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Paco de Luna - Secondo quadro [gianbarly] La Notte 4(bozza)

Da Gianbarly
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Mentre si incamminavano disse a Paolo del suo problema. Lui lo stette a sentire poi disse semplicemente“Ci penso io”Francesco si sentì sollevato. Ora doveva concentrarsi solo sulla parte tecnica, sull’intervista. A tutto il resto ci avrebbe pensato Paolo.
Lungo la strada raccattarono un bel po’ di gente. Succedeva sempre così. Bastava farsi vedere, buttare lì una frase e le serate si animavano. Una delle prime ad unirsi a loro era stata Fimère. Li aveva visti da lontano e si era fiondata verso di loro. Aveva fatto un gran sorriso a Francesco prendendolo a braccetto. A lui questo aveva fatto piacere. Fimère aveva quasi la sua età ed era graziosa. I suoi tratti mediterranei, fatti di neri intensi e di lampi di luce, gli piacevano. Parlare con lei era un’esperienza eccitante. Francesco si ritrovava in quello che lei diceva, nonostante la provenienza da una cultura differente. Lei era algerina, i suoi erano scappati al tempo delle stragi dei fondamentalisti. Le avevano dato un’educazione laica, aperta ai costumi occidentali, anche se con attenzione e rispetto per le tradizioni. Credevano nella possibilità di traghettare il meglio della loro cultura nel mondo moderno, senza per questo scimmiottare le modalità dell’Occidente.
“Mio padre e mia madre si sono battuti a lungo, nell’Università dove lavoravano, per far comprendere che i nostri costumi si possono evolvere senza tradirne le origini. Loro cercavano di far capire, prima di tutto ai loro colleghi ed ai politici, che la strada dell’integralismo è altrettanto senza uscita di quella della resa ai modelli che vengono dall’esterno. Mio padre, quando era al colmo di una discussione tirava fuori la sua espressione preferita – lo chador è l’altra faccia della coca cola! – pensando di dire una parola definitiva sull’argomento. Purtroppo non è stato così. Nonostante avesse avuto una grande influenza e fosse discretamente famoso, si è ritrovato isolato e quando hanno cacciato mia madre dall’Università, impedendole di insegnare, ha deciso che era ora di andare via”.
Francesco pensò che avrebbe dovuto prendere una qualche decisione in merito a lei. Ma non quella sera. Dopo le parole di Paolo era tutto concentrato su quello che aveva da fare.
Appena dentro al locale andò dal musicista per accordarsi sul proseguimento dell’intervista. Paco de Luna gli rispose distrattamente, impegnato com’era negli ultimi preparativi.
Il posto era già affollato, c’era sempre molta gente anche quando non si suonava. Era uno di quei rari posti che piacevano indistintamente a tutti i frequentatori della notte. Ci ritrovavi i fighetti della nuova borghesia, sregolati e prepotenti come i fossili del ’68, strani esseri che si rifacevano agli stessi modelli di quando erano giovani i loro genitori. Ci venivano gruppi di studenti in libera uscita e compagnie di colleghi delle aziendine di servizi che avevano invaso il centro storico.
Paco aveva cominciato lo spettacolo, accompagnato dalla sua chitarra e dai tre componenti della sua band. Aveva una voce suadente, appena arrochita che si adattava perfettamente al suo ruolo di sottofondo musicale.
Francesco, per abitudine, cominciò a scrutare la sala, per capire chi c’era. Lo faceva sempre, senza però estraniarsi dalla sua compagnia, era come se intervallasse la conversazione con delle brevi pause in cui faceva le sue osservazioni.
Alla loro destra c’era un gruppo piuttosto numeroso, ad occhio e croce impiegati di un’azienda che si ritrovavano per festeggiare qualcosa insieme. Spiccavano dagli altri una ragazza con i capelli a caschetto ed un tipo alto, atletico. Si vedeva chiaramente che erano loro a tenere banco. La donna parlava a raffica, senza rivolgersi in particolare a nessuno dei presenti. L’altro si intrometteva di tanto in tanto, ma con battute così efficaci da attirare immediatamente tutta l’attenzione.
