Chi era bambino negli anni 80 sicuramente ricorda l’invasione dei cartoni giapponesi sulle televisioni nostrane. Mazinga, Goldrake e Jeeg erano i più famosi tra i robot che, nel corso degli anni, sono diventati un vero e proprio genere, vantando decine di esponenti animati ma nessuno “di celluloide” all’altezza della spettacolarità raggiunta dagli “anime”.
A rimediare ci pensa Guillermo Del Toro (Hellboy, Il labirinto del Fauno) con Pacific Rim, adattamento fedele, in tutto e per tutto ai canoni dei cartoni orientali. In queste serie i protagonisti erano piloti che comandavano robot giganteschi, guidandoli dall’interno e rischiando le loro stesse vite nello scontro diretto contro gli invasori alieni (Gundam introdusse tematiche più mature, sfumando lo scontro tra bene e male in una guerra civile tra umani, ma è un’altra storia). I nemici erano quasi sempre creature mostruose ispirate a Godzilla, mostro/film tra i fondatori dei disaster-movie di fantascienza giapponesi nel lontano 1954.
La trama di Pacific Rim rispetta fedelmente questi passaggi cambiando semplicemente la provenienza dei mostri Kaiju (dalle profondità degli abissi anzichè dallo spazio) e introducendo il pilotaggio in tandem di un singolo robot (qui ribatezzati Jaeger, dal tedesco).
Trattandosi del primo adattamento in grande stile in cui Hollywood si cimenta in questo tipo di film, ricalcare fedelmente le fonti non è un difetto ma anzi, dimostra una grande conoscenza e rispetto del genere, pescando gli elementi migliori da, ormai, 40 anni di tradizione nipponica.
Del Toro, come già dimostrato nel trasporre la raffinata serie a fumetti fanta-horror Hellboy, ricostruisce sul grande schermo la stessa atmosfera delle opere a cui si ispira e la porta ad un livello successivo, quello dell’estremo realismo e coinvolgimento permesso dal cinema e da attori veri.
Per due ore la trama si dipana in maniera semplice e lineare, come puro canovaccio a sostegno degli scontri tra robot e mostri, decelerando per lasciare un pizzico di spazio allo sviluppo dei personaggi principali (su tutti Idris Elba, che riesce a sfruttare il suo carisma) ed esplodendo nelle scene d’azione.
In alcuni momenti la pellicola guadagna punti evitando sviluppi scontati (come una banale storia d’amore tra protagonisti), in altri ne perde sacrificando Russi e Cinesi in stereotipi vecchi quanto il cinema stesso, lasciando un pò di amaro in bocca per l’assenza di piloti europei, africani o sudamericani, aspetto che avrebbe variopinto di più l’identità dei personaggi. Inoltre su alcuni passaggi viene richiesta una sospensione di incredulità: risolvere piccole incongruenze e ingenuità che i “robottoni” si portano dietro dagli anni 70 non è lo scopo della pellicola, che punta unicamente a celebrarli dal punto di vista visivo.
Difatti la vera forza di Pacific Rim è l’aver ricreato in maniera perfetta gli apocalittici combattimenti tra mostri e super-robot, con città sfasciate come teatro di lotta, armi fotoniche ed un trionfo di effetti speciali. Il design dei Jaeger e dei Kaiju è molto sofisticato e curato, soddisfacendo sia lo spettatore casuale che l’irriducibile fan di Mazinga. Parecchie scene valorizzano la maestosità dei robot-Jaeger inserendoli sullo sfondo di colossali basi in cui gli umani circolano come formiche, o facendoli camminare attraverso oceani e città.
Pacific Rim è il sogno segreto di chi non si perdeva una puntata di Goldrake dopo aver fatto i compiti. Sulla scena in cui un robot alto 90 metri picchia un godzilloide usando una nave petroliera come mazza da baseball diventa chiaro che è un film generazionale; creato con semplicità concettuale, ma con maestria visiva, come omaggio per tutti gli over 25 (minimo) che hanno sognato qualcosa di simile all’epoca in cui la computer grafica non c’era e lasciava all’animazione il compito di rendere un pò più vera la fantasia.
Articolo di Francesco Dovis