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E’ trevigiano il primo piccolo nato dalla diagnosi pre-concepimento sull’ovocita. L'esame renderà felici 88 coppie portatrici di malattie genetiche
PADOVA — E’ un maschio, figlio di una coppia trevigiana colpita da sindrome di Smith Lemli Opitz, il primo bimbo nato sano da genitori portatori di una grave malattia genetica. Un «miracolo» avvenuto all’ospedale di Padova, dove l’équipe del nuovo Centro unico di procreazione assistita sorto dalla fusione dei due interni all’Azienda ospedaliera, ha sviluppato una tecnica per aggirare l’ipocrisia della legge 40 del 2004, che vieta la diagnosi pre-impianto sull’embrione ma non l’eventuale scelta successiva della madre di abortirlo se malato. Il «segreto » che regalerà la stessa gioia insperata ad altre due coppie di Firenze e Frosinone, rispettivamente «incubatori» di fibrosi cistica e Beta talassemia, si chiama «indagine pre-concepimento » e consente di selezionare non gli embrioni ma gli ovociti prima della fecondazione.
«Esaminiamo il primo globulo polare, cioè metà dell’ovocita, che contiene il 50% del corredo cromosomico della cellula —spiega il professor Carlo Foresta, a capo del Centro di procreazione assistita e di quello per la crioconservazione dei gameti maschili—se vi troviamo un’alterazione, utilizziamo per l’inseminazione artificiale la metà sana dell’ovocita. I globuli polari sono materiale extra embrionale, non hanno nessun ruolo nello sviluppo del feto e la loro rimozione non interferisce con la fertilizzazione. Abbiamo già esaminato 88 coppie, provenienti da tutta Italia e portatrici sane di 33 malattie genetiche, come la B-talassemia, la fibrosi cistica e l’emofilia». La diagnosi pre-concepimento può essere applicata a coniugi con alterazioni causate da un solo gene o con anomalie cromosomiche materne, ma non è in grado di individuare eventuali patologie trasmesse dal futuro padre. Per scoprirle è necessaria l’indagine pre-impianto sull’embrione, procedura per la quale l’ospedale di Padova sta aspettando l’autorizzazione dalla Regione, in virtù di una serie di sentenze di tribunali e Corte costituzionale che la consentono in caso di genitori portatori di malattie genetiche. «Analizzeremmo il blastomero, cioè la cellula che deriva dalla segmentazione dell’uovo fecondato — chiarisce Foresta —. Se l’embrione risultasse malato, lo congeleremmo e ne sceglieremmo uno sano da impiantare. Le associazioni sulle malattie rare stanno spingendo perchè ci sia permesso di eseguire questo tipo di analisi. Come per l’indagine pre-concepimento saremmo l’unico polo pubblico a garantirla, e con il solo pagamento del ticket».
Il Veneto conta 38 dei 341 centri italiani di procreazione assistita, che finora hanno trattato 1525 pazienti, con una spesa di 29.953.000 euro e la soddisfazione di aver fatto nascere, solo nel 2007, 775 bambini. «Ma risparmieremmo 9 milioni all’anno con la prevenzione all’infertilità maschile, che potrebbe guarire il 20-30% degli uomini colpiti—osserva Foresta —. La sua mancanza ha causato, in sei anni, l’incremento del 50% del tumore al testicolo, il più diffuso tra i maschi, soprattutto di età compresa tra 18 e 39 anni». L’altro grosso problema riguarda l’infertilità, che gli specialisti padovani hanno collegato anche all’obesità. Il 20% dei veneti sovrappeso ne soffre: ogni 10 chili in più la fertilità si riduce del 10%. La buona notizia è che i farmaci contro la disfunzione erettile, come Viagra, Levitra e Cialis, rimettono in moto la capacità fertilizzante degli spermatozoi in vitro. Un’altra scoperta del team di Foresta, pubblicata sul «Journal of Endocrinological Investigation ».
Michela Nicolussi Moro
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