Tutti sicuramente ricorderanno cosa accadde l’11 novembre del 1981 a Fasano. E’ uno dei femminicidi più terribili quello della quattordicenne Palmina Martinelli, sesta di undici figli, piena di tanti sogni che però ha dovuto abbandonare gli studi in quarta elementare perché doveva badare ai suoi fratelli minori, come era usanza per le femmine in alcuni contesti del Sud.
Il suo corpicino bruciava ancora quando il fratello Antonio rincasava quel pomeriggio. Cercava di spegnere le fiamme ma purtroppo per una strana coincidenza l’acqua al paese mancava. Presso il Centro Grandi Ustionati del policlinico di Bari, dove fu trasportata per ustioni gravissime in 70% del corpo completamente sfigurato dalle fiamme, Palmina Martinelli con un filo di voce rilasciò le sue ultime dichiarazioni alla presenza del pubblico ministero Nicola Magrone e del dott. Tommaso Fiore, responsabile del centro. Le sue parole vennero trascritte a verbale e registrate anche su nastro magnetico. Palmina racconta che volevano farla prostituire e rispose, sussurrando con tutta la voce che le era rimasta, alle domande degli inquirenti: “Chi ti ha fatto del male?”. “Giovanni, Enrico”, disse. “Puoi dire anche il cognome di queste persone?’ “Uno Costantino. [l'altro ndr] non lo so”. “Cosa ti hanno fatto queste persone?”. “Alcol e fiammifero”.
Sono stata male dopo aver sentito il respiro di Palmina, quando rilasciava le sue ultime dichiarazioni, che rivelava la profonda sofferenza che la bambina ha dovuto subire. La sua fu un’agonia lunga e dolorosa durata ben ventidue giorni.
Se è insopportabile immaginare l’agonia di una bambina sottratta ingiustamente alla sua vita ben peggio da sopportare è l’idea che i suoi assassini sono ancora liberi. Sì liberi, perché furono assolti e il caso, archiviato come un suicidio. Il processo davanti alla Corte d’Assise di Bari iniziò il 28 novembre del 1983 e si concluse il 22 dicembre dello stesso anno con l’assoluzione degli imputati principali per insufficienza di prove. La Corte, per esclusione, avvalorò l’ipotesi del suicidio, sostenuta anche da una lettera lasciata da Palmina sul tavolo della cucina di casa e così interpretata: “Depressa per come veniva trattata in famiglia, avrebbe scritto una lettera di addio alla madre e si sarebbe suicidata dandosi fuoco da sola“. L’assoluzione ha ucciso due volte Palmina malgrado gli sforzi per pronunciare i nomi dei colpevoli e la sua agonia. Uccisa due volte perché fu perfino additata come una calunniatrice e “processata” al loro posto. Perché non le hanno creduto?
Pare che i colpevoli fossero legati alla mafia e avrebbero ridotto in schiavitù sessuale altre donne intorno a loro. Giovanni Costantino, uno dei due uomini indicati da Palmina era il ragazzo di cui lei era innamorata. All’epoca dei fatti aveva 19 anni, faceva il militare a Mestre e Palmina gli scriveva delle lettere d’amore. Costantino era già stato in carcere e con il fratellastro Enrico Bernardi avviava ragazzine alla prostituzione. La sorella maggiore di Palmina, Franca, allora quindicenne, aveva subìto questo destino: era andata a vivere con Enrico e la madre del giovane (che si prostituiva) in una chiesa sconsacrata e dopo aver dato alla luce una bambina, venne ridotta in schiavitù e costretta a prostituirsi. Perché di schiavitù si trattava. Franca, infatti, fu marchiata come le mucche e costretta con le botte a soddisfare gli uomini.
