Chiudiamo in musica questa tornata di Ebook in Adozione associati al sondaggio sul self-publishing, anche quest’ultimo ormai in dirittura d’arrivo (VI RESTANO SOLO 3 GIORNI PER PARTECIPARE); chiudiamo con i “Cinque Racconti in Musica del Multiforme Pagano”
Evil Monkey, al secolo pare Giovanni, una trentina d’anni, non è un appassionato né un fan di musica Rock. Ne è incuriosito, come alla vista di uno strana farfalla tropicale. Incuriosito dai fallimenti, dagli insuccessi, da tutti coloro che non ce l’hanno fatta, decide di aprire un blog solo per aggiungersi alla lunga lista dei suoi eroi. Tale blog, The Evil Monkey’s Records, nasce dunque come tentativo di parlare di musica senza criteri né cronologici, né, soprattutto, commerciali o di tendenza. Parlare di musica trasversalmente.
Che senso ha, infatti, recensire gli album quando gli album stessi non si comprano nemmeno più? Che senso ha dare giudizi, voti o stellette quando chiunque fa molto prima a scaricare una canzone piuttosto che leggersi una recensione? Se cambia il mondo della musica, deve cambiare anche il modo di parlarne.
Anche per questo nascono i “Paganesimi Elettrici”, racconti apocrifi di Rock sepolto.
Già in tempi non sospetti, Greil Marcus sosteneva che “la recensione musicale è una forma morta. A nessuno frega un cazzo di cosa pensi di un disco che hai recensito”.
Partendo da questo ragionamento lapidario, cercando di sfuggire alla stereotipata tendenza di incensare l’album perfetto, di usare le solite “frasi fatte” da buona recensione e provando a non offrire solo opinioni “private” e personalismi scritti, sono nati questi cinque racconti in musica.
Non si è rinunciato ai dischi preferiti, bisogna ammetterlo, ma si è cercato di collocarli, ricontestualizzandoli per semplici associazioni di idee, in una prospettiva – perché no? – letteraria tutta differente. Ne sono così risultate recensioni romanzate, o meglio romanzesche, anche nel senso più manierista del termine, che inseriscono un gruppo rock, un suo album, la sua storia, in uno scenario spazio-temporale completamente differente.
I Musicisti diventano spettatori di vicende realmente accadute in nicchie storiche inconsuete; la loro musica fa da sfondo ad avvenimenti reali o trame avventurose prese a prestito da Salgari, Conrad o Edgar Allan Poe, condensati in racconti brevi di poche pagine.
Estratto da PAGANESIMI ELETTRICI, cinque Racconti in Musica del Multiforme Pagano.
Mentre i preparativi per la cerimonia notturna infestavano le genti Maharanas, alcuni musicisti inglesi ospitati da Sir John Brown per tenere un concerto fino alle prime luci dell’alba stavano già scaricando la loro imponente strumentazione dal retro di un vecchio camion Bedford MWD. Il palco era montato al centro della piazza del sacrificio, appena sotto l’ampia tribuna destinata ai sacerdoti. I Black Widow erano una delle band più promettenti d’Inghilterra, con un sound dal volume tonante eppure capaci di insospettabili raffinatezze acustiche.
Inaspettatamente anche un altro gruppo di musicisti britannici era arrivato fino alle remote valli degli Aravalli. Scapigliati e polverosi, erano in tour in India da oltre cinque mesi, al seguito delle truppe del generale Richard Douglas e delle squadre di galeotti impiegati come lavoratori lungo la tratta tra Bombay e Indore. Erano giunti fino a Jaipur via treno, aggrappati sul retro dell’ultimo vagone del convoglio n° 22357, dopo avere gettato strumentazione ed amplificatori sull’instabile copertura della carrozza. La grancassa aveva cominciato a oscillare a Bhopal e appena dopo la stazione di Jhansi era definitivamente precipitata. Il cantante Adrian Hawkins e il chitarrista Rod Roach furono sorpresi di ritrovarla nel carro bestiame della corsa seguente, ripiena di galline in cova.
Assieme al bassista Colin Standring e al batterista Rick Parnell si sistemarono in un piccolo palco di fortuna dalla parte opposta della piazza, praticamente nel mezzo dello spiazzo riservato ai fedeli dell’Asvhameda, proprio di fronte a quello già illuminato dove avrebbero suonato i Black Widow.
Il Principe Viaggiatore moriva dalla curiosità di sapere che cosa li avesse attirati fino lì e fu sorpreso di sapere che da anni il gruppo era sulle trace del vero Sacrificio del Cavallo. Il motivo era semplice quanto perverso: il nome che si erano scelti era Horse e il loro pezzo forte in concerto era un incalzante e teatrale hard rock dal titolo The Sacrifice. Ora avevano l’occasione di sperimentare le loro radici e il loro immaginario come mai avevano sperato.
Durante il sound-check provarono solo un brano, una tetra canzone che parlava di rivoluzioni planetarie prossime venture; il cantante mugugnava quasi nascosto dietro l’amplificatore in una sonnolenta trance che scimmiottava il primo, timido, Jim Morrison, cosa che gli riusciva con una certa grazia decadente. Doveva essere lo stesso effetto morboso e suadente che i Doors ebbero nei loro primi giorni del 1966, al Whisky A Go Go di Los Angeles. Suonata poi in chiusura del concerto, quella stessa Step out of Line si ricoprì di un fascino grunge che avrebbe calzato a pennello addosso a un Mark Lanegan o a un Eddie Vedder. “La rivoluzione è solo una questione di tempo”: a nessuno allora parve una frase incauta, seppure nel cuore profondo del Deccan le fondamenta dell’ultimo grande Impero già scricchiolavano.