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Palle Australiane - e arbitrali

Creato il 09 ottobre 2011 da Rightrugby

Palle Australiane - e arbitrali Westpac Stadium, Wellington

Australia 11 - 9 South Africa

Attendance: 34.914  - Half-time: 8 - 3

Tries: Horwill
Pens: O'Connor 2Pens: Steyn 2
Drops: Steyn


C'è una cosa che dobbiamo ai nostri lettori e a noi stessi: dovremmo chiedervi scusa dopo questa partita. Scusa per aver sempre sostenuto che nel rugby vince sempre il migliore di giornata, che l'arbitraggio può a volte risultare inconsistente, anche dannoso ma mai fino al punto da rovesciare il risultato sul campo. Bene, oggi  invece è avvenuto.
Ci salva il nostro aver da tempo apertamente declassificato le litanìe "l'arbitro nel rugby non si discute mai", perdonabili solo a chi non abbia mai frequentato uno spogliatoio infangato o soffra di sensi di inferiorità e di rivincita psicologica nei confronti del calcio.
Per quanto ci riguarda non faremo eccezioni neppure questa volta, nel considerare non discutibile il risultato finale sul campo (non l'arbitraggio); a costo di provare ad arrampicarci sugli specchi come fa coach Robbie Deans a fine gara: "i mei ragazzi han dato prova di maturità oggi", o capitan Horwill: "In partite come questa devi cercarti la tua strada verso la vittoria, per trovare la nostra c'è voluto un sacco di "guts" (che in italiano corrente si traduce "palle"). Palle appunto: l'unica non palla la dice Deans quando definisce epica la partita. Peter de Villiers invece non parla: presenta direttamente le sue dimissioni, punto e fine della discussione.
E' difficile far la cronaca di una partita che presenta come punti cardinali solo una meta non trasformata e due punizioni centrate da una parte, due punizioni piazzate su quattro tentate e un drop dall'altra, eppure densissima di gioco, di scontri, di ruck e di ritmo. Una partita assolutamente sudafricana nell'impianto, dominata non solo nelle statistiche ma anche nell'impostazione stessa, in cui i Wallabies han dato sovente l'impressione di star per esalare l'ultimo respiro, in specie dal 50', all'ingresso del duo risolvi-problemi Bismark Du Plessis e Francois Hougaard. Con loro, se prima la partita era già a senso unico, è diventata leoni contro martiri cristiani al Colosseo.
Ci limitiamo a passare velocemente in rassegna i momenti topici, prima di lanciarci nell'analisi.
Già dai primi minuti il pallino è saldamente in mano sudafricana, con Shalk Burger impressionante per workload nel portar palla, coi soliti errori e palle perse abbastanza inevitabili con quel tipo di gioco abrasivo per tutti. Il piede di Quade Cooper è chiamato spesso a togliere le castagne dal fuoco. I Wallabies comunque non dormono, da aquile abituate a volar alte ed eleganti si trasformano in avvoltoi pronti ad avventarsi su ogni palla di recupero dalla spazzatura, come accade al 12' quando dalla solita rimessa laterale superbamente vinta da Matfield vien lanciato Burger, il quale placcato da dietro da Genia perde palla, questa rotola a McCabe che lancia in meta Horwill. E' 5-0, O'Connor fallisce la trasformazione con l'arbitro a ignorare che JP Pietersen disturbi il calciatore mentre si prepara.
Subito dopo la più limpida opportunità di tutta la partita per i Wallabies: Beale semina la linea, lancia nello spazio Moore, ma Burger in recupero prodigioso lo blocca. Poco dopo Morné Steyn falliva un tentativo di piazzare da metà campo. I tre punti arrivavano solo al 38', nel momento di maggior pressione dei Boks, potenti e decisi ma anche imprecisi. Il massimo dell'avvicinamento è un centimetro dal palo a suon di pick and go, ma da sotto il mucchio spunta la manina (di Elsom?) a spinger palla fuori dalla parte sua. Per l'arbitro tutto bene.
Un aspetto che emerge già nel primo tempo è la pressione terrificante che i Boks attuano su Will Genia, ritenuto a ragione il playmaker, difatti riescono con successo a spegnerlo per tutta la partita. Quanto a Quade Cooper, ci pensa da solo: troppo complesso nelle scelte, sempre dettate dal criterio della spettacolarità più che dell'utilità. A tempo scaduto, Steyn prova ancora da metà campo angolato ma solo perchè non ci sono alternative, sarebbe stato problematico anche per l'altro Steyn.
