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Padova: talebani in corsia

Creato il 26 agosto 2013 da Albertocapece

NEWS_134974  Anna Lombroso per il Simplicissimus

Chissà chi svolge l’attività di comunicazione del Movimento per la Vita del Veneto, che dopo 9 anni di attesa entra ufficialmente nelle corsie degli ospedali,   grazie ad una convenzione siglata con la Usl 16 di Padova che l’autorizza per 5 anni a svolgere azioni per “promuovere la diffusione, la divulgazione e l’informazione sui diritti dei cittadini in ogni ambito, in particolare con riferimento alle questioni etiche e della vita”.

Chissà chi consiglia ai Pro Life la propaganda tramite veglie e maratone di preghiera anti eutanasia, banchetti per la raccolta di firme e la proposta di servizi quali la sepoltura obbligatoria dei “prodotti abortivi”, secondo la loro definizione, sportelli per la dissuasione a applicare una legge dello Stato.

Chissà. Sappiamo invece chi  ha svolto l’ attività di lobby che ha favorito questo successo: nell’ottobre scorso questo blog, molto criminalizzato, aveva denunciato il ruolo svolto dalla consigliera del Pd, Laura Puppato, nonché la sua rivendicazione, nell’adozione di una legge regionale che, secondo una sua dichiarazione,  garzie al suo illuminato intervento avrebbe  riconosciuto “a tutte le associazioni pari opportunità di comunicazione, garantito il pieno rispetto della privacy e regolava  modalità di promozione di idee e servizi da parte delle associazioni di volontariato” sui temi eticamente sensibili, prima di tutto l’aborto.

È grazie a quella legge che si è aperta la strada a questo oltraggio non solo alla laicità, alla dignità della persona  e ai diritti, compreso quello più amaro e doloroso e difficile, ma anche a una legge dello Stato, secondo una pratica diventata sistema di governo, per un ceto politico che in forma bi partisan aspira a stravolgere l’edificio costituzionale, demolire il complesso di leggi e la loro amministrazione fino alla spavalda cancellazione morale e reale di sentenze.

È grazie a quella legge che il 14 agosto l’Usl 16 di Padova ha sottoscritto una convenzione di cinque anni che   autorizza i volontari del Movimento ad aprire uno sportello di ascolto nel polo di Piove di Sacco, ma anche ad effettuare giri di propaganda e “persuasione” nei reparti, muniti di appositi distintivi di riconoscimento.

È grazie a quella legge che  il direttore dell’Usl 16, ha autorizzato nell’ospedale di Piove di Sacco lo  svolgimento delle attività dei volontari:  accoglienza e ascolto delle pazienti; interventi a favore di maternità e genitorialità; ascolto, sostegno morale e psicologico; sensibilizzazione della comunità civile; promozione di iniziative formative, educative e informative. Inoltre l’Usl garantisce la copertura assicurativa agli antiabortisti, che «assicurano una presenza amichevole» all’interno dell’ospedale e si impegnano a: «segnalare eventuali disfunzioni nei servizi, partecipando a verifiche sulla qualità ed elaborando proposte per il loro miglioramento»; promuovere eventi propri e aziendali; chiedere l’autorizzazione per l’utilizzo di spazi; munirsi di contrassegni di riconoscimento.

«L’ospedale è un nodo strategico per intercettare donne con una maternità multiproblematica e dare loro un aiuto — spiega Luciana Pigazzi, presidente del MPV di Piove di Sacco —. Offriamo la possibilità di conoscerci, in modo che un domani nessuna dica di non aver trovato una mano tesa. Sono libere di accettare o meno un progetto di accompagnamento alla nascita del bimbo, ma per noi è importante esserci».

Suona beffardo che in pieno smantellamento del welfare, quando la nascita un bambino  viene percepita come un atto rischioso e irresponsabile, quando le corsie straripano di pazienti e invece sono carenti di medici e infermieri, quando viene favorita quell’obiezione di coscienza che apre la porta alla pratiche illegali, in attesa di legittimare una privatizzazione totale e iniqua, che si promuova, con l’intromissione, nel delicatissimo rapporto medico-paziente, di associazioni non professionali e animate unicamente da motivi ideologici,  l “intercettazione” di donne con una maternità “multiproblematica”, in modo da incrementare quei problemi condendoli con minacce, rimorsi e una condanna morale che annientino la possibilità di una scelta che,  proprio perché tremenda, deve essere razionale, libera, non condizionata da pressioni esterne.  

C’è qualcosa di oscenamente codardo   nei maldestri tentativi che vengono periodicamente condotti di manomettere o restringere l’applicazione di una legge dello Stato, peraltro severa e ancora largamente inapplicata,  e che rispondeva all’obbligo civile e morale di sanare il perpetrarsi di delitti contro le donne, consumati nella clandestinità e nella speculazione a volte mortale. Ma c’è qualcosa di ancora più infame e codardo nel dare credito alle motivazioni etiche e sensibili   da quadri della politica che dovrebbero per appartenenza e tradizione rispettare criteri di libertà e laicità, obbligati per incarico di rappresentanza a tutelare i diritti sanciti dalla costituzione e garantiti da una legge dello Stato, ma che   esplicitamente invece ubbidiscono all’esigenza di compiacere alleati di matrice confessionale o di fedele appartenenza alla teocrazia del mercato.  Si, assoggettamento agli  alleati e non lealtà nei confronti degli elettori,   perché questo Paese disgraziato ha dimostrato di pensarla diversamente da loro in occasione di uno dei tanti referendum imposti per far regredire i diritti, perfino quello all’acqua, a prerogative da “consumare” in opaca e colpevole clandestinità o in sontuose strutture estere.

Occorre ripetere, ormai stancamente e ancora una volta, che l ’aborto è un evento drammatico nella vita di una donna. Di una donna adulta e di una ragazza, che non ha preso le necessarie e ormai ben conosciute precauzioni o che ha avuto un incidente tecnico o che ha subito un atto sessuale non desiderato, precauzioni che spettano a lei perché spesso madri poco avvedute, padri poco presenti e contesto sociale poco civilizzato non educano i maschi alla responsabilità. E che vengono criminalizzate come una per colpa o un reato da scontare rendendo artatamente macchinoso e bizantinamente cervellotico l’uso della RU486, sottoponendole a un iter consegnato ormai sempre più di frequente non a consulenti che aiutano, ma ad obiettori che giudicano implacabilmente. Mentre mai come al momento di compiere una scelta che è dolorosa e imposta sempre e comunque da motivazione legittime, sociali, economiche, sanitarie, il sostegno dovrebbe venire da soggetti pubblici, indipendenti, non condizionati da qualsiasi credenza, impegnati all’aiuto solidale e svincolati da ogni pregiudizio.

Occorre guardarsi da  quei salva-vita senza amore e senza pietà.


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