C’è una profonda differenza tra l’essere pacifista e l’essere cultore, o cultrici di pace.
Il pacifismo si basa sulla negazione del conflitto. Esso vi si contrappone allo stesso modo in cui il bene, o la sua presunzione, si contrappone a ciò che si definisce o percepisce come male.
Tuttavia, questa impostazione non supera la conflittualità sociale, od economica, in poche parole dell’uomo verso l’altro uomo…
Ciò perchè, nel sentire umano non esiste una realtà, ma il piano del reale, che non è altro che la capacità di ogni singolo individuo di intepretare il suo contesto di riferimento sulla base di propri schemi, del tutto personalistici, e di un suo peculiare sentire.
Essere pacifisti, in questo scenario, vuol dire affermare la supremazia del valore della pace, rispetto a quello della guerra o della violenza. Tuttavia, esso non interviene sull’analisi e sulla comprensione delle conflittualità: cioè di ciò che determina il passaggio da una situazione pacifica ad una situazione di contrapposizione.
Anzi, troppo spesso sfocia nella considerazione erronea per cui forze armate ed eserciti non sono considerati come istituzioni garanti di sicurezza, ma come portatori di morte. Cosa che non è. Poichè, senza i garanti della sicurezza si vivrebbe in una giungla globale in cui l’unica legge sarebbe quella dell’affermazione del più forte, senza alcuna garanzia di sorta. La deterrenza è necessaria per preparare il seminato del dialogo.
Infatti, essere cultori di pace vuol dire analizzare, comprendere e tentare di risolvere proprio le conflittualità. La cultura di pace non può essere imposta dall’alto, ma deve essere un metodo che permetta agli uomini di sentire il valore della fratellanza ancor prima dell’affermazione di valori e principi di cui i soggetti si fanno portatori.
Allo stesso modo, la diversità non deve essere interpretata come la sintesi di una contrapposizione. Bensì come il presupposto e il terreno fertile di un percorso di dialogo che, attraverso lo scambio ed un confronto al positivo possa giungere all’affermazione del piano della fratellanza tra diversi.
In fondo, per vivere in pace, non è necessario ripudiare aprioristicamente il conflitto, ma è fondamentale risolvere, nel rispetto dell’uomo verso ogni altro uomo, il disagio che s’incontra nel doversi confrontare con ciò che è differente e con cui è utile dialogare in processi di arricchimento e di riconoscimento reciproco.