Avevo deciso di non farlo. Non volevo parlarne. Volevo starmene lì in un angolo, come quello che suona la chitarra alle feste. Quello che anche se alla fine non limona con nessuno, si porta comunque a casa la soddisfazione di aver fatto da sottofondo.
Avevo deciso così, di far tacere una volta tanto il mio ego, anzi i miei due ego (visto che la mia giacca verde sudava freddo). Ego grossi come Kaiju, come Jaeger… Ero passato sopra alla fighettissima recensione di Lega Nerd, poi ho letto una recensione del Corriere della Sera firmata dal Maestro Venerabile Maurizio Porru che diceva:
“[...] Guillermo del Toro non trova misura, ricalca orme altrui e s’inoltra nella noia e nel ridicolo col passo del suo enorme alien”.
E a questo punto mi tocca dire la mia. Visto che non è così.
Pacific Rim è un film che non può unire, perché ha un peccato originale. Esatto, una mela è stata raccolta dall’albero, la mela più pericolosa, ma ne parliamo tra 2 minuti. Continuate a leggere.
Guillermo Del Toro è un regista dai gusti difficili, ha un approccio estetico raffinato e nello stesso tempo la foga espressiva e il piglio geek di un quindicenne. Spiegate voi a Porru che vuol dire geek, perché io ci ho messo trentadue anni per capirlo, figuriamoci lui che è una classe ’42. Del Toro, insomma, vuol far nozze tra esoterismi intellettuali e muscolosi blockbuster. Lo vuole da sempre. A volte ci riesce, e di solito ni.
Stavolta secondo me ci è riuscito. E ora vi spiego…
Pacific Rim, al di là del brutto nome che ricorda il Fairmont Hotel di Vancouver, è un film pensato con grande cura, che ha molti pregi e alcuni difetti, ma è tutt’altro che noioso o ridicolo. Chiariamoci, io da quando ho visto Man of Steel ho una nuova scala del noioso e del ridicolo.
a) Massima scala del noioso: Kal El che combatte contro il generale Zod distruggendo tutta Metropolis in un uno-contro-uno muto, interminabile e con protagonisti senza mutande. E senza pacco.
b) Massima scala del ridicolo: il Jor El Ex Machina piazzato ovunque nella storia per lasciare spazio a Russel Crowe.
Pacific Rim non ha nulla di tutto questo, pur rimanendo un blockbuster dalla struttura lineare, che segue un’aritmetica narrativa ormai rodata, fa trasparire i guizzi di Del Toro nel dar corpo al mondo della storia. Perché i due fuochi principali del film, a mio avviso, sono due.
Il primo è l’operazione di summa quasi enciclopedica di due generi fantasy vicinissimi di casa, Mostri e Robottoni, cercando non una strada nuova, ma una strada di integrazione e individuazione; il secondo fuoco poi, è quello di rendere il mondo della storia protagonista (un futuro alternativo) pur seguendo due o tre linee narrative forti senza trasformare il film in una saga eroico-cristica. Questi film, infatti, sempre più spesso sono pieni di pseudo-gesù prescelti per salvarci e ormai ci siamo abituati e li mandiamo giù come fossero glappa di losa del ristorantino cinese all’angolo. Del Toro no, non lo fa, e anzi costruisce i suoi personaggi come in un vecchio film di guerra WWII. Se qualcuno muore o si sacrifica, be’ fa parte del gioco, non c’è tempo per piangere o imparare qualcosa. Solo calci in culo.
Obbiettivi centrati, ciccione!
Con Pacific Rim, Del Toro non ruba, ma cita con cura i precedenti illustri che hanno abitato gli schermi e le pagine dei fumetti prima di lui, senza la presunzione di essere – come effettivamente è, – il primo vero traduttore di un genere popolarissimo come quello dei Robottoni al cinema. Cosa non facile, nonostante il fluidissimo 3D e la mancanza del fastidioso e vertiginoso mecha-design ‘chiodini e vitine’ di Transformers.
Qualche esempio di citazione?
