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Pane, fatica e…vittorie.

Creato il 27 agosto 2014 da Emialzosuipedali @MiriamTerruzzi

La felicità è vera soltanto se condivisa” scriveva Chris McCandless che, pur desiderando la compagnia degli amici, amava anche stare da solo. Chi può dire se il ciclismo sia uno sport individuale o di gruppo? E’ un impasto che non può avere definizione perché si è soli e insieme allo stesso tempo. E forse, quando si è soli, non lo si è mai veramente. La strada è un collante potente, anche per quelli che sono distanti chilometri, o arrivano con distacchi in minuti.

Mancano forse cinquecento metri quando John Degenkolb sguscia fuori dalla ruota di Matteo Pelucchi che sta andando verso il traguardo. Un missile che si mangia in progressione tutto quello che resta prima della linea bianca. E’ sua, finalmente. Ci sono quasi quaranta gradi a Cordoba e a noi che elemosiniamo un po’ di sole in questa fredda estate, sembra quasi non vero che serva così tanta acqua per placare la calura. Gli altri velocisti si sono staccati sull’ultima salita: troppo caldo e troppa stanchezza per chi ha la dote di volare negli sprint e la croce di soffrire la strada che sale. John invece è uno di quelli che sa andare veloce e che si è fatto la corazza anche contro le salite. L’arrivo è una liberazione: un sorriso, le braccia che si alzano e ricadono lungo i fianchi. Quelli che arrivano dopo sono attori liberi di improvvisare. Il sipario, oramai, è aperto, qualcuno si è già preso la tappa, qualcun altro si è ingoiato l’amarezza di un piazzamento. Gli altri arrivano e sono sé stessi: felici, stanchi, sudati, delusi, assetati. Tra questi c’è un compagno di Degenkolb. Sa della volata, sa della vittoria. E questo basta. Sorride e si porta le mani sul casco, esulta come se quel traguardo fosse suo. Perché il ciclismo di solito non è uno sport da egoisti. Si divide il pane, la fatica e anche le vittorie. E’ l’individuo e la squadra assieme, che si scompone e si ricompone, senza dividersi
Si avvicina alle transenne, ride, tende la mano e di riflesso tutti quelli del pubblico gli battono il cinque. Non credo di aver mai visto qualcuno così felice di una felicità altrui. Per qualche metro continua così: si beve il chiasso del pubblico, tocca mille di quelle mani che si tendono.

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Poi passa sotto il traguardo e raggiunge gli altri. Ci sono piccole cose che spiegano più di quelle grandi. Quello che succede in gruppo è come un filo che, riavvolgendolo, racconta lo spirito di questo sport. Fino in fondo. 

Ieri sera Francesco Lasca ha ringraziato i suoi compagni per averlo portato fino al traguardo con premura. Non gli hanno mai fatto mancare l’acqua fresca nella borraccia e hanno avuto fiducia in lui, nelle sue possibilità di arrivare per primo sulla linea bianca. Certe volte non si può ripagare questo lavoro costante perché le gambe dettano una legge tutta loro, più aspra di quella del gruppo, ma la verità è che ci sono così tanti mondi, così tante storie, che ognuna acquista un valore particolare. Quella di Francesco e dei suoi compagni, quella di John e della felicità altrui, forse sono più simili di quello che si può pensare. Tutte e due hanno la loro linfa vitale nella condivisione. Non si può scappare da questo: una gara, per tutti quei chilometri, non è altro che un pezzo di vita durante la quale sei quasi costretto a viaggiare assieme. I compagni diventano alleati. Non solo per il sogno comune del traguardo ma anche per tutto quello che c’è prima. Passare una borraccia, un gel, una mantellina o anche solo chiedere: “E’ tutto a posto?”. Il capitano coi gregari, i gregari con il capitano. Perché uno ha bisogno dell’altro, in questo strano giro dove in bicicletta si sta da soli ma anche in gruppo. Si spezza il pane, si spezza la fatica. E pure la vittoria.

Non so se nella vita siamo così generosi. Forse aveva ragione Alfredo Martini quando diceva di voler assegnare il Nobel per la Pace alla bicicletta. Le due ruote non hanno solo lo strano potere di aggregare persone ma anche di renderle più umane. Sarà il fatto che la felicità dura di più ed è più vera dopo che la si è conquistata con la fatica. Sarà che quando le gambe fanno male, non c’è niente di più bello che avere qualcuno accanto che si preoccupa per te. Sarà che la fatica trasfigura, ci riporta a noi stessi. E’ qui che si capiscono gli amici veri, quelli che davvero condividono tutto, non solo le cose belle o che fanno comodo. Tante volte, quello tra una partenza e un traguardo, è un po’ un mondo a sé. Questo non toglie che da questo mondo possiamo rubare qualcosa di bello da portare nel nostro. A poco a poco, ogni giorno. Come un cucchiaino di miele in uno yogurt troppo magro.   



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