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La stessa Sava, una decina di giorni fa, al suo arrivo in ufficio, aveva trovato la porta aperta. Ieri mattina a dare l'allarme è stata invece una dipendente dell'impresa di pulizie che lavora al palazzo di Giustizia, accortasi dei fili tagliati, della centralina aperta e dei collegamenti avvolti dal nastro adesivo. Stando ai controlli effettuati, dalla stanza non sarebbero stati sottratti né i computer né gli incartamenti su cui stava lavorando il pubblico ministero, motivo per cui sembra avvalorarsi la tesi delle minacce.
Il pm è infatti titolare di numerose inchieste importanti in ambito mafioso, tra cui spicca quella sulla trattativa tra Stato e Cosa nostra.
«È sicuramente una circostanza inquietante, che richiama alla mente episodi lontani» - ha commentato Antonio Ingroia, fino a qualche tempo fa “titolare” proprio dell'ufficio in cui oggi lavora la dottoressa Sava - «non sappiamo ancora chi sia tra me e la collega Sava l'obbiettivo delle microspie illegali. Potrei dire che nonostante le possibili intercettazioni noi non abbiamo niente da nascondere, ma in realtà non è proprio così, dato che utilizziamo i telefoni degli uffici nelle attività d'indagine che ovviamente sono segretissime. In ogni caso quando ci occupiamo di inchieste delicate mettiamo in conto tutto, anche che si arrivi a spiare illegalmente un procuratore della Dda».
«Un avvenimento» - ha poi aggiunto il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo - «che sottolinea una volta di più quanto il palazzo di giustizia sia carente in fatto di sicurezza. Si tratta di uno stabile costruito con criteri diversi da quelli odierni, dove purtroppo non c'è una sorveglianza video interna. Abbiamo più volte richiesto misure adeguate che però per motivi finanziari non sono state ancora concesse».
Alla luce di quanto è avvenuto nei giorni scorsi, viene da chiedersi quanto sia stato fatto negli ultimi mesi se già il “processo-Cuffaro” prevedeva, tra le varie voci di indagine, proprio quella delle “talpe alla Dda”.