La sensazione nonostante il punteggio di 8-3 all'intervallo è chiara per tutti, che il tempo che passa sgretoli le opzioni dei Wallabies, stile lavoro ai fianchi nel pugilato.
Il secondo tempo è un incubo per i Wallabies schiacciati sempre più nella metà campo, nonostante qualche tentativo di Digby Ioane, gestito senza panico dai Boks. L'ultima spiaggia è sempre Pocock, che anche all'inizio del tempo strappa un possesso vitale a Pietersen. Il punto non è il suo lavoro sempre molto limpido e fatto in piedi: è quel che fanno tutti gli altri suoi compagni di pack prima (non rotolando via), durante (manine e piedini qua e là) e dopo ogni punto di contatto. Lasciando pur perdere i placcaggi alti (come quello in foto) che tanto i Boks mica s'intimidiscono. I sudafricani come sempre vogliono vincere contro tutto e tutti: non c'era nessun Settimo Cavalleggeri in soccorso ai loro avi, quando cercavano terre sul Veld in mezzo a tribù ostili.
Si mette in grande evidenza il ventene Patrick Lambie, mai una palla o una presa aerea sprecata. Novello Frans Steyn, tenta anche il drop da metà campo, sfortunato di poco. Al 52' un volonteroso e impavido Habana cede il posto a Hougaard e il positivo John Smit lascia per Bismark: escono le tigri, entrano gli orsi Grizzly. Pochi minuti dopo un offside particolarmente vistoso (a Lawrence va ben tutto) procura a Steyn la punizione per l' 8-6; tre minuti dopo il drop del sorpasso 9-8. Con venti minuti ancora da giocare, le lingue Aussie tutte fuori e McCabe portato fuori col cucchiaino, nemmeno la mamma di Robbie Deans può pensare che i Boks non marcheranno almeno una meta.
Il patatrac non è a 10 minuti dalla fine, quella è una conseguenza; il punto è che i Boks non riescono a traduree un dominio sempre più imbarazzante in punti, fermati da qualche magia di Pocock e più spesso da un arbitraggio diciamo molto lasco. Quando Barnes riesce a portare a pedate i suoi nella metà campo dei Boks, s'avvera il miracolo: Matfield e Roussow commettono fallo su Samo in aria, Lawrence si perde pure questa  - lo vedi? Tutto sommato lui sarebbe consistente nel suo lassismo - ma non il guardalinee Poite, che lo avvisa. E O'Connor  punisce la tracotanza degli Afrikaner che ci credevano d'aver già conquistato l'Altipiano Westpac di Wellington. I Wallabies son talmente a pezzi che manco riescono a controllar palla nel finale, esponendosi a un ritorno sudafricano che si fa minaccioso, ma alla fine arriva la solita palla persa alla dodicesima ora, pardon fase a risolvere la questione.
Mai dire gatto, Maramao perché sei morto/pane e vin non ti mancavan, ce ne sarebbero tante di filastrocche che vengono in mente a questo punto.
Iniziamo l'analisi con la questione arbitrale: l'ineffabile Lawrence, ironia della sorte molto criticato dalla stampa australiana prima della partita. Da noi gode di una certa popolarità, dopotutto fu l'arbitro dell'ultimo Italia-Francia ... Si è quello che fa rifar la mischia ordinata cinque, sei volte, che la fa giocare a prime linee collassate purché la palla ne esca. Oggi non è la mischia in questione ma qualcosa di ancora più cruciale, inerente al gioco dinamico: il punto di incontro, dove i corpi s'intrecciano a caccia dell'ovale. Guarda caso, l'aspetto fondamentale del gioco fisico sudafricano. Non lo faremo con parole nostre, potrebbero risultare troppo pesanti; anche per didattica, tradurremo lo sprezzante sarcasmo  di Mark Reason che sul Telegraph di Londra - non di Johannesburgh - scrive: "Gli Aussies hanno già fatto diventare un arbitro neozelandese  - Steve Walsh - uno di loro. Lawrence potrebbe essere il prossimo, s'è guadagnato la cittadinanza onoraria". Speriamo che i Gran Sacerdoti del rugby de'noantri non si straccino le vesti, scandalizzati da cotanto ardire ..
