Se capita che la realtà dei fatti è molto più simile ad una favola; se accade che a stupire è un materiale antico, se succede che l’empatia è immediata …….
C’è una principessa di nome Sara e il suo principe Massimo, vivono in un Cas(t)iello che lui ha tornito con grande maestria;
ogni oggetto ha preso forma dalle sue mani; acero, cedro, ulivo, tanganika, mogano, wengè e okumè sono i legni pregiati che ha usato per realizzare gli oggetti del loro regno, onorando la lunga tradizione dei suoi conterranei.
Ci sono magia e calore nei manufatti e l’armonia delle forme esprime la cura e l’attenzione che Massimo dedica a realizzarle.
“Il legno rivela ogni volta la sua naturale e sempre sorprendente bellezza”
Questa è la mia storia ma Massimo e Sara esistono davvero, li ho incontrati a Metaponto.
Massimo era impegnato a preparare un timbro del pane, motivo per cui è stata la mia prima tappa all’interno dello stand che raccoglieva i produttori Lucani; quando ho visto il banco con sopra un grande pane di Matera e i suoi timbri di legno, l’emozione mi ha pervaso, ancora di più ad ascoltare Sara che introduceva la storia di questo simbolo nella tradizione della murgia materana.
Ringrazio di cuore Sara e Massimo per il meraviglioso regalo.
Passa a trovarli e resterai affascinata e rapita dalle storie che ogni opera trasporta;
L’analogia con la Pintadera sarda, l’antico strumento per segnare e marcare il pane, è motivo di gemellaggio e il pane è l’anello di congiunzione tra le due tradizioni.
Il timbro del pane sembra avere avuto la sua maggiore diffusione e utilizzo nelle regioni del sud dell’Italia; le famiglie confezionavano il pane che per la cottura veniva affidato ai forni pubblici, il cui uso misto non permetteva il riconoscimento del proprio pane e così si rese indispensabile “segnare” le pagnotte a crudo per identificarne l’appartenenza. A questo oggetto venne attribuita una funzione apotropaica, atta cioè a scongiurare, allontanare o annullare influssi maligni, così come la pratica dell’incisione a croce sulla superfice del pane, che in realtà serve a favorire la lievitazione.
Quando la gastronomia apre le stanze della storia, ricercando nel proprio passato i piatti semplici e poveri della tradizione, è inevitabile parlare del pane, che in alcuni casi era considerato anche moneta.La mia pintadera, un regalo che ho molto apprezzato da parte di mia nipote Valeria, è appesa alla parete di casa come simbolo di buona fortuna; questo è la sua storia:la civiltà Nuragica, fra le più antiche e importanti, nata ed evolutasi in Sardegna in un periodo di tempo che va dall’età del Bronzo (dal 1700 a.C.) al II secolo a.C. ha lasciato traccia indelebile pur convivendo con le successive civiltà arrivate nell’isola: i dolmen, i menhir e le Domus de Janas ne sono la testimonianza.Tra i reperti, rinvenuti un po’ in tutta l’Isola, ci sono dei dischi circolari, sia in terracotta che in bronzo, con una delle facciate incise con una sequenza di disegni geometrici, convergenti su un punto centrale; alcune di queste avevano da una parte una specie di manico che faceva presumere fosse uno strumento adatto a “marcare” qualcosa, sono state chiamate subito “Pintadere”.Il nome ha derivazione Spagnola (da pintado, dipinto), nome dato a oggetti che servivano per imprimere delle decorazioni, dei marchi, in particolare sui dolci, sul pane e sui tessuti; un gran numero ne sono state rinvenute in quasi tutto il territorio: alcune antichissime, risalenti al primo periodo nuragico, altre, successive, fino al medioevo ma altrettanto interessanti.Si è arrivati alla teoria più acrreditata che fosse un semplice marchio, per identificare manufatti di grande preziosità come il pane, da cui è derivato anche il termine più specifico “pintapane”.
Altre ipotesi, come quella che potesse rappresentare antichi calendari o segnatempo, o come recentemente emerso,che fossero calendario lunare e solare, sono motivo di interesse e di studio, che creano, intorno a questo oggetto, fascino e mistero. La “Pintadera” più famosa è stata rinvenuta presso il Nuraghe “Santu Antine” di Torralba, e credo si possa definire il simbolo che identifica le mie radici sarde.
biscotti alla zucca, rosmarino e pepe
Mi sono fatta ispirare dalla ricetta di Sonia che ha realizzato dei biscotti così invitanti che stavo per addentare la fotografia
mi sono decisa a prepararli con qualche modificaoccorrente per trenta biscotti con l’impastatrice:
500 g di zucca (pesata con la buccia)
1 rametto di rosmarino
150 g di zucchero a velo
150 g di burro a temperatura ambiente
3 uova a temperatura ambiente
600 g di farina Solina tipo 1
50gr di fecola di patate
150 g di uvetta
un cucchiaino di spezie miste macinate: anice, cannella, semi di finocchio, chiodi di garofano e pepe nero – in parti uguali -
35gr di lievito madre senza rinfresco
un pizzico di sale
zucchero a velo
teglia con carta da forno alimentare
prepara il forno a 200°
- ho pulito la zucca dalla buccia e poi l’ho tagliata a piccoli pezzi regolari
- in un piccolo tegame con coperchio e dai bordi alti, ho messo il rosmarino e la zucca, a fiamma media ho lasciato cuocere per 20 minuti circa; a fine cottura ho eliminato il rosmarino, ho schiacciato la polpa della zucca con la forchetta, grossolanamente
- ho impastato il burro con lo zucchero per circa dieci minuti lasciando che incorporasse più aria possibile, fino a quando la massa ha cambiato colore schiarendosi; ho aggiunto due uova e quando si sono amalgamate all’impasto ho unito il lievito madre, le spezie e ho impastato fino al completo scioglimento del lievito
- ho unito un terzo della farina setacciata, la polpa fredda della zucca, il sale e ho impastato per qualche minuto a bassa velocità
- per terminare ho aggiunto il sale, l’ultimo uovo, e dopo due minuti ho versato la farina restante che ho incorporato con il leccapentola, delicatamente dal basso verso l’alto per non smontare il composto
- mentre l’impasto riposava per trenta minuti, sono andata a fare una passeggiata che non renderà i biscotti straordinari ma a me, ha fatto molto piacere camminare sul lungomare, mano nella mano con il tuttopensare
- ripreso l’impasto ho realizzato, con l’aiuto di un cucchiaio, tante palline spolverizzate di zucchero a velo sulle quali ho impresso il timbro, le ho disposte sulla teglia foderata di carta e sono finite in forno per 20 minuti
- dopo aver sfornato e lasciato raffreddare i biscotti, li ho spolverizzati con lo zucchero a velo; tra questi due passaggi non ho saputo resistere alla tentazione, ho diviso l’assaggio con la mia metà, che aspettava incuriosito l’esito della sua collaborazione (lui ha timbrato i biscotti)