Credo che questo blog dovrà presto declinarsi in rubriche. Le malefatte seriali di questo governo imporrebbero spazi di aggiornamento periodici: gli annunci, le menzogne, le truffe, gli slogan inopportuni.
Oggi dopo la truffa sanitaria denunciata da Licia Satirico, il secondo episodio potrebbe vertere sulla truffa delle semplificazioni, che nascondono più o meno abilmente il desiderabile ricorso a licenze, condoni, legittimazioni inappropriate, legalizzazioni auspicate e accreditate in nome di una festosa appartenenza alla modernità, che però manipolano lo stato di diritto, oltre che i diritti dei singoli e ledono platealmente la Costituzione, già ampiamente girata, rigirata e aggirata come un fastidioso e arcaico avanzo del passato, da sbandierare solo quando si tratta di limitare garanzie, prerogative e sovranità.
Come ha sottolineato con amara ironia Settis, il ddl accoglie audacemente la cosiddetta “dottrina Confindustria” secondo la quale la tutela del paesaggio rappresenta un sistema di lacci e laccioli che congelano il libero sviluppo dell’edilizia, considerata contro ogni evidenza come il principale motore dell’economia del Paese, per intervenire pesantemente sulla normativa che regola le autorizzazioni a costruire nelle zone su cui insista un vincolo paesaggistico.
Un’acrobazia di quelle cui ci hanno abituato per anni giuristi spericolati innamorati di codicilli e pandette, ma risolutamente ostili alla legge e nemici della giustizia, nasconde il trabocchetto nel quale far cascare la tutela del territorio e dell’ambiente, dietro a una misura che apparentemente liquida l’ignominioso trattamento di favore riservato alla procedura di silenzio assenso, trattata come ineluttabile effetto di una burocrazia borbonica inefficiente e discrezionale.
E proprio là si rivela l’indole truffaldina: il maquillage non solo non cambia la sostanza, ma anzi la conferma in un vortice che si presta a una decodificazione aberrante ma che produce un’unica certezza, quella che affida all’anello più debole, più contiguo e dunque più permeabile a pressioni, uno “sportello unico” istituito presso ciascun Comune, il parere e quindi l’autorizzazione. L’Ornaghi dormiente, salvo nella nomina scriteriata di sbagliati nel posto sbagliato, ha esultato per il lieto evento “razionalizzatore”, perché non si è accorto o si è accorto troppo che le Soprintendenze, organo a cui la legge consegna l’alto incarico della salvaguardia del paesaggio, vengono sì interpellate ma contestualmente alle altre amministrazioni in sede di conferenze di servizi, quindi con un ruolo di consultazione magari paritario, mentre è minoritario il parere di veto. E in ogni caso, il loro parere deve essere espresso entro 45 giorni, in caso contrario il Comune può decidere “a prescindere”.
Così in un colpo solo si minaccia il bene comune e la Costituzione che lo tutela, sulla quale si muovono come elefanti nella vetrina dei bicchierini di rosolio di nonna Speranza. Il silenzio-assenso, nato per difendere il cittadino dall’inerzia della pubblica amministrazione, non era applicabile sempre e comunque. L’arbitrarietà era stata “controllata” e mitigata dalla legge 537/1993 che escludeva dal suo campo giurisdizionale beni culturali e paesaggio, fino al 2011, quando con un ultimo singulto di infamia il governo Berlusconi agonizzante aveva introdotto con destrezza il silenzio-assenso nel testo unico sull’edilizia e il Codice dei beni culturali.
Ora il “naturicidio” che non era stato perpetrato da quelli che consideravamo i peggiori degli ultimi 150, con il ddl Baccini in pieno governo Berlusconi del 2005, e – tanto per garantire il pluralismo – con il ddl Nicolais, Prodi presidente del Consiglio, nel 2006, riesce e si accredita come misura per lo sviluppo nella foresta pietrificata del rigore.
E non deve stupire che le soprintendenze non siano state del tutto cancellate, al felpato Ornaghi non servivano le maniere forti, che tanto sono già spodestate e retrocesse a inerti organismi di conservazione. Ma non dei beni culturali e ambientali, ma di un personale delegittimato, con un’età media di 55 anni, soggetti a tagli di bilancio.
La riduzione dei tempi da 90 a 45 giorni per esprimere il parere di risposta alle richieste di autorizzazione, suona come la pietra tombale sulla loro ragion d’essere, quanto la spending review che è intervenuta perfino sulle spese telefoniche e sulle missioni ispettive di vigilanza sul territorio.
Il turismo insostenibile del ministro Gnudi, l’orgia megalomane di grandi opere di Passera e Ciaccia, le iniezioni di fondi all’Anas e alla Tav, l’abdicazione dello Stato in favore di improbabili mecenati, tutto congiura a confermare che le ricchezze che ci restano, cultura, arte, paesaggio, diritti, Carta Costituzionale, non sono inalienabili per chi ci mette in vendita nel grande outlet globale.
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