Lo so che lo volete. Eccone alcuni:
1) La guida dei Robottoni (gli Jaeger) si fa attraverso collegamenti ‘neurali’, cercando la fusione uomo-macchina di Tekkaman e di Evangelion (senza pipponi filosofici e cabalistici),
2) La testa dei Robottoni è la cabina di comando, staccata dal resto del corpo attraverso un ‘drop’ (caduta) si aggancia al resto del corpo come nel mitico Mazinga, o come la testa di Jeeg,
3) I Robottoni rispecchiano la fisicità dei loro piloti, come in generale in tutta l’opera del maestro Go Nagai, quindi il robot dei russi è massiccio e ha la pettinatura di Ivan Drago della serie Rocky, quello dei cinesi giocatori di pallacanestro è il più agile e leggero, ecc…
4) La giapponesina Mako, interpretata dalla delicata bellezza della modella dall’indelicato nome di Rinko Kikuchi è la summa dei personaggi revanscisti degli anime eroistici,
5) il design del Robottone protagonista è dannatamente Gundamoso e anche un po’ Tetsujin 28-go, un manga di Mitsuteru Yokoyama del periodo in cui Del Toro era bambino…
6) Quando un ranger (sì, i piloti degli Jaeger sono RANGER!!!) si prepara ci cucchiamo ‘la vestizione’. Altro tipico rituale nipponissimo.
Potrei andare avanti, passando anche in rassegna i Mostri che citano i classici ‘men in suits’ di programmi televisivi come Megalomen e compagnia cantante, oltre che lo stesso Godzilla (di cui Del Toro anticipa abilmente il remake in sala) e i mostri marini del tanto amato H.P. Lovecraft, antichi Dei di altre dimensioni.
Dal punto di vista della sceneggiatura – mi permetto un appunto più professionale, – si sentono i sacrifici e i tagli fatti in favore del box-office e di una produzione che voleva calcare la mano sul visivo, piuttosto che sugli intrecci narrativi, ma l’utilizzo dei subplot, per quanto esigui, non è affatto male. Da notare, anche se riuscito al solo 90%, il funzionale ruolo del duo di scienziati stile Big Bang Theory (non un caso) Newton e Hermann (il secondo direttamente da Torchwood), che ci mostrano un inedito background narrativo per il genere Robottoni. Ovvero: che fa la gente normale durante un attacco dei mostri? Che ci fanno poi coi pezzi dell’alieno gigante? Bell’idea. Facile, ma efficacissima.
Non si può dire che Pacific Rim sia un film perfetto, ma è il primo della sua specie, ed essendomi occupato di adattamenti per alcuni anni so che non è facile far passare una storia da un media all’altro mantenendo la credibilità del pubblico. E in questo, c’è una scena che sembra rubata a un anime, e che mai avrei creduto possibile da rendere in un live-action. Una scena che riguarda Mako-bambina. Grande Cocomero, ci si gode tutto dall’inizio alla fine senza troppi interrogativi. Idris Elba riesce a sfangare un ruolo un po’ patetico e Ron Perlman ci regala una bella caratterizzazione col suo trafficante d’organi Kaiju. A meno che non ci si aspetti qualcosa di diverso da Mostri e Robottoni, Pacific Rim ne vale la pena. In caso vogliate farvi più saghe, andate da Snyder e fatevi spiegare che cosa ci voleva dire col suo Superman senza mutande.
E voi, critici un po’ anzianotti e nerd fighetti: viaggiate leggeri, che la vita è già abbastanza pesante.
Ehi! Ma quello è un pugno missile!!! Mi ricorda qualcosa… Basta, la recensione è finita!
Il mistero in questo film c’è. In più, è un mistero anche ‘sta cosa dei Robottoni che ci piacciono tanto. Come mai? Non si sa, quindi gli do 4 giacche verdi, nonostante non mi piaccia il design dei Robottoni e mi sia mancato un po’ di spessore dei personaggi.
Non me ne pentirò, forse. Aspettiamo il seguito.