Intanto Palmina era diventata una bella adolescente e c’è chi puntata a sfruttarne l’occasione per appropriarsi del suo corpo, che era suo, ma i suoi aguzzini pensavano di poterne disporne come volevano, poiché probabilmente non riconoscevano che le appartenesse. Perché Palmina fu una delle vittime di una società patriarcale che considera le donne dei meri oggetti sessuali. Vittima di un sistema maschilista che marchia le donne come “puttane” e si sa che nei sistemi maschilisti, molto spesso, se ti appioppano quella nomea, tutti finiscono per crederci veramente in quanto nati in un sistema dove le donne sono considerate puttane; inoltre tra questi ci sarà sempre qualcuno che prima o poi vorrebbe disporre del tuo corpo, un pò come è successo alla piccola Desirée che molti consideravano di “facili costumi” incitando la furia omicida di quelle belve.
Così fu anche qui. In paese, infatti, un suo coetaneo, Bruno, sparse delle voci sulla povera Palmina, vantandosi di essersela portata a letto (QUI fonti). Il giorno dell’omicidio Palmina affronta il ragazzo davanti alla Chiesa dove frequentava con lui il catechismo. Il padre e il cognato anziché difenderla la schiaffeggiarono e la riportano a casa, luogo dove subirà l’esecuzione da parte di Giovanni ed Enrico.
“Se Palmina fosse viva sarebbe stata condannata per calunnia”, dichiara l’avvocato Chiriatti. Nella denuncia presentata recentemente da Giacomina Martinelli, assistita dall’avvocato Stefano Chiriatti, sottolinea vari aspetti per i quali Palmina è stata uccisa: c’è una perizia che l’anatomopatologo Vittorio Pesce Delfino, docente nell’Università di Bari, ha compiuto nel laboratorio della Società Consortile Digamma, sulle ustioni di Palmina.
«Il volto di Palmina era protetto – dichiara su scritto Pesce Delfino – con entrambe le mani prima dello sviluppo della vampata e quindi dell’innesco dell’incendio. L’incendio fu quindi provocato da altri».
Inoltre Palmina fu costretta a scrivere il biglietto con il quale dava l’addio alla famiglia. La grafia con cui avrebbe scritto la parola “per sempre” sarebbe diversa da quella della ragazza e la firma si presentava estesa anziché con la “P.” puntata come abitualmente Palmina usava per firmare. Il suicidio quindi è escluso. Anche i familiari della giovane che da 30 anni chiedono giustizia non hanno mai creduto a questa versione. Accusare una ragazzina di suicidio per omertà tutta patriarcale dovrebbe fare indignare e riflettere in che razza di paese viviamo. Perlomeno qualcuna ha trovato il coraggio di scappare. Recentemente emergerebbe la figura di Maria Apruzzese, all’epoca sua compagna di classe, la quale dichiarò che Palmina voleva solo scappare dalla famiglia, mentre quest’ultima dal’Istituto che assieme frequentavano. Insomma cose tipiche d’adolescenti, non avrebbe mai pensato di uccidersi. La donna ormai adulta racconta che per lo choc è scappata dall’Italia e non ha mai voluto far ritorno in Italia per 20 anni.
Tutti sanno qual’è la verità, Palmina è stata uccisa, uccisa dalla mafia, uccisa perché femmina. Sono trent’anni che questa bambina e la sua famiglia non hanno avuto giustizia. Certo non servirà a portarla in vita ma sapere che gli assassini sono liberi significa ammazzare ancora una volta Palmina. Il caso dev’essere riaperto subito.
Il Paese intanto la ricorda, intitolando a suo nome una strada. La targa toponomastica è stata scoperta, il 23 aprile scorso, dal sindaco Lello Di Bari, medico che era stato tra i primi soccorritori di Palmina. Alla cerimonia c’erano anche i ragazzi dell’associazione antimafia Libera che da qualche anno ha inserito Palmina nell’elenco delle persone vittime di omertà e di mafia (Qui): “Largo Palmina Martinelli: vittima della violenza e del degrado sociale, 1967-1981”, si legge.