Prendi gli Smiths, ci aggiungi i Cure, magari pure un po' di Roxy Music, poi se ne rimangono ci aggiungi ancora gli Smiths, e tanto per non fare le cose troppo retrò, magari un po' noise, chiudi con un po' di Stone Roses. Quello che potrebbe venirne fuori, detto così, sarebbe raccrapicciante, ma se si ascolta Belong dei Pains of Being Pure At Heart, uscito già qualche settimana fa, ci si rende conti che oggigiorno nella musica indie, va bene il vintage, va bene all'opposto la novità, va bene il neo-freak e pure il pop melodico, va bene tutto insomma, ma alla fine a contare è che quella spinta che rende un album degno di essere ascoltato e fatto ripartire una volta finito. Per cui a quel punto, se quella cosa lì succede, se ti accorgi di ascoltarlo da due giorni di fila, poco importa quali siano le influenze, le origini della band, il livello della ricerca o dell'abbandono alle esigenze del commercio: ascolti, ti fai trascinare, non pensi che magari c'è di meglio o che quelle tastiere fanno troppo anni '80 e proprio non ce la vogliamo dimenticare quella malinconia perenne, quell'idefinita nostalgia dei sentimenti che gli Smiths portavano a livelli sublimi. Belong, che è il secondo LP di una band newyorchese fattasi strada a forza di singoli ed EP (e di lodi di Pitchfork, che anche stavolta li ha messi tra i migliori), è un album bellissimo e al tempo stesso scontato. Per una volta, però, ho deciso di fregarmene e di pensare che anche il cuore richiede la sua parte di soddisfazione: per cui, voilà, terzo ascolto del giorno...
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Prendi gli Smiths, ci aggiungi i Cure, magari pure un po' di Roxy Music, poi se ne rimangono ci aggiungi ancora gli Smiths, e tanto per non fare le cose troppo retrò, magari un po' noise, chiudi con un po' di Stone Roses. Quello che potrebbe venirne fuori, detto così, sarebbe raccrapicciante, ma se si ascolta Belong dei Pains of Being Pure At Heart, uscito già qualche settimana fa, ci si rende conti che oggigiorno nella musica indie, va bene il vintage, va bene all'opposto la novità, va bene il neo-freak e pure il pop melodico, va bene tutto insomma, ma alla fine a contare è che quella spinta che rende un album degno di essere ascoltato e fatto ripartire una volta finito. Per cui a quel punto, se quella cosa lì succede, se ti accorgi di ascoltarlo da due giorni di fila, poco importa quali siano le influenze, le origini della band, il livello della ricerca o dell'abbandono alle esigenze del commercio: ascolti, ti fai trascinare, non pensi che magari c'è di meglio o che quelle tastiere fanno troppo anni '80 e proprio non ce la vogliamo dimenticare quella malinconia perenne, quell'idefinita nostalgia dei sentimenti che gli Smiths portavano a livelli sublimi. Belong, che è il secondo LP di una band newyorchese fattasi strada a forza di singoli ed EP (e di lodi di Pitchfork, che anche stavolta li ha messi tra i migliori), è un album bellissimo e al tempo stesso scontato. Per una volta, però, ho deciso di fregarmene e di pensare che anche il cuore richiede la sua parte di soddisfazione: per cui, voilà, terzo ascolto del giorno...
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