"I sudafricani credevano che il placcatore dovesse mollare il portatore di palla", spiega Reason, "Erano convinti che il fuorigioco andasse rispettato. Pensavano che si dovesse giocare rimanendo in piedi". E insiste: "Quella che poteva essere una grande partita di rugby è diventata un gran casino, perché Lawrence non ha saputo gestire il punto di incontro". Il messaggio da Londra alle nostre verginelle di provincia: "Le partite vengono influenzate più sovente di quanto si pensi dall'incapacità dell'arbitro a chiarire l'area del contatto". Il suo auspicio sarebbe "che gente con maggior familiarità alle regole – cioè gli arbitri Sudafricani e quelli dell'Emisfero Nord – fossero chiamati ad arbitrare le partite finali". Concludendo, riguardo la partita odierna: "I sudafricani si sentiranno presi in giro. E avranno tutto il diritto di lagnarsi".
Chiudiamo la parentesi e vediamola in positivo. Due gli eroi della giornata: James O'Connor, un ventiduenne col sangue freddo di un veterano (del resto di caps ne ha già accumulati parecchi), non solo per aver centrato il calcio di punizione decisivo a dieci minuti dalla fine, ma per essere entrato in un modo o nell'altro in quasi tutto quel poco di buono che i Wallabies son riusciti a produrre oggi; l'altro è  David Pocock, senza più dubbi il singolo atleta maggiormente dominante nel gioco e influente nei risultati oggi.
Un altro da elogiare è Berrick Barnes: ha toccato un solo pallone calciandolo perfettamente e in direzione inattesa, consentendo ai suoi di uscire dalla metà campo forse per la prima volta nel secondo tempo. Oggi rappresenta una sicurezza rispetto al balbettante Quade Cooper beccato dal pubblico; non ci stupiremmo anzi apprezzeremmo se Deans desse al primo una chance all'apertura al posto del secondo, in semifinale.
L'altro elemento vincente per i Wallabies è stato la mancanza di cinismo e concretezza degli Springboks. Una volta appurato che produrre gioco multifase insistito oltre un certo limite era rischioso, per via di Pocock e di Lawrence, i Boks avrebbero dovuto farsi più umili e prudenti, invece di godersi il gioco del gatto col topo. Bastava recuperare "filologicamente" antiche pratiche Boks - e Boreali - non risalenti al 2007 ma al secolo scorso, quando le difese ermetiche confinate nella propria metà campo s'allargavano con quattro o cinque drop in fila, non uno solo! Va ben fisicità, va ben non dare via il possesso, ma si fan quattro, cinque fasi alla volta, non nove o più! L'aver scordato tali sane, umili, ruspanti pratiche di un tempo è l'errore fatale nell'economia della partita odierna. Ne avessero provati quattro di drop e centrati solo due, i Boks avrebbero vinto; dirò di più, avrebbero pure prodotto due mete as a byproduct, vista la capacità di mettere pressione sui tentativi di alleggerimento dei Wallabies.
A considerare le performance di squadra - e questo è uno sport di squadra - c'è invece da tornar negativi: ne risulta la foto di una delle partite più a senso unico della storia del rugby di alto livello. A favore, ma che dico, a larghissimo favore della squadra perdente ci sono tutte le statistiche nessuna esclusa: possesso, territorio ( a livelli di 80%), mischie, gioco tattico, metri guadagnati, breakdown vinti, rimesse laterali (19 di cui 5 rubate per i Boks), pressione (oltre 145 placcaggi australiani contro 56 sudafricani) etc.etc.
Succede a volte anche nel rugby, e la colpa va certamente alla incapacità di finalizzare; ma non s'era mai visto nulla di simile prima d'ora, in termini di dimensioni del vantaggio e di importanza della posta in palio.
Tant'è, questa very ugly win potrebbe risultare un bel carburante per i Wallabies nella semifinale con gli All Blacks. Certo è che il Mondiale ha perso forse l'unica forza che con la sua ruvida determinazione, assieme alla imprevedibilità francese, poteva forse mettere in crisi i padroni di casa. Questi Ozzy non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelli di Brisbane. Non con questo Quade Cooper e pur con questo David Pocock.

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