Sulla sinistra, nel lato più distante dal palco, c’erano alcune coppie sedute ciascuna al suo tavolino. Alcuni conversavano guardandosi intorno, altri erano persi l’uno negli occhi dell’altro. Una coppia attirò la sua attenzione perché stava discutendo animatamente. Più che altro era lei che parlava con veemenza, pur cercando di mantenere basso il tono di voce, mentre lui la ascoltava cercando a tratti di dire le sue ragioni.
Al centro c’era un gruppo, forse di universitari ma probabilmente molto eterogeneo. C’erano alcune ragazze vestite “minimal” ed altre con capi firmati, ragazzi in jeans ed altri che se la tiravano da grande Gatsby. Tutti parlavano contemporaneamente facendo una grande confusione.
Dietro a quella cacofonia di rumori risuonava limpida la voce di Paco. Le sue erano canzono lente, che parlavano di un tempo sospeso, di attimi eterni in grado di far sviluppare le emozioni lungo tutte le gradazioni possibili. Di gesti che si compiono secondo i ritmi segreti di un’antica saggezza. Dell’attesa come il momento più bello e struggente. Della necessità di fermarsi per poter cogliere il significato nascosto delle cose, l’armonia delle forme che ci circondano, la sconvolgente bellezza dei piccoli dettagli.
La maggior parte dei clienti non prestava alcuna attenzione ne’ a lui ne’ tantomeno alle sue canzoni. Però Francesco poteva cogliere qua e là qualche sguardo assorto, intento ad assorbire quella musica.
Nel gruppo aziendale la competizione fra la brunetta ed il tipo atletico era a massimo. I due avevano il corpo teso in avanti, i loro gesti denotavano una forte tensione. La donna giocava tutto sulla velocità, sui giudizi tranciati di netto, sulla divisione fra quello che è nuovo, moderno, giusto e quello che era da buttare via. Francesco c’avrebbe giurato, era quella che normalmente dettava a tutti gli altri i canoni del loro pensiero. Si vedeva da come alcuni di loro la guardavano, era la fonte da cui attingevano quotidianamente il loro sapere. L’altro non la seguiva su quel terreno, in cui lei era maestra. Aspettava il momento giusto per poi buttare lì le sue provocazioni, quelle osservazioni caustiche capaci di scombinare il ragionamento della collega. Si vedeva che si divertiva a scompaginare il filo del discorso, probabilmente con la prima cosa brillante che gli veniva in mente. Che poi argomentava con indubbia capacità.
Molti degli ascoltatori erano combattuti. Dalla donna sapevano di avere un continuo rifornimento di notizie e di giudizi salaci ma lui li faceva divertire indubbiamente di più. Ora la donna si prendeva delle pause più lunghe. Gli altri davano ormai segno di insofferenza quando lei provava a ripartire. Così lei si zittì completamente, iniziando di lì a poco a sbadigliare platealmente. Poi se ne andò, seguita da due o tre fedelissimi. Evidentemente il posto non era più abbastanza trendy per lei.
L’atmosfera nel locale era impercettibilmente cambiata. L’elettricità dei primi momenti si era placata. Ora le persone sedevano più rilassate, i loro gesti erano più misurati, le parole più calme. Qualcuno sedeva in silenzio gustandosi la musica.
La coppia sulla sinistra aveva smesso di litigare. Lui ora le parlava lentamente indicando una o due volte verso il palco.
Un’altra coppia, forse un manager con una compagna clandestina, se ne era andata dopo che lui aveva guardato tre o quattro volte l’orologio. Nella compagnia al centro era terminata un’accesa discussione su come proseguire la serata. Una parte fremeva per cambiare ambiente mentre gli altri non vedevano motivo di spostarsi. Alla fine si erano divisi e quelli rimasti si misero più comodi nello spazio lasciato libero.
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