vuole soprattutto essere una ricostruzione delclima culturale della gioventù giapponese alla fine degli anni Sessanta. C’è lamoda dei Beatles, alcuni studenti si tagliano i capelli a caschetto, sperandocosì di aver maggior fortuna con l’altro sesso; ci sono gli echi della Beatgeneration, in particolare attraverso ilpersonaggio un po’ ‘frikettone’ interpretato da un giovane Odagiri Joe; ci sono i miti ideologici, fraessi quelli di Mao e della Rivoluzione Culturale, propagati da un insegnantealquanto maldestro che, nelle immagini conclusive del film, vedremo ridotto adistribuire manifestini pubblicitari di locali porno. E soprattutto ci sono duestorie d’amore incrociate, una delle quali dà al film un evidente tocco alla Romeo e Giulietta, o se preferite alla West Side Story, il cui epilogopositivo, finisce col conferirvi una prospettiva piuttosto buonista – ma anchealquanto edulcorata – dei rapporti fra i giapponesi e gli immigrati (nord)coreani. Fatto che tuttavia non toglie nulla all’asprezza di certi momenti,come quello in cui il giovane Kosuke – che ha tradotto in giapponese unacelebre canzone nord coreana, Il fiumeImjin – è cacciato a male parole , e non del tutto a torto, dal funerale diuno studente nordcoreano. In sostanza un film che nei limiti di certo enterteinment esibisce, insieme a unindubbia capacità registica e di messinscena del suo autore, anche uno sguardoa tratti attento a una certa epoca e a una certa dimensione sociale [Genji].
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