L'indagine che ha portato al blitz denominata «Pedro» ricostruisce l'organigramma dei mandamenti di Porta Nuova e Bagheria.
Dall'inchiesta emergono gli stretti rapporti tra i mafiosi di Porta Nuova e le famiglie palermitane di Pagliarelli, Brancaccio, Noce e Tommaso Natale.
Parte dell'indagine riguarda il mandamento di Bagheria: gli investigatori ne hanno individuato i vertici e hanno ricostruito la mappa del racket nella zona, principale attività di guadagno della cosca. L'operazione si è sviluppata attraverso intercettazioni video e audio di oltre 15 mesi, riscontrate anche dalle dichiarazioni dei pentiti.
Ne è venuta fuori una Cosa Nostra particolarmente aggressiva nell'imposizione del pizzo e interessata a mettere le mani sulle attività imprenditoriali.
Dall'inchiesta è emerso anche un ritorno della mafia a investire il denaro sporco nel narcotraffico: i boss acquistavano cocaina da vendere sul mercato siciliano attraverso una rete di spacciatori capillarmente controllata.
Tra i fermati ci sono gli attuali capi dei mandamenti di Porta Nuova e Bagheria. La scelta di un provvedimento d'urgenza come il fermo nasce dall'esigenza di bloccare le attività estorsive della cosca ed evitare danneggiamenti e attentati a imprenditori e commercianti.
A differenza di quanto accaduto in altre indagini, le vittime del pizzo questa volta avrebbero collaborato con gli investigatori.
Ad informare i boss su alcuni movimenti delle forze dell'ordine c'era anche un ex poliziotto.
L'uomo, ormai in pensione da circa un anno, secondo gli investigatori avrebbe fornito a Calogero 'Pietrò Lo Presti, capo del mandamento di Porta Nuova fino al dicembre dell'anno scorso, notizie utili sulle indagini. La 'talpà è uno dei destinatari dei 28 provvedimenti restrittivi emessi dalla Dda di Palermo ed eseguiti all'alba dai carabinieri a Palermo e provincia.
«Le complicità non sono ad un livello istituzionale alto - spiega il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo -. Si tratta di informazioni fornite da un appartenente alle forze dell'ordine, che non rivestiva un grado particolarmente elevato. Purtroppo i contatti impropri sono sempre esistiti e qualcuno che viene meno ai doveri di riservatezza c'è stato sempre. Però - conclude - più che di una nuova stagione di servitori infedeli dello Stato, direi che è l'ulteriore conferma del fatto che in tutti le Istituzioni può sempre esserci qualche elemento infedele».
La pentita Monica Vitale, che ha contribuito all'indagine antimafia che ha portato in cella 28 persone, racconta di avere saputo da Gaspare Parisi, suo compagno e reggente della «famiglia» di Porta Nuova, i dettagli della cerimonia.
«Mi ha raccontato Parisi - dice la donna ai pm - su questo signore (Calogero Lo Presti, capo del mandamento, ndr), mi ha detto che è stato lui a battezzarlo insieme a Masino Di Giovanni nel suo garage di appartenenza in via Danisinni. Parisi prima del battesimo mi aveva chiesto di accompagnarlo a comprare un vestito da cerimonia, perchè loro mettono il vestito da cerimonia e io stessa gli ho detto che mi seccava, perchè a me non piace, se mi devo andare a comprare un jeans va bene, ma un vestito da cerimonia no».
«Gli ho detto: no, mi secca gli ho detto a cosa gli serviva e lui mi ha detto: niente, perchè tra poco mi battezzano. - prosegue - Gli ho fatto i miei auguri anche se ero contraria, perchè lo so che dopo il battesimo non si può più uscire da questa strada tranne se non prendi altre strade... la cerimonia è avvenuta a pranzo, perchè l'hanno fatta a pranzo, dove arrostiscono dopo il battesimo, fanno festa...
parlandone con Parisi si parlava di questo, è normale che stringono una santa, lo pungono, con chi lo battezza io ero curiosa alla cosa e lui mi ha detto che avviene che si mette il capomandamento e altri capimandamenti, capifamiglia e chi lo battezza si ci mette accanto, prende sta santina, la brucia, poi lo punge, si si mettono a contatto o le dita o i polsi, quello che pungono, si baciano in bocca, dove viene detta una frase, però non lo so la frase questo è il battesimo».