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Paco de luna - Terzo quadro [gianbarly] Uno squillo nella notte

Da Gianbarly

Paco de luna - Terzo quadro [gianbarly] Uno squillo nella notte

P. Picasso - Guernica (part.)

Quella notte la trascorsi in uno stato di profonda agitazione. La miaconfusione mentale era al massimo, non riuscivo più a mettere in fila alcunpensiero. Mi sforzavo di ragionare ma ero sopraffatto continuamente  da emozioni contrastanti. Cercavo di pensarea Fimère, convinto di trovare dentro di me i morsi laceranti del mal d’amore, scontandoin tal modo la mia condotta vigliacca e, quindi, arrivare ad una forma diriscatto, di sublimazione che potesse dare un qualche senso a ciò che eraavvenuto.In realtà, l’unica ferita che mi dava un vago senso di disagio, era dovutaall’aver mancato ad un dovere; ero più tormentato dall’aver agito in manieradifforme da quello che gli altri si aspettavano da me (e, primo fra tutti,Paolo che aveva sempre caldeggiato una mia relazione con Fimère, sostenendo chemi avrebbe fatto benissimo avere al fianco una ragazza determinata epragmatica) che dal rifiuto di lei. Non soffrivo per amore di lei ma d’amorproprio e non volevo ammetterlo.
Il suono del telefono, poco prima delle sei, mi strappò bruscamentedall’impasse in cui ero caduto.Era l’Antonia che con tono perentorio mi annunciò:“C’è un’emergenza, vieni immediatamente!”Pochi minuti dopo ero in redazione. Trovai gli altri, quelli che eranoarrivati prima di me, affollati intorno al gabbiotto di Maria e di Luciano. Lefacce erano stravolte, gli occhi rivolti ai due che stavano parlottando fra diloro all’interno del box. C’era un’aria surreale, una grande elettricità checontrastava con il silenzio assoluto che regnava nell’enorme stanzone. Non osaifare domande. Per ingannare l’attesa feci mentalmente l’appello. C’eravamoquasi tutti, tranne Paolo e pochi altri. Mi chiedevo invano che cosa fossesuccesso fino a che qualcuno non sussurrò“Giuliana …”In quel momento si udì il ticchettio caratteristico dei tacchi di AnnaMaria, che stava arrivando con l’orecchio incollato al cellulare. Ci guardòtutti rapidamente a mo’ di saluto e poi disse brevemente, prima di rituffarsinella conversazione“E’ viva. Grave, ma viva”Anche Maria e Luciano s’erano affacciati sulla porta del boxper ascoltare le novità. Ognuno commentava quelle poche informazioni cercandodi amplificarne il lato positivo. Sembrò per un attimo che non fosse successonulla di serio. Ci pensò Anna Maria a riportarci alla realtà.“Si va con la diretta, vero?” disse rivolta a Maria, dopoaver chiuso il cellulare. L’altra esitò un attimo prima di annuire.“Bene, allora direi che tu, tu e … tu” indicando alcuni deipresenti “andate all’ospedale e cercate di avere maggiori notizie sulle suecondizioni”Si volse rapidamente intorno e poi“Voi due invece, con Franchino, andate sul posto dovel’hanno trovata. Di corsa, che alle 7 partiamo con la diretta!”Maria la guardava inebetita, incapace di agire.  Di fronte ad una situazione che richiedevaprontezza di riflessi e lucidità, lei e Luciano avevano completamente perso labussola. Anna Maria invece si era semplicemente riappropriata del ruolo cheriteneva di meritare.Istintivamente ci volgemmo tutti verso Maria, per spiarne la reazione. Leideglutì con fatica per poi sussurrare“E Luciano …?”“Mi sembra ovvio, lui resta qui per la diretta”Un lungo attimo di silenzio“Beh, sì, mi sembra che vada bene, è ragionevole”Poi, come rinfrancata dall’udire il suono della propria voce, Mariaaggiunse“Del resto, tu hai una certa esperienza, con le aggressioni”E nell’intento di rincarare la dose“Bene, ora vai al tuo posto e vedi di tirar giù un po’ di note sullapovera Giuliana. Oddio, non sarà facile, è una personcina così insulsa!”
In un baleno mi ritrovai in macchina con gli altri della mia squadra, ad aggeggiare con gli strumenti per la ripresa. Seppi da loro che giuliana era statatrovata in un vicolo, svenuta e piena di ferite.I particolari li appresi dal ragazzo che l’aveva trovata. Era cinese elavorava nel ristorante dello zio, sul lungofiume. Lo intervistammo nel vicolosul retro, di fronte alle strisce gialle di plastica che la polizia aveva messoper delimitare la zona dove era stato trovato il corpo.C’erano dei cassonetti, pieni fino all’orlo di spazzatura. Era lì chenumerosi locali svuotavano gli avanzi della serata. Il ragazzo stava appuntoportando i sacchi di rifiuti, quando l’aveva trovata. Era emozionato e nelparlare si fermava di continuo, incespicando nelle parole. Aveva qualchedifficoltà con la nostra lingua e le telecamere lo mettevano a disagio. Inoltre,si capiva chiaramente che gli costava molta fatica raccontare di nuovo quelloche aveva vissuto, come se avesse dovuto confessare di essere stato lui apicchiarla. Continuava a ripetere che c’era buio, che là in mezzo ai cassonettiè difficile distinguere qualsiasi cosa. Diceva che aveva già fatto un paio diviaggi, che i sacchi erano pesanti e che era difficile, molto difficilesollevarli fino all’orlo del cassonetto.Si agitava molto, tormentandosi le mani, e cercava la nostracomprensione. Aveva gli occhi umidi, sembrava quasi supplicarci di smettere. Qualcunogli appoggiò una mano sulla spalla e questo gesto sembrò rinfrancarlo. Con unosforzo si girò verso il luogo recintato ed indicò lo spazio fra duecontenitori.Là nel mezzo, diceva, aveva intravisto un cumulo di spazzatura, non tantogrande, ma lui c’era salito sopra per rendersi più agevole il compito. Fece ilgesto di alzare un sacco e di buttarlo all’interno di un recipiente molto alto,per farci capire che quei pochi centimetri che aveva guadagnato gli avevanopermesso di fare molta meno fatica. Aveva fatto a quel modo per il primo sacco,poi era rientrato nel ristorante ed aveva preso il secondo, rifacendo glistessi gesti. Il cumulo di spazzatura sotto di lui era soffice, aggiunse.Al terzo sacco la sua piattaforma si era lamentata. Lui aveva fatto unsalto, mollando tutto. Il sacco si era aperto rovesciando il suo contenutotutto intorno. Allora lui era corso nel locale ed era subito tornato indietrocon una pila. Aveva spazzato via i rifiuti con le mani, cercando di capire cosaci fosse in quell’ammasso informe. E’ un cane, è un cane si ripeteva muovendofreneticamente la pila in tutte le direzioni. Fino a quando aveva visto ledita.
Ora piangeva a dirotto. Fra i singhiozziripeteva che lui avrebbe voluto tirarla fuori da là, portarla dentro alristorante, aiutarla a rialzarsi ma che non riusciva a capire come fosse messa.Aveva provato un paio di volte ad afferrarla alla meno peggio ma ogni volta leigemeva penosamente. Poi si era accorto che aveva entrambe le braccia spezzate.

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