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Nell’uso della metafora è inevitabile un minimo di violenza all’oggetto dal quale si piglia a prestito l’immagine, ma certe volte si esagera, e la violenza gli sfigura i connotati. È il caso del Panopticon, il modulo architettonico concepito da Jeremy Bentham a soluzione di alcuni problemi del regime di sorveglianza in convitti, collegi, ospedali, carceri, ecc. Basta leggere il testo, che è del 1787 (pubbl. 1791), per trovarci la filosofia e il metodo: tutto è “as much advantage as to convicts” (Panopticon, XVII).Bene, occorre dire che l’oggetto è già discretamente mortificato dall’uso metaforico che fa Michel Foucault (Surveiller et punir, 1975): il Panopticon diventa solo carcere, e solo una delle sue funzioni, la sorveglianza, va a esaurirne il fine.Subisce altra violenza da Shoshana Zuboff (In the Age of the Smart Machine, 1988), che prende l’immagine così lavorata da Michel Foucault per usarla come metafora del controllo informatico della produzione nella società post-industriale.Così deformato, il Panopticon arriva sulle pagine di Government Technology (11.9.2007) per fare da metafora alla censura dell’informazione che il regime cinese attua sulla rete di internet.Di qui passa nelle mani di William Gibson: “Jeremy Bentham’s Panopticon prison design is a perennial metaphor in discussions of digital surveillance and data mining, but it doesn’t really suit an entity like Google” (The New York Times, 31.8.2010). Qui, la violenza che l’uso della metafora fa all’oggetto sembrerebbe attenuarsi, perché si spiega che “in Google, we are at once the surveilled and the individual retinal cells of the surveillant” (più Anopticon che Panopticon, dunque, o entrambe le cose insieme). Sembra finalmente che a Bentham sia concessa un po’ di tregua, ma...
Ma ecco che arriva Daniele Capezzone col suo Contro Assange, oltre Assange (in abbinamento facoltativo a il Giornale di qualche giorno fa, pagg. 80, € 2,80, non un’idea, dicasi una): “È stato lo scrittore di fantascienza William Gibson a descrivere le cose nei termini più efficaci e insieme inquietanti: siamo arrivati ad una sorta di potenziamento all’inverosimile del Panopticon pensato da Jeremy Bentham, il carcere ideale dotato di forma e caratteristiche tali da consentire ad un unico guardiano di vedere tutti i prigionieri, senza che questi ultimi possano sapere se siano sorvegliati o no. Qui, invece, ognuno di noi è guardiano e prigioniero nello stesso tempo, concentrando in sé tutto il potere della prima figura e tutta la nudità della seconda” (pagg. 31-32).E dunque, al pari di Gibson, Capezzone sembrerebbe voler dare a Bentham quel che è di Bentham, restituendo l’immagine all’oggetto e rinunciando a deformarla in modo improprio. Sembrerebbe anche un gesto carino da parte di chi si ostina a definirsi liberale, e quindi dovrebbe aver letto Bentham, almeno per simulare con un minimo di decenza. Ma è solo una finta e in copertina – voilà – il Panopticon. Che con Wikileaks, con Wikipedia, con Google e con Internet – si era convenuto a pagg. 31-32 – non c’entra niente. Ma sta lì, in copertina, sotto il titolo.
Per questo, se potesse, Bentham prenderebbe a schiaffoni Capezzone? Non per questo, non per questo.
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