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"Pali" di Spiro Scimone e di Francesco Sframeli

Creato il 27 febbraio 2010 da Patriziacaffiero

Up patriots to arms, engagez-vous

la musica contemporanea, mi butta giù

(Franco Battiato)

 

Al Testoni di Casalecchio di Reno, ho visto stasera Pali.

Con quattro attori, una recitazione  efficacemente gridata (a ogni personaggio è riservato un diverso modo di emettere la voce che lo caratterizza),  in modo da aggirare il pericolo di qualsiasi birignao,  l'ottimo testo di Scimone analizza l'oggi.  

Fotografa, registra la realtà, l'Italia.  Con riferimenti dettagliati al presente, descrivendo persino il premier in modo diretto, pur senza nominarlo.

Allude al precariato.  Accenna  all'impotenza dei sindacati, racconta la quasi definitiva scomparsa delle lotte sociali dopo il crollo del principio della solidarietà (stringersi la mano, darsi la mano).

Il rimando pasoliniano è evidente nella splendida  scenografia di Lino Fiorito, di cui fanno parte gli attori stessi come cinèmi  di un'installazione/performance.

La scena è citazione (di una citazione) della crocifissione della Ricotta; a Pasolini si pensa anche per la scelta dei personaggi , i non vincenti del sociale, simboli di tutti gli altri marginali che sopravvivono nell'interzona dei Nuovi Poteri;  la Bruciata ricorda la serva di Teorema, salva grazie al suo mantenuto legame con una fede cristiana arcaica (il formidabile tormentone Padre, ascoltalo!)

Di più: il pensiero di Pasolini sottende eticamente tutta la sceneggiatura,  si evince da un'apparentemente innocente  battuta dei dialoghetti, ripetuta due volte dall'operaio Senzamani. E' la risposta all'evocazione da parte della credente Bruciata di un redentore, di qualcuno che risolva la situazione e trasformi il fango in oro.

- Si deve fare da soli- esclama Senzamani.

Vengono in mente i decennali, ormai, leit-motiv degli intellettuali di sinistra, la loro attesa di una figura nuova, che redima palingeneticamente il paese; dimenticando che proprio a loro dovrebbe spettare il lavoro di restituire un senso.

Pasolini aveva più volte ripetuto che la rivoluzione si deve fare da soli, citando Sciascia; e Scimone conosce bene quell'affermazione, che può suonare come segno di disfatta e presa d'atto dell'assenza di un deus ex machina ideologico; ma letta al rovescio, è anche un manifesto, un annuncio di resistenza ad oltranza.  

Si deve fare da soli, o in pochi, si deve fare e si fa con un piccolo gruppo,  per esempio con questa  compagnia che ha vinto anche il più prestigioso premio teatrale italiano, l'Ubu 2009 come Migliore Novità Italiana.

Chi rifiuta di mangiare merda, di piegare la testa in spersonalizzanti impieghi con disumanizzanti orari di lavoro si rifugia sui pali, solleva il proprio punto di vista e riconosce in chi si arrampica sui pali i propri alleati.

 Oppure incita altri a issarsi su altri pali rimasti liberi. Il palo definisce la ricerca di una propria identità che va costruita senza il supporto dei tralicci delle ideologie e strappandosi dalle influenze  esterne/interne omologanti.  

Con un passaggio astratto il supporto ligneo che dava origine alla croce di Cristo, vissuta  nella carne dalla Bruciata e dell'operaio ferito si trasforma in un simbolo quasi totemico di elevazione delle coscienze, che evoca la tentata liberazione dai condizionamenti  di un Italia antropologicamente e socialmente alla deriva.

Bellissimo lavoro.

 Questo articolo è presente anche in Arstuavitamea

Pali, testo di Spiro Scimone regia: Francesco Sframeli  con: Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Salvatore Arena, Gianluca Cesale  scene e costumi: Lino Fiorito disegno luci: Beatrice Ficalbi

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